L'altopiano dell'Altaj (Foto: Itar Tass)
I ricordi umani sono un iceberg di ghiaccio. Di solito ne vediamo solo la punta. Lo scontro con il proprio passato è simile a un naufragio: schegge di albero maestro, stracci di vele, relitti del passato trascorso che ancora nuotano in superficie. Ritrovandoli, impariamo a leggere il nostro vissuto, disponendo i pezzi in quell’unico mosaico chiamato storia. I cimiteri delle navi, fonti inesauribili di conoscenza sulla biografia dell’umanità sono sparsi in diversi angoli della Terra. I monti più alti della Siberia, al confine con la Russia, la Cina, la Mongolia, il Kazakistan sono gli Altaj (a circa 4.000 km da Mosca) noti anche come “montagne d’oro”. Secondo una delle tante ipotesi, il loro nome deriva dal mongolo “altan”, che significa “oro”. Le riserve naturali Katunskij e Altajskij insieme al plateau Ukok sul teritorio montuoso degli Altaj fanno parte del patrimonio mondiale dell’Unesco e sono un esempio di quei“cimiteri di velieri” custodi del nostro passato millenario.
La storia dell’uomo moderno in Altaj è iniziata 3.000 anni fa. Le montagne del posto sono diventate punto di par- tenza della grande migrazione dei po- poli: da qui provenivano le tribù note con il nome di Unni che sotto la guida di Attila presero Roma dando così inizio a una nuova era di sviluppo. Ai piedi delle colline dell’Altaj aveva inoltre condotto le sue prime battaglie Gengis Khan. Di lì erano in seguito passate le carovane della Grande Via della Seta. Sulle “Montagne d’oro” è sempre vissuto qualcuno; anche prima di Attila, di Gengis Khan, degli imperatori russi e degli Sciti. Di recente, nella grotta Denisova sono stati ritrovati i resti di un uomo appartenente ad un ceppo nuovo, mai studiato prima. L’homo di Denisova ha abitato l’Altaj circa 40.000 anni fa. Le tracce della prima civiltà nell’Altaj sono state ritrovate sul pianoro meridionale dell’Ukok. Qui, ad un’altitudine di più di 2.500 metri sul livello del mare, affondano nel permafrost i kurgan di Pazyrsk: la mummia di una principessa scita e sei cavalli con selle e finimenti, conservatisi per 2.600 anni. La mummia della fanciulla nel ghiaccio è ora esposta all’Ermitage di San Pietroburgo, accanto al tappeto più antico del mondo e agli esempi dei più antichi tatuaggi del mondo rilevati nei kurgan vicini.
Settant’anni prima degli scavi, il primo viaggiatore sui monti Altaj, l’artista e filosofo Nikolaj Roerich era solito chiamare queste montagne “tesoro non scoperto”. Secondo Roerich, ricercatore della cultura dei Vecchi credenti (starover), proprio in questi luoghi, nella valle dei fiumi Bukhtarma e Katun’, si trova il paese leggendario di Belovodje, la Shambala slava, “il paese della libertà” dei racconti popolari russi. La strada che porta a Belovod’je la possono indicare nei villaggi dei Vecchi credenti Multa e Verkhnij Ujmon, non lontano dai laghi Multinskije. La popolazione di questi villaggi è costituita per lo più dai vecchi credenti (sta- roobrjadcy-kerzhaki) fuggiti dalle persecuzioni religiose nel XVIII secolo.
Negli anni Venti del Novecento i keržaki (dal fiume Kerzhenec, oblast di Nizhnij Novgorod) raccontavano leggende sulla Shambala e celebravano i loro riti con costanza, testimone di tutto questo era Roerich; nei pressi delle loro case, con la stessa costanza, passavano le truppe della guardia bianca, respinte dall’Armata Rossa. I monti dell’Altaj allora si coprivano dei corpi dei rossi e dei bianchi e sulla strada comparivano sempre nuove tombe, come fossero erba fresca. Uno di que- sti picchi sommersi dai corpi dei sol- dati durante la guerra civile è stato intitolato a Roerich post Mortem.
La cima più alta dei monti dell’Altaj è il Belukha (4.509 m). Da qui sorge il simbolo dell’Altaj, il fiume Katun. Sul versante settentrionale si trova la più inaccessibile stazione meteorologica della Siberia, gestita da una dei rari meteorologhi russi donna, Tatiana Kurbanova, che in precedenza, negli anni Novanta ha lavorato come autista di camion sulla tratta Irkutsk-Barnaul. Quasi ogni giorno Tatiana riceve ospiti: archeologhi, alpinisti, ufologi, artisti, sciamani che compiendo la salita del Belukha, si servono della stazione metereologica come punto di sosta. Arrivare al Belukha è possibile solo attraverso la tratta Bujskij, costruita circa cento anni fa si estende fra autentiche foreste di menhir, kurgan e steppe.
Il permafrost dell’Altaj è come una capsula del tempo. Sembra che se ne stacchi un pezzo e lo metti in un mosaico, ottieni esattamente l’immagine del passato irrecuperabile, per sempre dimenticato. Quando sul lago Teleckij soffia il vento dell’Est, le Montagne d’oro s’immergono nel silenzio. Il lago Teleckij è il Bajkal in miniatura. Anche in lui si gettano molti fiumi mentre ne sorge solo uno: il Bija. L’acqua, per composizione molto simile a quella distillata, persino d’estate non si scalda più di dieci gradi sopra lo zero. Nel bacino del lago Teleckij le acque lavorano l’oro. Secondo la leggenda, quando gli dei si arrabbiarono con gli abitanti dell’Altaj e ordinarono al pesce di uscire dal lago e agli animali e agli uccelli di abbandonare il bosco, un contadino dell’Altaj andò a lungo di izba in izba cercando di barattare un pezzetto d’oro che aveva custodito per una giornata nera, in cambio di cibo per la moglie e per i figli. Disperato, gettò l’oro nel lago, buttandosi in acqua egli stesso: fu così che nel lago Teleckij comparvero le polveri d’oro.
Sotto l’influenza dei paesaggi dell’Altaj, si corre il rischio di ragionare secondo leggende, immaginando le montagne come bogatyri cresciuti dalla terra, mentre i laghi somigliano a lacrime di bellissime fanciulle, i massi a cuori di pietra degli dei pagani, gli alberi a degli innamorati incantati. Sull’Altaj svanisce il confine tra la principessa scita nel ghiaccio e la leggendaria Shambala, di fatto mai esistita. Svanisce il confine tra la realtà e il mito, fra le parti del mosaico storico e il passato. E sembra addirittura che l’acqua che nasconde l’iceberg cominci piano piano a retrocedere.
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