19 agosto 1991. A Mosca viene proclamato lo stato di emergenza ed entrano in azione le forze armate.
: Fedoseev / RIA Novovsti"Compatrioti! Cittadini dell'Unione Sovietica! In questa ora difficile e critica per il destino della Patria e della nostra gente ci rivolgiamo a voi! Sul nostro grande Paese incombe un pericolo mortale! La politica delle riforme lanciata su iniziativa di Mikhail Gorbachev per assicurare lo sviluppo dinamico del Paese e la democratizzazione della vita sociale, per una serie di motivi, ha raggiunto un punto morto. Approfittando delle libertà da poco ottenute e calpestando i primi germogli di democrazia, nuove forze estremiste si stanno adoperando per eliminare l'Unione Sovietica, il collasso del Paese, la presa del potere a tutti i costi".
Con queste allarmanti parole, il 19 agosto 1991 il Comitato statale per lo stato di emergenza si rivolse ai cittadini sovietici, che vennero così a sapere dell'esistenza stessa del comitato.
La conferenza stampa del Comitato statale per lo stato di emergenza. Gennadij Yanaev, presidente autoproclamato dell'Urss (secondo a destra) e gli altri membri del Comitato, da sinistra a destra: Tizyakov, Starodubtsev, Pugo e Baklanov. Fonte: Vladimir Musaelyan / TASS
Del comitato, istituito il giorno precedente, facevano parte alti dirigenti dell'Urss. Tra loro, il capo del Kgb Vladimir Kryuchkov, il primo ministro Valentin Pavlov e il vice-presidente dell'Unione Sovietica Gennadij Yanaev. Quest'ultimo emanò un decreto che gli conferì le funzioni di Capo dello Stato, citando le cattive condizioni di salute del Presidente Gorbachev. Lo stesso Gorbachev era bloccato in Crimea, dove stava trascorrendo le sue vacanze.
Il Comitato di emergenza introdusse la censura e la limitazione delle trasmissioni televisive. In tv cominciarono a trasmettere a rotazione il balletto "Il lago dei cigni", che molti ancora associano a questi eventi, mentre a Mosca entrarono le truppe militari. Tuttavia, il "colpo di stato" non poteva far fronte al centro di resistenza che era diventato in quei giorni la Casa Bianca. Migliaia di moscoviti erano accorsi a difendere l'edificio che ospita il governo russo.
Tra questi c'erano anche sostenitori di Boris Eltsin, Presidente della Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa, eletto due mesi prima. Costoro consideravano il tentativo di colpo di stato una volontà di ritorno al passato, al periodo pre-perestrojka.
L'entourage di Eltsin riuscì a riportare Gorbachev a Mosca dalla Crimea. I membri del Comitato di emergenza furono arrestati. Il Comitato durò solo tre giorni.
Il colpo di stato portò a Boris Eltsin tantissimi “utili” politici, mentre l'autorità di Mikhail Gorbachev, e con essa quella dell'intera classe dirigente sovietica e dell'Unione come progetto politico, ne uscì irrimediabilmente compromessa.
Il Presidente della Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa Boris Eltsin (al centro) e il segretario di Stato Gennadij Burbulis (il secondo a destra) con la bandiera nazionale vicino alla Casa Bianca. Fonte: Andrej Babushkin / TASS
Ma cosa sarebbe accaduto se il Comitato di emergenza fosse rimasto al potere? Ciò sarebbe mai potuto succedere? L'analista politico Aleksej Zudin è convinto di no, poiché al momento del colpo di stato il processo di disintegrazione dell'Urss aveva già preso una piega irreversibile. Il successo del colpo di stato avrebbe solo prolungato l'agonia. Secondo l'analista, l'Unione Sovietica era già condannata e destinata al fallimento, così come ogni tentativo dei membri del Comitato per la preservazione dell'Unione.
Secondo lui, l'essenza del problema dell'Unione Sovietica era che, anche prima di Gorbachev, i leader sovietici avevano perso di vista gli obiettivi strategici per lo sviluppo del Paese, un tempo formulati nel quadro dell'ideologia comunista. "Queste persone [i leader sovietici] non credevano negli obiettivi che proclamavano e questo fu il motivo principale del crollo dell'Urss. Erano scomparsi il senso e lo scopo dell’esistenza del Paese", spiega Zudin.
Anche Modest Kolerov, ex dipendente dell'amministrazione del Presidente e capo dell'agenzia di stampa Regnum, non vede come il Comitato di emergenza avrebbe potuto risolvere qualcosa. A suo parere, "lo Stato centralizzato era stato distrutto durante gli ultimi anni della perestrojka", nel 1989-1991. Una serie di repubbliche - nei Paesi Baltici e nel Caucaso - aveva già dichiarato la propria volontà di non fare più parte dell'Urss. Kolerov ricorda anche la mancanza di un programma di riforme da parte degli artefici del colpo di stato.Viktor Militarev, membro del Consiglio Nazionale di strategie, un'organizzazione di esperti non governativa, è convinto che il Comitato di emergenza avesse delle possibilità. Secondo l'esperto, però, esso avrebbe comunque seguito una politica fondamentalmente poco diversa da quella di Gorbachev. "Per via della scarsa promozione del Comitato di emergenza nei pochi giorni in cui è stato al potere, le loro dichiarazioni pubbliche venivano percepite come una minaccia. Ma questo non significa che volessero davvero una sorta di dittatura. In sostanza, volevano la stessa cosa di Gorbachev”, ovvero salvaguardare un’Urss riformata, sostiene l'esperto.
A concordare con lui è lo storico e politologo dell'Università Statale "Lomonosov" di Mosca Dmitrij Andreev. Secondo lui il Comitato divulgava tra i cittadini sovietici messaggi che parlavano di libertà d’impresa, democrazia, lotta contro la criminalità e così via. Sarebbe potuta andare meglio, ritiene l'esperto, se solo i membri del Comitato fossero stati meglio preparati alla presa del potere. Nel 1991, dal punto di vista militare, tutto venne fatto molto male.
Ti potrebbe interessare anche:
Tutti i diritti riservati da Rossiyskaya Gazeta
Iscriviti
alla nostra newsletter!
Ricevi il meglio delle nostre storie ogni settimana direttamente sulla tua email