La prima vittoria dei mongoli sui russi e una lezione non appresa

Pavel Ryzhenko
Inizialmente, i principi russi sottovalutarono la pericolosità dell’esercito venuto dall’Est, e ben presto se ne pentirono

Per la Rus’ l’invasione dei mongoli fu un vero disastro. Sconfitti dai nomadi, i principati russi per due secoli e mezzo furono assoggettati dal potente impero orientale.

La devastante invasione ebbe luogo nel periodo compreso tra il 1237 e 1241. Tuttavia, già 14 anni prima le parti si erano affrontate per la prima volta sul campo di battaglia. Come e perché?

Ospiti indesiderati

“A causa dei nostri peccati arrivarono dei popoli sconosciuti, Moabiti senza Dio, di cui nessuno sa con esattezza chi siano, da dove vengano, che lingua parlino, di che stirpe siano e quale sia la loro fede”, così un cronista russo commentava l’approdo sulle steppe del Mar Nero delle truppe mongole comandate da Subedei e Jebe, i due migliori condottieri di Gengis Khan.

Illustrazioni storiche della Battaglia del fiume Kalka del 1223 e del cosiddetto “banchetto sulle ossa”. I mongoli fecero sdraiare i comandanti russi catturati, posero sopra di loro delle tavole di legno e sopra organizzarono il banchetto della vittoria, uccidendoli per schiacciamento

Lasciando alle spalle l’Asia centrale, i mongoli raggiunsero il mar Caspio, attraversando poi il Caucaso e invadendo le terre dei cumani (polovezi), popolazione nomade di ceppo turco. In precedenza, i cumani avevano ospitato i merkit (mergid), etnia turca già sconfitta dai mongoli, e per questo dovevano essere puniti in maniera esemplare.

Le tribù cumane erano disunite e non potevano resistere ai migliori guerrieri del continente eurasiatico, per questo dovettero chiedere aiuto ai vicini del Nord, i russi, con i quali i cumani talora erano in guerra, talora stringevano matrimoni dinastici e alleanze politico-militari. 

All’inizio del 1223 il khan Koten (Kotian), che era a capo dell’unione occidentale delle tribù cumane, giunse alla corte del principe di Galizia Mstislav Mstislavich l’Audace, che di Koten era il genero. A Kiev fu convocata d’urgenza una riunione dei principi russi, nel corso della quale Koten si adoperò per convincere i russi a schierarsi contro i mongoli. 

“E lui portò molti doni – cavalli, cammelli, bufali e schiave, e con inchini li donò a tutti i principi russi, dicendo: ‘Oggi i tatari si sono presi la nostra terra, domani verranno e si prenderanno la vostra’”, riferiscono le cronache.

Temendo che nel caso di una sconfitta definitiva i cumani potessero allearsi con i mongoli, i governanti di alcune terre russe acconsentirono a fronteggiare gli invasori.

Un’impresa catastrofica

Alla spedizione aderirono le truppe dei principati di Kiev, di Galizia-Volinia, di Turov e Pinsk, di Chernigov e di Smolensk, guidate da una ventina di principi. Nei primi di aprile del 1223 i russi si misero in marcia lungo il fiume Dnepr, attraverso le steppe del Sud, e attorno alla metà di maggio si unirono con le forze dei cumani vicino all’isola di Khórtitsa.

Incisione che rappresenta la Battaglia del fiume Kalka

Secondo varie fonti, le forze alleate contavano da 40 a 100 mila uomini. Subedei e Jebe avevano 20-30 mila soldati.

Alla luce della superiorità numerica dell’avversario, i mongoli cercarono di risolvere la crisi pacificamente. Mandarono dai russi dei loro rappresentanti per comunicare che il nemico per loro erano soltanto i cumani, e non i russi. Per motivi che restano ignoti, gli ambasciatori furono uccisi, il che provocò l’ira dei nomadi. La guerra diventò inevitabile.

I mongoli, che a detta di alcuni storici arabi di quell’epoca “avevano il coraggio di un leone, la pazienza di un cane, l’accortezza di una gru, la furbizia di una volpe, la vista di un corvo e la rapacità di un lupo”, decisero di evitare lo scontro frontale, pertanto indietreggiarono, inoltrandosi nella steppa. Ma era un tranello per i russi.

I principi russi si divisero sulla tattica da seguire. Alcuni sostenevano Mstislav l’Audace, il quale, avendo una scarsa opinione dei combattenti mongoli, era ansioso di combattere. Altri presero la parte di Mstislav III di Kiev che chiedeva di comportarsi con più cautela.

Durante la ritirata, Subedei “dette in pasto” all’avversario dei piccoli gruppi dei suoi soldati, facendo sì che i russi venissero entusiasmati da queste vittorie. Di conseguenza, tutte le forze russo-cumane si misero a inseguire i mongoli.

La disfatta

Dopo una settimana di marcia, gli alleati si avvicinarono al Kalka, un piccolo fiume presumibilmente in quella che oggi è la zona di Donetsk, dove il 31 maggio (secondo altri dati, il 16 giugno o 16 luglio) fu disputata la battaglia decisiva.

Il principe di Galizia Mstislav Mstislavich l’Audace dopo la Battaglia del Fiume Kalka

Una parte delle truppe attraversò il fiume per continuare l’inseguimento, la parte restante rimase sulla riva opposta. Quando la distanza tra i due distaccamenti raggiunse alcune decine di chilometri, Subedei lanciò il suo attacco.

La cavalleria pesante dei mongoli, che stava fingendo una ritirata, fece un brusco dietrofront, sferrando un colpo ai cumani, che ne furono totalmente stravolti. Si diedero alla fuga, seminando caos tra i reparti russi che stavano sopraggiungendo. “E ci fu una grande confusione tra i reggimenti russi, e la battaglia fu disastrosa per espiare i nostri peccati. E i principi russi furono sconfitti come non era mai successo dalle origini della terra Russa”, riferisce la cronaca. 

Il principe di Kiev, che si trovava sulla riva opposta del fiume, decise di non entrare in combattimento. Ordinò ai suoi uomini di accamparsi, ma poco dopo le sue truppe furono assediate dai mongoli. Altri nomadi intanto continuarono a inseguire i russi, disseminati nella steppa, uccidendoli a frotte.

Alcuni giorni dopo, i mongoli proposero ai russi assediati, che già avevano cominciato a soffrire di sete, di arrendersi, promettendo di liberarli dietro pagamento di un riscatto. Tuttavia, coloro che si arresero furono in parte massacrati, in parte portati via come schiavi. Mstislav III di Kiev e alcuni altri principi e comandanti furono gettati per terra, sopra i loro corpi furono messi degli assi di legno, e su questa “pedana” i mongoli organizzarono un banchetto per festeggiare la vittoria. Il principe Mstislav, e con lui tutti gli altri, morirono schiacciati e soffocati da questo enorme peso.

Una lezione non appresa

Il primo scontro armato dei mongoli con i russi fu, per questi ultimi, disastroso. In battaglia morirono moltissimi boiardi; solo pochi tornarono a casa.

Il famigerato “Banchetto sulle ossa” dei comandanti militari russi, uccisi per lento e doloroso schiacciamento sotto passerelle di legno sopra le quali i mongoli tennero i festeggiamenti per la vittoria. Qui in una immagine tratta dai lavori dell’accademico N. Koshelev

Le perdite esatte dei russi non si conoscono, ma furono comunque enormi. Secondo i cronisti, sopravvisse soltanto un russo su dieci.

“Un gran pianto e lamenti si levarono in tutte le città e in tutte le campagne”, recita la “Cronaca della battaglia del fiume Kalka” del XIII secolo. Il disprezzo per i nomadi, diffuso tra i principi russi, si trasformò in panico e paura nei loro confronti. 

La mancanza del comando unico e del coordinamento, e l’incapacità dei principi di raggiungere consenso di fronte alla minaccia comune, furono la principale causa della grave sconfitta. Tuttavia, le lezioni non furono imparate, i vecchi problemi ricomparvero 14 anni dopo, quando i mongoli cominciarono l’invasione delle terre russe.

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