Distintivi sull’uniforme di un soldato a Latakia
: Ramil Sitdikov/RIA NovostiAll'apparenza tutto sembra abbastanza convincente: il Presidente russo ha annunciato il ritiro del principale contingente militare dalla Siria perché “gli obiettivi sono stati largamente raggiunti" e i diplomatici hanno dato il via al dialogo intra-siriano per porre fine alla guerra civile.
Mosca ha proposto di considerare tutti i partecipanti del dramma nazionale, cioè i curdi siriani, per consentire loro di prendere parte ai negoziati sul futuro del Paese. “È chiaro che le trattative dovrebbero coinvolgere l'intero spettro delle forze politiche siriane, altrimenti non si potrebbe parlare di un forum rappresentativo”, ha dichiarato il ministro russo degli Esteri Sergej Lavrov.
I curdi siriani, proprio come gli alawiti e i sunniti fedeli ad al-Assad, devono essere parzialmente grati a Mosca per aver rovesciato le sorti della guerra a loro favore. Questa potrebbe essere la chiave di lettura dell'improvviso voltafaccia nel bel mezzo di un affare bellico incompleto.
Consolidare i vantaggi e fissare il profitto
Quali potrebbero essere le ragioni nascoste di Mosca, se ve ne sono? Forse il timore di entrare in contatto più ravvicinato con truppe turche e siriane, se dovessero concretizzarsi i loro avvertimenti?
Oppure è una mossa attentamente calcolata per assicurarsi i vantaggi del coinvolgimento militare e diplomatico nella guerra civile siriana?
La logica potrebbe essere la seguente: presiedere, insieme al co-sponsor dell'attuale cessate il fuoco, gli Stati Uniti, alla spartizione della Siria, destinata ad un processo di “federalizzazione”, con un nuovo regime a Damasco non necessariamente ostile e con un Kurdistan siriano più o meno ricettivo agli interessi strategici di Mosca?
Grigory Kosach, esperto di politica del mondo arabo e professore all'Università statale per le discipline umanistiche, è stato interrogato per scegliere tra le due ipotesi.
“Vedo più sostanza nella seconda opzione. Mosca potrebbe contare sul fatto di preservare la propria influenza sulle autorità che acquisirebbero il controllo di due grandi territori: uno che si estende da Damasco ad Aleppo lungo tutta la costa del Mediterraneo, e l'altro che comprende le regioni settentrionali abitate in gran parte da curdi. Ciò costituirebbe il "montepremi" e sarebbe probabilmente sufficiente”.
Come si collega questo con l'obiettivo iniziale di dare il colpo di grazia all'IS e ad altri gruppi terroristici?
“Si può affermare che il coinvolgimento militare russo ha impedito agli jihadisti di prendersi una parte significativa della Siria”, ribatte Kosach.
Probabilmente Mosca considera di aver raggiunto i propri obiettivi se s'intende il tornaconto di agire come mediatore di pace e riappacificatore in una regione molto particolare del mondo. Mosca ha applicato la sua dialettica spesso reiterata: in caso di conflitti regionali in relativa prossimità dei confini russi, la Russia ha la capacità di influenzare le parti in conflitto e porre le basi per una soluzione.
Ritirata o solo dietrofront?
Secondo gli scettici, il ridimensionamento della presenza militare russa nel mezzo dell'ancora furiosa ostilità tra le parti nella guerra civile in Siria potrebbe essere interpretato come una tacita ammissione di fallimento, una ritirata.
Secondo i fedelissimi, serve come prova che la strategia a doppio binario (rinforzare i muscoli militari del regime di Assad e coinvolgere con la diplomazia i suoi avversari moderati) ha dato i suoi frutti.
Per questi ultimi si tratta solo di un dietrofront e si adatta bene alla tradizionale distinzione per cui la “ritirata” implica una vile fuga forzata. Un dietrofront, invece, è un'azione premeditata con un obiettivo a lungo termine. Come detta il buon senso: “Non è una ritirata, ma un dietrofront strategico”.
Per quanto riguarda la tempistica, sembra propria di una tattica astuta, anche se tipica di quella di un broker: acquistare azioni quando scendono e venderle quando salgono.
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