Così i piloti sovietici salvarono la vita al maresciallo jugoslavo Tito e lo portarono a Bari

Getty Images; A.Less
I britannici e gli americani non sembravano avere troppa fretta, ma il leader della resistenza nei Balcani era ormai pericolosamente circondato dalle truppe naziste, e non c’era più tempo da perdere. Ci dovette pensare il maggiore Aleksandr Shornikov: con un atterraggio eroico riuscì a prelevarlo e a farlo evacuare momentaneamente in Puglia

Nel corso della Seconda guerra mondiale, i Balcani furono una fonte incessante di problemi per il Terzo Reich e i suoi alleati. Dopo l’invasione della Wehrmacht e la capitolazione del Regno di Jugoslavia nell’aprile del 1941, qui sorse ogni tipo di resistenza al nazismo e al fascismo.

La più potente di queste forze era l’Esercito Popolare di Liberazione della Jugoslavia, emanazione del Partito Comunista. Inizialmente si trattava di piccole unità partigiane, ma nella primavera del 1944 comprendeva già grandi divisioni e corpi d’armata, con ben 300 mila effettivi. 

Tito ispeziona le sue truppe, 1942

Una vera spina nel fianco per l’alto comando tedesco, costretto a tenere nei Balcani più di trenta divisioni della Wehrmacht e delle SS, quando sarebbero tornate utili sul fronte orientale. I nazisti tentarono ripetutamente di distruggere l’esercito partigiano e di eliminare il suo comandante, il maresciallo Josip Broz “Tito”, ma senza successo.   

Nel maggio del 1944 fecero l’ennesimo tentativo e furono più vicini che mai al loro obiettivo. Fu allora che l’Armata Rossa venne in aiuto del Maresciallo Tito.

La mossa del cavallo

Alle 5 del mattino del 25 maggio, i bombardieri tedeschi apparvero sopra la città di Drvar, nella Bosnia occidentale, dove si trovava il comando centrale dell’Esercito Popolare di Liberazione della Jugoslavia. Dopo un massiccio raid aereo fuori dalla città, cominciarono ad atterrare alianti portati in zona da aerei da trasporto, dai quali furono immediatamente scaricati i paracadutisti dell’SS-Fallschirmjäger-Bataillon 500. 

Il 500° Battaglione SS-Paracadutisti durante l'attacco alla città di Drvar in Jugoslavia

Per condurre l’operazione Rösselsprung (“Mossa del cavallo”), il cui principale obiettivo era la cattura o l’eliminazione del maresciallo Tito, i tedeschi avevano mobilitato oltre 17 mila soldati. Oltre ai paracadutisti, vennero fatti convergere nella zona reggimenti di fucilieri motorizzati, battaglioni di ricognizione, carri armati e genieri, un reggimento della divisione speciale “Brandenburg”, e unità croate collaborazioniste.

Ad essi si opponevano unità del 1° e 6° Corpo Proletario dell’Esercito Popolare di Liberazione della Jugoslavia, un battaglione delle guardie personali del maresciallo e i cadetti della scuola ufficiali, per un totale di 12 mila uomini. Nonostante la feroce resistenza, il nemico occupò presto la città.

“I tedeschi mi cercavano”, ricordò Tito: “In quei giorni un sarto di Drvar mi stava cucendo un’uniforme da maresciallo. I paracadutisti non ottennero altro che questa uniforme, strappata dalle schegge di una bomba… Tutta la gente di Drvar sapeva dov’ero. Ogni paracadutista aveva la mia foto. Avvicinarono ogni singolo abitante della città, mostrando  la foto e chiedendo: ’Tito, Tito, dov’è Tito?’. Ma nessuno disse niente. Nemmeno i bambini…”.

Tito e i suoi compagni a Drvar

Il maresciallo stesso, insieme al suo staff e alla missione militare sovietica, era in quel momento nella sua casa non lontano dalla città. Quando il nemico la raggiunse, si ritirò sotto la copertura delle sue truppe, sulle Alpi Dinariche.

Un compito difficilissimo

I tedeschi non rinunciarono a dare la caccia al maresciallo, e strinsero l’anello intorno a Tito e ai suoi sostenitori. Il generale sovietico Nikolaj Korneev, che era con il gruppo, consigliò insistentemente al maresciallo di evacuare verso la base aerea alleata di Bari, nell’Italia meridionale. Tito si oppose a lungo, insistendo sul fatto che doveva rimanere in territorio jugoslavo. Accettò solo l’opzione di essere poi trasferito immediatamente da Bari all’isola di Lissa (Vis) nel mare Adriatico, al largo della costa croata.  

Oltre all’aviazione britannica e americana, erano di stanza a Bari anche degli squadroni dell’aviazione dell’Armata Rossa: 12 bimotori da trasporto tattico Douglas C-47 e 12 caccia di scorta a lungo raggio Yakovlev Yak-9D. Quando la situazione con Tito divenne nota, Stalin ordinò ai suoi piloti di prendere la parte più attiva nel salvataggio del maresciallo.

Le truppe tedesche vicino a Drvar

Nonostante le comunicazioni instabili, il quartier generale dell’Esercito Popolare di Liberazione della Jugoslavia fu in grado di riferire che era in attesa di evacuazione in una testa di ponte di montagna vicino alla città di Kupres (Bosnia occidentale). Gli alleati occidentali continuavano a rimandare la missione di salvataggio a causa del maltempo, ma il maggiore sovietico Aleksandr Shornikov sentiva che il tempo utile si stava esaurendo ed era necessaria un’azione immediata.

La notte del 4 giugno, un C-47 sovietico prese il volo e si diresse verso la Jugoslavia. Le coordinate erano fornite dal navigatore aereo Pavel Jakimov dell’equipaggio di Shornikov, che era con il Maresciallo Tito in quel momento.

Il maggiore era già un pilota esperto, che aveva passato del tempo nei Balcani e aveva studiato le rotte aeree locali. Tuttavia, anche per lui il compito era estremamente difficile.  

Aleksandr Shornikov

“In condizioni di forte attività temporalesca e di pioggia battente, abbiamo dovuto attraversare il mare Adriatico a bassa quota, in primo luogo per non deviare dalla rotta stabilita, e in secondo luogo per non finire dritti in mezzo ai temporali”, ricordò il maresciallo dell’aria Aleksandr Golovanov: “Avendo raggiunto l’isola di Curzola (Korčula) e aggirato Spalato, dove c’era una base navale tedesca dotata di un gran numero di batterie antiaeree, l’equipaggio cominciò a guadagnare quota, facendo rotta verso Kupres, nella cui zona c’era la montagna più alta che serviva da punto di riferimento affidabile. Una volta raggiunta la montagna e determinata la posizione, iniziarono a cercare luci e segnali di avvertimento. La copertura nuvolosa impediva una visione adeguata della zona. L’equipaggio sorvolò il terreno sconosciuto per oltre mezz’ora prima di individuare le luci in codice.     

La piccola pista di atterraggio approntata dai guerriglieri sulle montagne era completamente ricoperta di pietre e tagliata da torrenti. Era fondamentale atterrare al primo tentativo e con certezza. Shornikov riuscì nell’impresa: fece fermare il suo C-47 all’altezza dell’ultimo fuoco acceso, oltre il quale iniziava un ripido dirupo.

Il leader jugoslavo Josip Broz Tito nel suo ufficio, Belgrado, 1946 circa

L’equipaggio sovietico dovette ripetere la difficile manovra una seconda volta. Dopo che il maresciallo e gli ufficiali dello stato maggiore erano stati portati a Bari, i piloti tornarono per il resto degli uomini da evacuare. Gli alleati occidentali, venuti a conoscenza del volo di Shornikov, fecero anch’essi diversi voli verso le montagne.

Dopo l’evacuazione della leadership, le unità jugoslave che l’avevano difesa andarono a sfondare l’accerchiamento (cosa che riuscirono a fare con successo). Al mattino le truppe tedesche erano già apparse sulla testa di ponte della montagna.

Per questa impresa Aleksandr Shornikov, il suo copilota Boris Kalinkin e il navigatore Pavel Jakimov furono insigniti del titolo di Eroi dell’Unione Sovietica. La Jugoslavia, a sua volta, premiò ognuno di loro con la sua più alta decorazione militare, l’Ordine dell’Eroe popolare.

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