1989, quei mesi che cambiarono il mondo

Mikhail Gorbaciov (Foto: DPA/Vostock-Photo)

Mikhail Gorbaciov (Foto: DPA/Vostock-Photo)

Mikhail Gorbaciov ha rilasciato un’intervista esclusiva a Rbth e a Rossiyskaya Gazeta a pochi giorni dal 9 novembre, data in cui ricorrono i 25 anni dalla caduta del Muro di Berlino. È stata l’occasione per ricordare quei momenti e riflettere sul nuovo muro che si sta alzando tra Oriente e Occidente

Il 1989 fu l’anno della caduta del Muro di Berlino. L’evento avvenne soltanto a novembre, ma già in estate arrivarono da parte sua segnali in quella direzione. Durante la conferenza stampa seguita a un suo colloquio a Bonn con il cancelliere Kohl, le domandarono cosa sarebbe stato del Muro, e lei rispose: “A questo mondo nulla dura in eterno […] Il Muro cadrà quando verranno meno i presupposti che ne hanno causato la creazione. Non vedo grossi problemi in questo senso”. A quell’epoca come pensava che si sarebbero svolti gli avvenimenti?

Né io, né Helmut Kohl, nell’estate del 1989 ci aspettavamo che tutto sarebbe avvenuto così presto. Ed entrambi in seguito lo ammettemmo. Non pretendo di essere considerato un profeta. Accade talvolta che la storia acceleri il proprio corso, che punisca i ritardatari. Ma la storia punisce ancor più severamente quanti cercano di ostacolare il suo cammino. Sarebbe stato un grosso errore restare aggrappati alla “cortina di ferro”. Per questo, da parte nostra non vi fu alcuna pressione nei confronti del governo della Repubblica Democratica Tedesca. Quando il corso degli eventi ebbe un’accelerazione per noi tutti imprevista, il governo sovietico all’unanimità - ci tengo a sottolinearlo - decise per la non ingerenza nei processi interni alla Ddr, e che le nostre truppe non avrebbero in alcun caso varcato i confini delle zone in cui erano dislocate. Oggi sono convinto che quella fu la decisione giusta.

Che cosa permise in ultima analisi di superare la divisione della Germania? Chi, secondo lei, ebbe un ruolo decisivo nel processo della sua riunificazione pacifica?

Il ruolo decisivo nella riunificazione della Germania lo ebbero i tedeschi. Non parlo solo delle manifestazioni di massa in favore dell’unità, ma anche del fatto che nei decenni che seguirono la guerra i tedeschi, nell’Est come nell’Ovest, dimostrarono di avere tratto insegnamento dal passato e di meritare la nostra fiducia.

Credo che nel determinare il carattere pacifico della riunificazione e nel fatto che tale processo non portò a una pericolosa crisi internazionale ebbe un ruolo decisivo l’Unione Sovietica.

Noi, membri del governo sovietico, sapevamo che i russi e tutti i popoli dell’Unione Sovietica comprendevano l’aspirazione dei tedeschi a vivere in uno stato unito e democratico. Vorrei osservare che, oltre all’Urss, anche gli altri protagonisti del processo di definitiva risoluzione della questione tedesca dimostrarono equilibrio e responsabilità. Penso ai paesi della coalizione antihitleriana: Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia. Ormai non è più un segreto che François Mitterrand e Margaret Thatcher nutrivano forti dubbi sui tempi della riunificazione. La guerra, dopo tutto, aveva lasciato tracce profonde. Ma quando tutti gli aspetti della questione furono regolati, i due leader politici firmarono i documenti che ponevano fine una volta per tutte alla Guerra fredda.

Toccò a Lei risolvere il fatidico problema dello sviluppo mondiale. La soluzione internazionale della questione tedesca con la partecipazione delle grandi potenze e di altri stati fu una dimostrazione della grande responsabilità e dell'elevata "qualità" dei politici di quella generazione. Lei dimostrò che una soluzione era possibile se ci si faceva guidare, come lei si espresse, da "un nuovo pensiero”. Quanto gli attuali leader delle grandi potenze sono in grado di risolvere in maniera pacifica i problemi con temporanei, e come è cambiato negli ultimi venticinque anni l’approccio alla ricerca di risposte alle sfide geopolitiche?

La riunificazione della Germania non fu un fenomeno isolato, ma fece parte di un processo di superamento della guerra fredda. Alla riunificazione aprirono la strada la Perestrojka e la democratizzazione nel nostro paese. Senza di esse, l'Europa forse sarebbe rimasta ancora per decenni in una situazione di spaccamento e di "congelamento". E uscire da una situazione simile sarebbe stato, ne sono convinto, enormemente più difficile.

In che consisteva questo nuovo pensiero?

 Significava riconoscere l'esistenza di minacce globali; allora si trattava soprattutto della minaccia di un conflitto nucleare, che poteva essere allontanata soltanto grazie a un impegno congiunto. Occorreva dunque costruire le nostre relazioni in modo nuovo, instaurare un dialogo, cercare delle vie per porre fine alla corsa agli armamenti. Riconoscere la libertà di scelta di tutti i popoli, e al tempo stesso tenere conto dei rispettivi interessi, costruire una cooperazione, instaurare dei rapporti, per eliminare ogni possibilità di conflitti e di guerre in Europa. Questi principi vennero posti a fonda- mento della Carta di Parigi per una nuova Europa (1990), un importantissimo documento politico sottoscritto da tutti i paesi dell'Europa, dagli Stati Uniti e dal Canada. In seguito si sarebbero dovute sviluppare e concretizzare queste clausole, creare delle strutture esecutive, dei meccanismi di prevenzione e di cooperazione. In quel periodo, per esempio, fu proposta la creazione di un Consiglio di sicurezza per l'Europa. Non voglio mettere a confronto quella generazione di leader politici con la generazione successiva. Resta però il fatto che tutto ciò non venne realizzato. Lo sviluppo dell'Europa assunse un carattere unilaterale, cosa che, va detto, fu favorita anche dall'indebolimento della Russia negli Anni Novanta.

 
Gorbaciov allo specchio

È preoccupato dallo scenario attuale?

Siamo di fronte a una crisi della politica europea e mondiale. Una delle cause di questa crisi, ma non l'unica, è la non disponibilità dei nostri partner occidentali a tenere conto del punto di vista della Russia e dei legittimi interessi della sua sicurezza. A parole si plaudeva alla Russia, soprattutto negli anni di Eltsin, ma di fatto non la si teneva in considerazione. Parlo soprattutto dell'allarga- mento della Nato, dei progetti di sviluppo dello scudo antimissilistico, delle azioni intraprese dall'Occidente in regioni importanti per la Russia (Jugoslavia, Iraq, Georgia, Ucraina). Si diceva letteralmente così: "Non sono affari vostri". Il risultato di tutto ciò è stata la formazione di un ascesso che poi è scoppiato. Consiglierei ai leader occidentali di analizzare attentamente la situazione, invece di dare tutte le colpe alla Russia. E di ricordare quale Europa eravamo riusciti a creare all’inizio degli anni Novanta e in cosa, purtroppo, essa è stata trasformata negli ultimi anni. 

Una delle principali questioni che si pongono attualmente rispetto a quanto sta accadendo in ucraina è l'allargamento a est della nato. Ha l'impressione che i partner occidentali la ingannarono elaborando i loro piani successivi nell'Europa orientale? Perché non insistette sulla formalizzazione giuridica delle promesse ricevute, e in particolare delle promesse del Segretario di stato americano James Baker sul non allargamento verso est della Nato?

La questione non era oggetto di discussione ai tempi. Lo dico con piena responsabilità. Nessun paese dell'Europa Orientale aveva sollevato la questione, neppure dopo l'abolizione del Patto di Varsavia nel 1991, né l'avevano sollevata i governanti occidentali. Si discuteva di altro, di evitare che - dopo la riunificazione della Germania - vi fosse un avanzamento delle strutture militari della Nato e un ulteriore dispiegamento di forze armate dell'Alleanza nel territorio di quella che allora era la Ddr. In questo contesto Baker fece la dichiarazione che lei ha ricordato nella sua domanda. Ne parlavano anche Kohl e Genscher. Tutto ciò che si poteva e si doveva fare per fissare questo impegno politico venne fatto, e mantenuto. Nell'accordo con la Germania sulla definitiva pacificazione fu scritto che nella parte orientale del paese non sarebbero state create nuove strutture militari, non vi sarebbero stati ulteriori dispiegamenti di truppe, e non sarebbero state dislocate armi di distruzione di massa. Queste condizioni sono state rispettate per tutti questi anni. Pertanto non bisogna dipingere Gorbaciov e i membri del governo sovietico di allora come degli ingenui che si lasciarono abbindolare. Se vi fu dell'ingenuità, fu in seguito, quando si pose la questione e la Russia inizialmente "non ebbe nulla da ridire". La decisione degli Stati Uniti e dei loro alleati circa l'allargamento a Est della Nato prese forma definitivamente nel 1993. Io dissi subito che quello era un grave errore. Indubbiamente veniva violato lo spirito delle dichiarazioni e delle assicurazioni che ci erano state fornite nel 1990. Per quanto riguarda la Germania, quelle assicurazioni erano state giuridicamente fissate, e sono rispettate ancora oggi.

 
Gorbaciov, tra amore e politica

Per tutti i russi l’Ucraina e i rapporti con essa in questo periodo costituiscono un tema dolente. anche lei, che è per metà russo e per metà ucraino, nella postfazione al suo libro Posle Kremlya (dopo il Cremilno, ndr) scrive che quanto sta accadendo oggi in ucraina le causa un profondo dolore. A suo modo di vedere qual è la via d’uscita e cosa ci aspetta nei prossimi anni?

Per l'immediato futuro è tutto abbastanza chiaro: bisogna adempiere a tutti gli impegni sottoscritti negli accordi di Minsk del 5 e del 19 settembre. Per ora la situazione reale appare molto fragile. L'armistizio viene continuamente violato. In questi ultimi giorni, però, si ha l'impressione che il processo si sia "messo in moto". Si sta creando una zona di separazione tra gli schieramenti, e gli armamenti pesanti vengono ritirati. Stanno arrivando gli osservatori dell'Ocse, tra i quali vi sono anche dei russi. Se riusciremo a consolidare tutto questo, sarà un enorme risultato, ma sarà soltanto il primo passo. Bisogna ammettere che i rapporti tra la Russia e l'Ucraina hanno subito un danno enorme. Non dobbiamo permettere a tutto ciò di trasformarsi in un reciproco allontanamento tra i nostri popoli. In questo senso un'enorme responsabilità poggia sulle spalle dei leader, i Presidenti Putin e Poroshenko: sono loro che devono dare l'esempio. Bisogna calmare le passioni. Più avanti cercheremo di chiarire chi ha ragione e chi ha torto. Adesso la cosa più importante è instaurare un dialogo su delle questioni concrete. Ripristina- re le normali condizioni di vita nelle regioni che hanno sofferto maggiormente, lasciando da parte per ora i problemi di status.

 

In questo sia l'Ucraina che la Russia e l'Occidente potrebbero essere di aiuto, sia singolarmente che con un'azione congiunta. Gli ucraini avranno un grande lavoro da fare per operare una riconciliazione nel paese, per fare in modo che ciascuno si senta un cittadino i cui diritti e interessi sono fermamente garantiti. Non si tratta tanto di garanzie costituzionali e giuridiche, quanto della vita quotidiana, reale. Per questo raccomanderei di cominciare al più presto a lavorare, oltre che per le elezioni, anche per organizzare una "tavola rotonda" nella quale siano rappresentate tutte le regioni e tutti gli strati della popolazione, e in seno alla quale sia possibile proporre e discutere qualsiasi questione.

Come vede l'evoluzione dei rapporti con l'occidente?

 Il primo passo da compiere è uscire dalla logica delle accuse e delle sanzioni reciproche. Secondo me, la Russia ha già compiuto un passo in questa direzione, rinunciando a imporre misure di risposta all'ultimo round di sanzioni occidentali.

Ora la parola passa ai nostri partner. Credo che essi debbano in primo luogo rinunciare alle cosiddette "sanzioni personali". Come si può condurre un dialogo, se si "puniscono" le persone che prendono decisioni capaci di influenzare la politica?

Bisogna parlarsi. Questo è un assioma che hanno assolutamente sbagliato a dimenticare. Sono convinto che non appena il dialogo sarà riavviato si troveranno dei punti di contatto. Basta guardarsi intorno: il mondo è pieno di tensioni, di sfide comuni, vi sono moltissimi problemi che possono essere risolti solo con degli sforzi congiunti. La mancanza di comunicazione tra Russia e Unione Europea danneggia tutti; essa indebolisce l'Europa in un momento in cui la concorrenza globale sta crescendo, e altri "centri di gravità" della politica mondiale si stanno rafforzando.

l suo, quindi, è un invito a non restare con le mani in mano?

 Non ci si può impantanare in una nuova Guerra fredda. Le minacce alla nostra sicurezza comune non sono venute meno. Negli ultimi tempi sono comparsi nuovi movimenti estremistici assai pericolosi: in particolare, il cosiddetto "Stato islamico". Si stanno aggravando i problemi dell'ecologia, della povertà, dell'emigrazione, delle epidemie. Di fronte alle sfide comuni possiamo ritrovare una lingua di dialogo. Non sarà facile, ma non esistono altre vie.

L'Ucraina si prepara a erigere un muro sul confine con la Russia. Secondo lei, come è potuto accadere che i nostri due popoli, che sono sempre stati amici e hanno fatto parte di uno stesso stato, improvvisamente abbiano litigato e ora potrebbero essere divisi da un muro non solo politico, ma anche fisico?

La risposta a questa domanda è molto semplice: io sono contrario a qualsiasi tipo di muro. Coloro che stanno progettando questa "costruzione" dovrebbero ripensarci. Credo comunque che tra i nostri popoli non prevarrà la discordia. Siamo troppo simili, sotto ogni punto di vista. Non esistono problemi insormontabili e differenze inconciliabili. Molto, però, dipenderà dagli intellettuali e dai mezzi di informazione. Se essi lavoreranno per l'isolamento, se provocheranno discordie e conflitti, sarà un disastro. Abbiamo già visto degli esempi del genere. Per questo io raccomando agli intellettuali di tenere un comportamento responsabile.

L'articolo è stato pubblicato sulla versione cartacea di Russia Beyond the Headlines del 30 ottobre 2014

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