Режиссер Марк Захаров, 1987 год
Andrey Soloviev/TASSIl regista Mark Zakharov, 1987. Fonte: Andrej Soloviev/TASS
Cavalcando l’onda delle idee di sinistra e di un universale accesso all’arte, nel 1927 venne istituito in Unione Sovietica il Teatro per i Giovani Lavoratori: un luogo dove ogni sera, dopo il lavoro, ragazzi e ragazze potevano portare in scena opere teatrali. Una nuova utopia socialista, secondo alcuni: ben presto infatti questo luogo iniziò ad accogliere solo professionisti e il suo nome cambiò in Teatro del Komsomol di Lenin (il Komsomol era l'organizzazione della gioventù comunista, ndr) o Lenkom, il cui scopo era quello di portare in scena commedie moderne in linea con la propaganda di Stato. Il teatro in quegli anni cercò tuttavia di uscire dai confini ideologici e di andare oltre agli autori sovietici, rappresentando anche Ibsen, Tolstoj, Dickens e Rostand: cosa che faceva storcere la bocca ai funzionari del partito.
Ma a suscitare particolare preoccupazione tra le autorità fu l’arrivo, nel 1963, del regista teatrale Anatolij Efros: la sua direzione, poetica, franca e profonda, si distingueva dai cliché e si scontrava con l’impostazione del realismo socialista. Così nel 1967 fu sollevato dall’incarico, trovando però ancora più successo in un altro teatro di Mosca: il Malaya Bronnaya. E le sue produzioni sono considerate oggi dei classici dell'arte russa. Con l’allontanamento di Efros, il Lenkom si avviò verso un periodo di declino.
Il suono e la furia
Con l'arrivo del regista Mark Zakharov si aprì una nuova era. Nel 1974 Zakharov portò in scena "Retrovie" (Til’), un’allegra commedia musicale sul Medioevo e l'Inquisizione, che in realtà parlava di qualcosa di diverso. E il pubblico non restò indifferente alla lingua esopica che il regista stava utilizzando. È incredibile come la censura sovietica non avesse capito questo gioco così pungente e non avesse notato le evidenti allusioni alla situazione del Paese. Solo dopo la prima i funzionari capirono il reale peso della rappresentazione e cercarono di chiudere la produzione, di licenziare il direttore. Ma ormai era troppo tardi. La notizia di questo dramma così sfrontato si era diffusa in tutta Mosca e il giorno successovo l’attore protagonista, Nikolaj Karachentsov, si svegliò riscoprendosi famoso.
Due anni dopo il teatro mise in scena “Splendore e morte di Joaquin Murrieta”, una delle prime opere rock sovietiche. Anche se si basava sul lavoro del poeta cileno e comunista Pablo Neruda, le autorità non gradirono il formato della rappresentazione teatrale: pensarono che il genere di opera rock fosse strano e pericoloso. L’opera di Webber “Jesus Christ Superstar” stava scuotendo il mondo intero mentre Zakharov e il compositore Aleksej Rybnikov si stavano chiaramente ispirando ad esso. La musica rock sinfonica e le ragazze seminude sulla scena sconvolsero la censura sovietica. La produzione venne vietata per undici volte, ma la prima, con il suo effetto detonatore, aveva comunque già avuto luogo. I primi spettatori pensarono: "Ecco, ora verranno ad arrestarci tutti".
L’hallelujah dell’amore
La vera fama mondiale per Rybnikov arrivò con la successiva opera rock, "Giunone e Avos", basata sulle poesie di Andrej Voznesenskij, che debuttò nel 1981. La triste storia d'amore tra un conte russo e una giovane donna americana toccò il cuore di persone di diversi paesi. Lo stilista Pierre Cardin si innamorò dell’opera teatrale e la portò a Parigi e poi a New York, dove la troupe dovette rimanere per due mesi tanto vasto era il suo successo.
Mark Zakharov era solito ricordare: "Pierre Cardin fece una cosa coraggiosa. Aveva ricevuto minacce telefoniche e lettere in cui gli dicevano che non doveva avere a che fare con i russi. Ma lui non aveva paura. Pensavo che andare in tour a Parigi fosse un’utopia. L’opera era considerata anti-sovietica, capace di scuotere le nostre basi morali e artistiche. Ci avevano permesso di rappresentarla non più di una volta al mese e per nessuna ragione nei giorni di vacanza”
Lo spettacolo fece il giro di mezzo mondo, fu rappresentato oltre mille volte ed è in scena ancora oggi. Diventò il biglietto da visita del teatro per aver determinato il suo stile: scattante, vivace, audace.
Non arrendersi
Zakharov fu in grado di radunare un’incredibile compagnia di star del teatro e del cinema: Aleksander Abdulov, Oleg Jankovskij, Inna Churikova. E non c'è da meravigliarsi che entrare fosse impossibile: i biglietti non bastavano mai.
Nel 1990, negli anni della Perestrojka, il teatro cambiò ufficialmente il suo nome in Lenkom, così com’era conosciuto tra la gente. Un nome che suonava come un marchio, come una società di cosmetici costosi, e si adattava molto bene agli spettacoli. Mentre il Teatro Taganka era apertamente politico e il Sovremennik impressionava il pubblico con la sua rappresentazione onesta della modernità, il Lenkom attirava con le sue luci di Broadway, promettendo spettacolo e festa.
Negli ultimi anni il teatro ha subito pesanti perdite: molte stelle sono venute a mancare. Ma Zakharov è ancora al timone e non si arrende. Spesso invita uno dei più giovani e radicali registi della Russia, Konstantin Bogomolov, e qualche volta porta in scena lui stesso “Il giorno dell’Oprichnik”, basato sul romanzo del classico russo vivente Vladimir Sorokin, una distopia critica nei confronti dell’establishment politico attuale.
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