I rischi e le ricadute della campagna siriana

Iorsh
Le conseguenze dell’intervento russo in Siria, la minaccia dell’Isis e la legittimità politica di Assad

I motivi che hanno spinto il Cremlino a intraprendere un'azione militare ben oltre i limiti dei confini nazionali sono chiari. Innanzitutto l'Isis, organizzazione vietata nel nostro territorio e indubbio nemica della Russia. Un modo utilizzato dal governo della Federazione anche come opportunità per sbloccare una situazione, quella in Siria, che rischiava e rischia di degenerare da un giorno all'altro. Ma l'uso della forza militare non è l'obiettivo, bensì un fattore. Così come la formazione di un circolo di partner importanti nella regione da Teheran a Beirut.

I rischi non sono d'altro canto meno chiari. Mosca di fatto partecipa a una violenta guerra civile schierata da una delle parti, quella di Bashar al-Assad, e anche in una guerra religiosa, solidarizzando con la minoranza sciita del mondo musulmano in opposizione alla maggioranza sunnita. Ciò richiede un'attenta costruzione politica; in caso contrario la perdita potrebbe essere immane, persino in politica interna, se si tengono in considerazione le specificità confessionali dei musulmani russi. Infliggere un duro colpo allo Stato Islamico è nell'interesse di tutti. Ma, dal momento in cui il possibile successo della Russia è connesso non solo ad un conseguente aumento della sua influenza, ma anche a quello della posizione di Assad, un peggioramento nelle relazioni con il mondo occidentale è garantito. Il dilemma principale delle guerre portate avanti attualmente dai Paesi più grandi è che in esse non esiste il concetto di vittoria.

Le campagne militari sono state realizzate con lo scopo esclusivo di sostituire un regime, e questo obiettivo eè stato sempre perseguito: in Afghanistan, in Iraq, in Libia. Dichiarare apertamente queste vittorie non si è però mai osato, tanto più che la liquidazione del regime indesiderato non è mai avvenuta fino in fondo. Il successo militare costringeva il vincitore a occuparsi della ricostruzione statale del territorio interessato (Afghanistan, Iraq) a caro prezzo e senza risultato, oppure a ritirarsi (Libia), lasciandosi dietro i resti delle rovine del governo fino ad allora esistente. L'obiettivo di qualsiasi campagna è diventato in ogni caso la ricerca di "una via d'uscita".

L'intervento russo in Siria possiede quanto meno un principale punto di differenza rispetto alle operazioni degli Usa e della Nato effettuate a partire dal 2000: Mosca non punta a sostituire il governo in vigore, bensì a conservarlo e a rafforzarlo.

Il problema della legittimità politica di Assad esiste. Come il tema dell'assenza di controllo effettivo sulla gran parte del territorio. Ma in questa situazione la cooperazione con l'esercito regolare e con l'apparato amministrativo, se pur notevolmente indebolito, potrebbe assicurare molte più opportunità operative per raggiungere l'obiettivo comune: combattere l'Isis, appunto. Ciascuna guerra ha una sua logica che in alcuni momenti può prevalere sulla lucidità politica. E trarsi fuori da questa trappola è arduo e l'esperienza del Medio Oriente, propria a quasi tutti gli Stati che hanno cercato di vincervi grosse partite, ne è la conferma. La storia dell'area insegna che nessuna cosa lì va come previsto. E questo non va dimenticato.

L'autore è presidente del presidio del Consiglio per la politica estera e di difesa

L'articolo è stato pubblicato sulla versione cartacea di Rbth del 29 ottobre 2015

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