I ruggenti anni Novanta dell’economia russa

Dmitrij Diwin
I primi grandi capitali, l’import e la nascita della nuova industria. Come cambiarono le regole del gioco nel passaggio all’economia di mercato?

Il passaggio all’economia di mercato in Russia fu brusco e doloroso. Prima del suo avvento per quasi 70 anni il Paese aveva vissuto seguendo i dettami di un’economia pianificata dove tutto era regolato e gestito dallo Stato. Ma negli anni Novanta si rese necessario imparare in tutta fretta le regole del mercato libero. E non fu un’impresa facile.

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Dalle cooperative alle società

1988 • Nell’ambito della perestrojka vennero create le prime compagnie private russe, chiamate cooperative1992 • All'inizio di gennaio il governo concesse agli imprenditori di determinare independentemente i prezzi delle proprie merci1995 • Il processo di privatizzazione entra nel vivo
A segnare un punto di svolta per l’imprenditoria russa moderna fu la legge “Sulle cooperative”, approvata il 26 maggio 1988 dal Soviet Supremo, che per la prima volta in 70 anni autorizzava la creazione di imprese private e forme autonome di organizzazione del lavoro retribuito. In quel momento a Mosca esistevano centinaia di cooperative avviate in fase sperimentale, ma tutte le materie prime venivano gestite, come in precedenza, in base alle leggi dell’economia pianificata. In sostanza potevano operare a livello privato solo coloro che possedevano dei legami che gli consentivano di utilizzare le materie prime assegnate alle maggiori imprese.

Le principali riforme di mercato furono inaugurate solo dopo la dissoluzione dell’Urss, quando nell’ambito del programma dei “500 giorni” fu messa a punto una privatizzazione su larga scala delle imprese. Il processo iniziò nel 1992, anche se molti dei settori principali, incluso quello estrattivo, vennero privatizzati solo negli anni 1995-1996 attraverso le cosiddette “aste ipotecarie”. Durante tali aste si prevedeva di rimpinguare le casse attraverso prestiti garantiti dei pacchetti azionari delle maggiori società di proprietà dello Stato, ma alla fine i prestiti non vennero restituiti e i pacchetti azionari passarono nelle mani dei creditori.

Il passaggio dall’economia pianificata a quella di mercato fu estremamente doloroso: brusche “ondate” di riduzione della produzione si verificarono nel 1992 e nel 1994, e il Pil della Russia si era quasi dimezzato rispetto al 1989. Tuttavia, le statistiche ufficiali non tenevano conto dei settori sommersi dell’economia in forte espansione.

Un ragazzo al mercato. Fonte: Getty ImagesUn ragazzo al mercato. Fonte: Getty Images

Come sono stati accumulati i primi capitali

Una delle principali caratteristiche degli anni Novanta fu l’economia del “commercio-navetta” che consisteva in sostanza nell’importazione da parte di singoli di beni di consumo stranieri che poi venivano venduti al dettaglio o all’ingrosso nel mercato russo. Data la penuria di merci e la brusca impennata della disoccupazione, questo tipo di commercio (che di solito avveniva in grandi mercati simili ai bazar orientali) costituiva una fonte alternativa di guadagno e non richiedeva investimenti ingenti di capitali. Inoltre, per i cosiddetti “navettatori” esistevano dei vantaggi in dogana: le merci importate individualmente (fino a un determinato volume) non erano soggette a dazi. Secondo le stime di alcuni esperti dell’Istituto di Economia del periodo di transizione 1995-1996, il valore delle merci straniere di largo consumo importate dai “navettatori”  si aggirava sui 2,5-3 miliardi di dollari al trimestre e corrispondeva a un terzo di tutto l’import russo.

Due navettattrici. Fonte: Leonid Sverdlov/TASSDue navettattrici. Fonte: Leonid Sverdlov/TASS

Come rileva Nataliya Kapralova dell’Alta Scuola di Economia di Mosca, non avendo esperienza di viaggi turistici all’estero, i primi “navettatori” scoprivano i Paesi ex socialisti: Polonia, Bulgaria, Ungheria, Romania, mentre in seguito le mete più popolari per gli acquisti furono Turchia e Cina.

Il mercato Cherkizovskij, a est di Mosca, divenne il simbolo di quel periodo. Cominciò a essere attivo negli anni Novanta e fu liquidato nel 2009 a causa delle massicce infrazioni commesse e del commercio illegale.

Nel settore più caro del mercato si era venuta a creare una situazione curiosa: imprenditori provenienti da varie regioni avevano aperto delle vere e proprie “boutique” dove commerciavano imitazioni cinesi di capi di marchi famosi. I capi venivano acquistati negli stessi mercati all’ingrosso di Mosca e poi rivenduti nella regione a un prezzo dieci volte più caro. Questo modello di business cominciò a tramontare solo dopo l’ingresso della Russia nel Wto, quando s’inasprì anche la lotta alla contraffazione. 

Gente in coda davanti a un negozio. Fonte: Getty ImagesGente in coda davanti a un negozio. Fonte: Getty Images

La pubblicità e la nuova industria

Che all’inizio degli anni Novanta l’industria russa non potesse competere con le merci d’importazione era evidente anche dalla situazione del mercato pubblicitario nel quale fino al 1998 furono praticamente assenti gli inserzionisti russi importanti. Le domande di pubblicità per chewing-gum, bibite, tavolette di cioccolata giungevano da società straniere che scoprivano in Russia un nuovo mercato dei consumi.

L’impetuosa crescita dell’import fu favorita anche dalle regole macroeconomiche: solo negli anni 1992–1995 il corso reale del rublo (vale a dire al netto dell’inflazione) aumentò di circa 20 volte e venne poi fissato a questo tasso nel “corridoio valutario”. Un tale sostegno determinava un soffocamento dell’import, mentre l’export diventava meno redditizio. La situazione mutò solo nell’agosto 1998 quando la Russia annunciò il “default tecnico” a causa dei suoi pagherò cambiari e smise di sopravvalutare il rublo. 

Inizialmente si pianificò di indebolire il valore della divisa nazionale del 15-20%, ma di fatto il prezzo del rublo scese molto di più: se il 15 agosto 1998 il corso ufficiale del rublo rispetto al dollaro era di 6,29 rubli per un dollaro, il 1° settembre 1998 era già di 9,33 rubli e il 1° gennaio 1999 di 20,65 rubli. Il default favorì anche la riduzione del prezzo del petrolio che passò da 25-28 dollari al barile nel 1997 a 7,8 dollari nell’agosto 1998

Benché avesse provocato una forte caduta del reddito reale della popolazione, il default del 1998 portò a una crescita rilevante nel settore industriale. Dopo la crisi l’industria crebbe più rapidamente del Pil nel suo complesso (con un tasso annuale di crescita del 6-7%), e come dimostrano le stime del Centro di analisi macroeconomica e di previsioni a breve termine, la crescita maggiore si determinò nell’industria dei combustibili (23%), nell’industria metalmeccanica (20%) e in quella alimentare (33%). Questo fattore trasformò radicalmente anche il mercato pubblicitario: furono le società russe, che sponsorizzavano in particolare i primi reality show, a divenire i principali committenti pubblicitari. Tuttavia, gli effetti della svalutazione non furono di così lunga durata, come ci si sarebbe aspettati, e finirono con l’esaurirsi entro il 2003. A ciò si aggiunse un aumento dei prezzi petroliferi e un graduale rafforzamento del corso reale del rublo che predeterminò lo stato dell’economia già negli anni 2000.

Le persone dell'epoca:

 
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