Quando Hollywood produceva film filosovietici

Getty Images
Ci fu un breve periodo, durante la Seconda guerra mondiale, in cui, per cementare il rapporto con l’alleato in funzione antinazista, gli americani sfornarono alcune pellicole che glorificavano l’Urss e Stalin. Durò poco. Con l’inizio della Guerra fredda e del maccartismo, la Mecca del cinema dovette fare velocemente inversione a U

“Conoscevamo solo il terrore: avevamo paura di guardarci l’un l’altro e di dire qualsiasi cosa, nel timore che chi ascoltava facesse la spia, e ancora eravamo sempre spaventati di non avere da mangiare. Loro [i cittadini sovietici] non hanno idea di cosa sia un’avventura romantica o una storia d’amore. Conoscono solo fame e paura. Ma non è quello che questo film mostra”.

Fu così che la sceneggiatrice e scrittrice americana di origini russe Ayn Rand (nata Alisa Rozenbaum; 1905-1982), nota per il suo veemente atteggiamento negativo nei confronti dell’Unione Sovietica, la sua ideologia e le sue politiche, descrisse la “propaganda comunista” del film hollywoodiano del 1944 “Song of Russia”, diretto da Gregory Ratoff. Chiese la condanna del film per non aver mostrato “paura e fame” nell’Unione Sovietica, mentre prendeva parte alle audizioni della Commissione per le attività antiamericane della Camera (HUAC) negli Stati Uniti nel 1947.

Le parole di Rand caddero certamente su un terreno fertile. In quei primi giorni della Guerra Fredda, il comitato era seriamente preoccupato dall’idea che la propaganda sovietica fosse a capo dell’industria cinematografica statunitense.

Il successo filosovietico al botteghino

Solo pochi anni prima, durante la Seconda guerra mondiale, la situazione a Hollywood era però completamente diversa. L’Urss era un prezioso alleato nella guerra comune contro i nazisti e la rappresentazione positiva del Paese non spaventava nessuno ed era persino considerata desiderabile. In questo contesto, uscirono numerosi film con un atteggiamento nei confronti dell’Unione Sovietica che non era mai stato visto prima della guerra e che non si sarebbe mai più visto dopo.

 “Song of Russia” era uno di questi. Successo al botteghino, raccontava la storia di un direttore d’orchestra americano che gira l’Unione Sovietica alla vigilia della guerra e si innamora della bella pianista sovietica Nadia. Durante la sua tournée in diverse città incontra cittadini sovietici felici e soddisfatti. Il protagonista del film era Mikhail “Michael” Chekhov (1891-1955), un famoso attore russo (lo scrittore Anton Chekhov era suo zio) che viveva negli Stati Uniti e che ottenne ottimi giudizi dalla critica al momento dell’uscita del film.

Come gli ucraini sovietici si trasformarono in ungheresi antisovietici

I buoni risultati al botteghino e le recensioni favorevoli, non impedirono tuttavia ai funzionari americani, quando il vento politico cambiò, di etichettarlo come un film di propaganda filosovietica. “Song of Russia” non fu il solo ad essere condannato dall’HUAC. Altri due film finiti vittima della censura antisovietica furono “The North Star” di Lewis Milestone (del 1943, distribuito in Italia nel 1948 con il titolo di “Fuoco a Oriente”) e “Mission to Moscow” di Michael Curtiz (1943).

Lewis Milestone (1895-1980), l’autore di “The North Star” (o “Fuoco a Oriente”, se preferite) è un grande regista premio Oscar, meglio conosciuto per il suo film del 1930, “All’ovest niente di nuovo”, un classico del pacifismo, tratto dal libro di Erich Maria Remarque “Niente di nuovo sul fronte occidentale”, e in seguito per grandi successi come “Colpo grosso” (del 1960; titolo originale: “Ocean’s 11”) e “Gli ammutinati del Bounty” (1962). “The North Star” era il nome di una fattoria collettiva nell’Ucraina sovietica che nel film veniva ritratta molto positivamente e i cui membri si uniscono alla lotta contro i nazisti, dopo aver saputo che i tedeschi per curare i loro soldati tolgono tanto sangue ai bambini sovietici da farli morire. “I compagni in questo idilliaco ambiente comunisteggiante sono visti come persone amanti della libertà che prendono posizioni eroiche contro la forza brutale della Germania nazista”, ha osservato ironicamente Scott O’Brien nel suo libro del 2010 “Ann Harding - Cinema’s Gallant Lady”.

Il film ricevette sei nomination all’Oscar e ha avuto una peculiare “vita dopo la morte”. Fu duramente tagliato e rimontato nel 1957 con il titolo “Armored Attack”. Questa volta la storia era basata sull’intervento dell’Unione Sovietica in Ungheria nel 1956 ed era trasformata in una tirata antisovietica sulla resistenza eroica degli ungheresi.

“La quinta colonna a processo”

Tuttavia, il film più filo-sovietico fu “Mission to Moscow”. Venne realizzato su richiesta del presidente Franklin D. Roosevelt ed era basato su un libro dell’ambasciatore degli Stati Uniti in l’Unione Sovietica Joseph E. Davies. L’ambasciatore era il personaggio principale del film. Dicono che Roosevelt abbia incontrato Davies più volte nel corso della produzione di questa pellicola.

Il film inizia con il vero Davies che afferma che “nessun leader di una nazione è stato così travisato e frainteso come quelli del governo sovietico durante gli anni critici tra le due guerre mondiali”. Gli autori non si sono fermati a questo. Nel film, Davies sostiene che i processi farsa di Mosca che portarono all’esecuzione di molti membri dell’élite del Partito Comunista negli anni Trenta debbano essere presi per buoni: i condannati erano colpevoli e avevano confessato i loro tentati complotti contro lo Stato sovietico.

“Sulla base di venti anni di prove, sarei incline a credere a queste confessioni”, dice il protagonista. Nel suo libro, Davies andò oltre e scrisse che le purghe di Stalin aiutarono a rimuovere “le quinte colonne”, quelli che lavoravano per la Germania e il Giappone, e questo contribuì al basso livello di collaborazionismo con gli occupanti nazisti dell’Urss durante la guerra. L’HUAC ha criticato il film e il suo sceneggiatore, Howard E. Koch, è stato denunciato come comunista e inserito nella lista nera di Hollywood nonostante il suo precedente Oscar per “Casablanca” (1942).

Il cambio radicale di Hollywood

C’erano anche altri film in cui l’Unione Sovietica era ritratta in una luce positiva: “Three Russian Girls” e “The Boy from Stalingrad”(entrambi realizzati nel 1943), “Days of Glory” (del 1944, che segnò il debutto cinematografico di Gregory Peck e che in Italia uscì nel 1948 con il titolo di “Tamara figlia della steppa”) e “Counter-Attack”(versione italiana: “Contrattacco”, del 1945).

Tuttavia, in seguito alle attività HUAC, gli studios di Hollywood risposero con film i cui titoli erano abbastanza indicativi del cambio di direzione. Qualche esempio? “The Red Menace” (“La minaccia rossa”), “Guilty of Treason” (“Colpevole di tradimento”) o “I Was a Communist for the FBI” (“Sono stato un comunista per l’Fbi”, storia di un infiltrato tra i comunisti a stelle e strisce, che fu trasformata anche in una versione per la radio in 72 puntate.

Il pugile che minacciava Rocky (“Ti spiezzo in due”), il cecchino di Stalingrado, Nonno Kuzja in “Educazione siberiana”. Ecco chi e come ha interpretato i russi nei film occidentali

Per utilizzare i materiali di Russia Beyond è obbligatorio indicare il link al pezzo originale

Leggi di più

Questo sito utilizza cookie. Clicca qui per saperne di più

Accetta cookie