Una delle sfingi che si possono ammirare a San Pietroburgo (Foto: Lori / Legion Media)
Le Notti Bianche a San Pietroburgo sono il periodo in cui il tramonto e l’alba s’incontrano e il crepuscolo dura tutta la notte. È il tempo delle chimere e dei misteri. Il tempo magico in cui prendono vita le leggende sulle mistiche statue delle sfingi che affollano letteralmente la città.
Ufficialmente, il tempo delle notti bianche a San Pietroburgo va dall’undici di giugno al due di luglio, anche se di fatto questo periodo è più lungo: in precedenza fino al sedici di luglio non accendevano neppure l’illuminazione stradale, lasciando i pietroburghesi soli con la naturale luce crepuscolare. Non si tratta di poesia, ma della realtà della breve estate pietroburghese.
Le notti bianche sono un periodo inquieto; l’assenza di oscurità eccita ed estenua al contempo. Nel crepuscolo, dicono i mistici, si apre il varco fra i mondi, ed è dunque il tempo delle chimere. E con le chimere San Pietroburgo è più che in regola: le sfingi infatti, secondo la mitologia greca antica, sono figlie della Chimera o comunque della madre di lei, Echidna, e sono diventate simbolo cittadino tanto quanto lo sono la Cattedrale di Sant’Isacco o la guglia dell’Ammiragliato. In diverse parti del mondo ci sono diverse sfingi, ma le coppie di sculture sul lungofiume che difendono l’accesso all’acqua si possono considerare composizione tipicamente pietroburghese.
Foto: Lori / Legion Media
La provenienza delle sfingi si perde nella notte dei tempi. I grechi riadattarono il vivo volto della forza e della saggezza trasformandolo in un mostro proveniente dal caos primordiale, o “Chton” come lo chiamerebbero oggi. La sfinge presso i grechi è di sesso femminile. Il leone con il viso umano simboleggia forza e potere, natura oscura e conoscenza segreta, autorità della coscienza sull’abisso dell’inconscio e così via, nello stesso spirito. Le sfingi custodivano i sepolcri, il passaggio cioè, dalla vita alla morte, dalla luce alla tenebra: creature crepuscolari fatte apposta per una città che si riscalda e ravviva nelle notti bianche.
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Le sfingi sull’Universitetskaja naberežnaja
Quando si parla delle sfingi di Pietroburgo, i russi sottintendono le sculture russe sul ponte dell’Annunciazione (Blagoveščenskij most). Queste infatti sono al primo posto per antichità, valore artistico e semplicemente per bellezza; s’inseriscono mirabilmente nel contesto e a nessuno pare strano che l’emblema della città russa del nord sia diventato il faraone Amenofi III morto tremilacinquecento anni fa. Le sfingi di Blagoveščenskij con la doppia corona dell’Alto e Basso Egitto erano originariamente di guardia al santuario del faraone, a Tebe, e stavano gradatamente svanendo nella sabbia, da dove invece le riportò alla luce l’archeologo greco Janis Atanazisom. Il console britannico le portò ad Alessandria e per poco non le vendette all’egittologo francese Champollion. L’affare però non si concluse e le sfingi le comprò per il tesoro russo l’ufficiale, diplomatico e scrittore religioso Andrej Nikolaevič Murav’ev, un giovane pio che aveva concluso il pellegrinaggio per i luoghi sacri. Le sfingi furono in seguito disposte in gabbie speciali e per un anno intero viaggiarono da Alessandria a San Pietroburgo a bordo della nave “Buona Speranza” per restare ancora due anni all’Accademia delle Arti e infine occupare, nel 1832, il loro posto attuale, da duecento anni.
Foto: Lori / Legion Media
Non sorprende che le antiche semi-fiere dai volti impassibili siano circondate da molteplici leggende e speculazioni mistiche. Allo sguardo della sfinge attribuiscono in generale il potere di far impazzire la gente, e persino quello di far cambiare le idee politiche: nel 1938 un komsomolec della ditta Lengostrojtest spinse i membri della sua brigata sulla spiaggia del lungofiume e si mise a insultare Stalin.Più tardi all’NKVD spiegò che fu l’idolo egizio a incitarlo a compiere una simile azione.
Ancora raccontano che le sfingi, sin dall’antichità legate al Nilo, abbiano addolcito il carattere della Neva. Mentre la più verosimile delle leggende, di come cioè accanto alle sfingi riemergano gli annegati, ha una spiegazione razionale. Ad ogni modo, le fiabe più sensazionali sono dissipate da un fatto inconfutabile: questa parte di lungofiume è eccezionalmente piacevole e rilassante con qualsiasi tempo e a qualsiasi ora.
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Il modo più immediato per arrivarci è dalla fermata Vasileostrovskaja lungo la linea pedonale numero sei. Stando rivolti verso la Neva, alle spalle si avrà la facciata dell’Accademia delle Arti, più dietro, l’accogliente giardino Rumjancev con la staccionata turca cui fa seguito l’elegante successione dei palazzi e dei musei fino alla Strel’ka. Da destra, dietro il ponte Blagoveščenskij, c’è il monumento a Krusenstern, con le navi, e lo sbocco allo spazio aperto della baia.
Le sfingi sul ponte Egizio sulla Fontanka
La spettacolare leggenda riguardante il ponte Egipetskij crollato a causa di una risonanza causata dal passaggio di un reggimento di soldati è entrata nei libri di scuola. Certo, una risonanza come causa di un crollo è davvero sospetta (si trattava di un reggimento di cavalleria e i cavalli non vanno al passo) nonostante esso sia davvero collassato nell’inverno del 1905 e durante la sua ricostruzione abbia perso l’originario fantasioso disegno: non sono stati recuperati né gli alti portali con le colonne e l’aquila al centro, né gli ornamenti stilizzati e i geroglifici; sono rimasti solamente quattro sfingi di ghisa con corone dorate, opera dello scultore Pavel Sokolov.
Queste sfingi non sono in stile egiziano, bensì classico greco: di sesso femminile con un aspetto molto realistico, il grande corpo di fiera contrasta con i tratti dritti e impassibili. Prima del crollo del ponte, alle corone delle sfingi erano attaccate delle luci. Oggi invece le sfingi fanno la guardia in silenzio da un ponte piuttosto modesto con obelischi decorativi alle sue estremità.
Hanno in compenso anche dei parenti: gli esemplari campione per qualche motivo scartati durante la costruzione e ora si trovano sul lungo fiume della Piccola Nevka, presso il ponte Kamennoostrovskij (metro Černaja Rečka).
Le fanciulle-leonesse sulla Fontanka hanno un aspetto piuttosto esotico, se si considera la loro ubicazione. Questo infatti è il confine del quartiere storico di Kolomna, trasformatosi progressivamente in triste zona industriale nella prossimità dell’Obvodnyj kanal.
I volti delle fanciulle non sono rivolti all’acqua bensì al prospetto Lermontovskij: su un lato vi è un negozio di idraulica, sull’altro il goffo edificio dell’albero “Azimut”, ex-hotel “Sovetskaja”.
La passeggiata verso il ponte egiziano è meglio iniziarla dalla piazza Sennaja: uscita metro “Sadovaja” sul Moskovskij prospekt, per poi dirigersi a sinistra fino alla Fontanka e infine avanzare lungo il fiume, osservando dopo tre ponti come gli edifici perdano la loro magnificenza pomposa senza tuttavia che la loro antica bellezza sbiadisca. Dal ponte egizio è facile arrivare all’edificio mauritano della sinagoga sul Lermontovskij prospekt, o anche diversamente, sull’altra riva, fino alla bellissima cattedrale della Trinità con le cupole azzurre.
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Shi-dza sulla Petrovskaja Naberežnaja
Breve è il percorso dalla metropolitana alle due belve cinesi sul lungofiume Petrovskij, sorta di tour dimostrativo dell'eclettismo pietroburghese. La fermata della metro “Gor'kovskaja“ ricorda un disco volante appena atterrato. A fatica si stacca lo sguardo dalla Fortezza di Pietro e Paolo e dal complesso della moschea, quando da dietro ià spunta il meraviglioso villino in stile art-nouveau della ballerina Matil'da Kšesinskaja, eredità della rivoluzione mondiale. Presso il ponte Troickij è ormeggiato il ristorante galleggiante “Blagodat'“ (Ben di Dio) – copia dell'omonima fregata petrina. Andando oltre, proprio di fronte agli shi-dza, si trova la principale attrazione storica della zona: la casa di legno di Pietro I, coperta e circondata da un folto giardino e quasi invisibile, non fosse per il busto di bronzo al di fuori del recinto. Un tempo la casetta si trovava accanto al primo punto di attracco della nuova capitale. Da allora la Neva e il piccolo porto si sono spostati e dietro la casetta è sorto un grattacielo per l'élite in stile sovietico. Sulla discesa verso l'acqua nel 1907 sono state messe le sfingi cinesi.
Si tratta di sfingi per convenzione. La parola shi-dza in traduzione significa “leoni“, tuttavia con i numerosissimi leoni pietroburghesi, i misteriosi idoli manchu hanno poco cui spartire. Shi-dza vengono definiti i leoni-ranocchi e i leoni-cani. Essi non somigliano in alcun modo ad animali, sono piuttosto chimere con tratti particolarissimi per significato, esoticità e perfezione dell'esecuzione artistica che in nulla cede il passo agli esemplari antichi egiziani. Tanto più che anch'essi occupano tradizionalmente il ruolo di guardiani presso il fiume.
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La loro predestinazione storica è la medesima di quella delle sfingi classiche: sono custodi di palazzi e tombe imperiali, rappresentano l'incarnazione del potere divino. I volti degli shi-dza, a guardare con attenzione, ricordano quelli dei cani pechinesi. Non si tratta di una coincidenza: i pechinesi venivano allevati apposta, affinché a fianco dell'imperatore vi sedesse un piccolo leone.
Gli shi-dza sono stati posti sul lungomare ricostruito di Petrovskij nel 1907. Fu il generale e governatore del prijamurskij kraj Grodekov a regalarli a Pietroburgo dopo che li ebbe ricevuti in dono dai cinesi nella città di Girin (Qilin'). A differenza della maggior parte delle coppie di sculture, gli shi-dza sono di sesso diverso: la statua di sinistra è femmina – sotto la sua zampa c'è un cucciolo; la statua di destra è maschile – tiene una perla, simbolo della luce divina e dell'appagamento dei desideri. Queste sculture di tre metri su alti piedistalli hanno un aspetto monumentale e realistico, così che all'improvviso a fianco del conciso stile olandese della casetta di Pietro ecco spuntare un'assai imponente“cinesata“. Da questo punto si apre probabilmente la migliore vista sul Giardino d'Estate e sull'altra riva della Neva.
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