Il Presidente russo Vladimir Putin, a destra, insieme al Presidente siriano Bashar Assad al Cremlino
APUn Paese, la Siria, che da solo combatte il terrorismo internazionale. Mentre Mosca continua a dirsi pronta a “prestare il proprio contributo”. Sono emersi maggiori dettagli e nuovi commenti in merito all’incontro a sorpresa tra il Presidente siriano Bashar al-Assad e il leader russo Vladimir Putin, avvenuto il 20 ottobre scorso a Mosca. Così come ha fatto sapere la cancelleria del Presidente siriano, sono stati tre in totale i colloqui intercorsi tra i due leader: un bilaterale chiuso, un confronto pubblico e un ultimo incontro in formato cena di lavoro.
“Il popolo siriano si oppone praticamente da solo al terrorismo internazionale già da alcuni anni, sopportando perdite ingenti, anche se negli ultimi tempi riesce a ottenere anche importanti risultati positivi in questa lotta”, ha detto Putin durante l'incontro con Assad, riconfermando la prontezza di Mosca a “prestare il proprio contributo, nella misura delle proprie possibilità, al processo politico” in Siria, specificando che il discorso verte su un periodo di regolamentazione prolungato.
Commenti pacati sono arrivati dall’Europa: “La Russia deve sviluppare quelle prospettive che permetteranno di mantenere lo stato siriano”, ha dichiarato il capo del Ministero degli Esteri della Repubblica Federale di Germania, Frank-Walter Steinmeier.
Meno positiva la reazione di Washington alla visita del leader siriano a Mosca: “La Russia non avrebbe dovuto stendere il tappeto rosso di fronte ad Assad, che è ricorso alle armi chimiche contro il proprio popolo”, hanno dichiarato dalla Casa Bianca.
Ha tagliato corto invece il premier turco Ahmet Davutoglu: “Sarebbe stato meglio se Assad fosse rimasto un po' più a lungo a Mosca: in questo modo il popolo siriano avrebbe potuto trovare un po’ più di pace”.
Un segnale politico
L’incontro al Cremlino, così come le circostanze in cui questa visita è avvenuta, sono stati accolti dagli esperti come un segnale di offensiva diplomatica da parte di Mosca.
“La visita del Presidente siriano è contrassegnata da due componenti: quella d'immagine e quella politica. Se si parla della prima, Mosca con questa visita intendeva ricordare che Bashar al-Assad è il legittimo Presidente eletto della Siria, e che si trova tutt'altro che isolato”, mette in evidenza il membro del Consiglio del Centro PIR, Dmitrij Polikanov. Secondo le parole dell'esperto, il segnale politico dell'incontro al Cremlino serve a “ribadire che senza la Russia e Bashar al-Assad non è possibile intraprendere un processo di regolazione”.
“Le trattative al Cremlino sono innanzitutto un segnale del fatto che Mosca continua a considerare Bashar al-Assad un partner privilegiato. La sua visita dovrebbe porre fine ai discorsi sulle sue dimissioni - sostiene l'ex vice presidente del Ministero degli Affari Esteri, direttore del Centro per le ricerche politiche Andrej Fedorov -. In secondo luogo, si tratta di un gesto molto serio in direzione dell'Iran, che recentemente non ha nascosto i suoi timori riguardo al fatto che la Russia, ad una determinata tappa, avrebbe potuto giocare la carta Assad negli affari con l’Occidente”.
Secondo l'esperto, speciale significato assume la situazione stessa della visita. “Si è trattato di una visita pubblica, sebbene non annunciata in precedenza, che non abbiamo voluto nascondere, benché ne avessimo avuto modo. Ricorrendo ad una tale inusuale dimostrazione di Bashar al-Assad al Cremlino, Mosca ha definitivamente messo le sue carte sul tavolo”, aggiunge Fedorov.
La versione dei siriani |
L'incontro a Vienna
Se il Cremlino riuscirà o meno a trarre profitto da questo inatteso passo, lo dimostrerà l’incontro fissato a Vienna per il 23 ottobre tra i capi degli uffici diplomatici di Russia, USA, Arabia Saudita e Turchia.
Con la proposta di organizzare un incontro si è mossa la parte americana. Le trattative a Vienna, in sostanza, non sono che un ampliamento del formato dei colloqui che è stato dapprima collaudato in Qatar: a quel primo incontro avevano partecipato il capo del Ministero degli Esteri russo, Sergej Lavrov, il segretario generale degli USA, John Kerry e il ministro degli Affari Esteri dell'Arabia Saudita, Adel al-Jubeir. Negli incontri a Doha, Sergej Lavrov ha reso noti per la prima volta i dettagli del piano di Vladimir Putin sulla neutralizzazione degli islamisti, che consistevano principalmente nella creazione di un largo fronte di coalizione con la partecipazione degli eserciti siriani, iracheni, curdi e dei Paesi della regione. Questo piano tuttavia non è stato accolto dalla delegazione statunitense e in seguito a ciò, la Russia ha iniziato a intervenire in Siria autonomamente.
Agli incontri di Vienna, Mosca, secondo le informazioni di Kommersant, proponeva di coinvolgere altri stati, innanzitutto l'Iran. Secondo i dati disponibili però, gli Stati Uniti non sono entusiasti all'idea di includere nei colloqui anche l'Iran. A Vienna è stata richiamata solo la Turchia.
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