Così gli sciamani furono perseguitati in Unione Sovietica

Yurij Muravin/TASS
Lo sciamanesimo è una tradizione di molti popoli della Siberia e dell’Estremo Oriente russo, ma fu messo fuori legge quando i bolscevichi salirono al potere. Licenziamento dal lavoro, confisca delle case e confino furono solo una piccola parte di ciò che gli sciamani sovietici dovettero patire

Bogdan Onenko, uno sciamano di 65 anni di Naikhin, un villaggio 8.500 km a est di Mosca, fu arrestato il 12 settembre 1937 e fucilato 40 giorni dopo. In quello stesso anno, il presidente del comitato esecutivo distrettuale del popolo hezhen (detto anche nanai), B. Khodger, venne accusato di “nascondere e proteggere gli sciamani, e di aver informato il comitato distrettuale della presenza di solo sei sciamani nel distretto, quando durante il successivo controllo ne erano stati individuati 130”. Tutti gli sciamani vennero privati del diritto di voto.

Si tratta di riferimenti storici reali, tratti dagli archivi, su coloro che hanno sofferto la persecuzione bolscevica. Il potere sovietico scatenò una lotta contro tutti i portatori di altre ideologie, e non si trattava solo dei partiti politici. Lo stato ateo sradicò tutte le credenze religiose e i loro seguaci, dall'ortodossia all'Islam e al buddismo. Anche lo sciamanesimo, come forma tradizionale di religiosità dei popoli della Siberia e dell'Estremo Oriente, finì sulla lista nera. 

“Corrompono la fattoria collettiva”

"Quando ero piccolo, vivevamo nel villaggio di Rezemovo. […] Noi bambini venivamo in anticipo preparati psicologicamente al fatto che ci sarebbe stata una ‘casa oscura’; che ci sarebbe stato buio completo. Questo perché non ci spaventassimo sentendo qualcosa di insolito o spaventoso nel buio”, racconta Elizaveta Kopotilova, 63 anni, ricordando il suo incontro con lo sciamano del villaggio.

In effetti, nell'oscurità, qualche suono attutito cominciò improvvisamente a diffondersi, come se qualcuno stesse correndo. “Un rumore non forte, ma così dolce, morbido… Ma si sentivano dei colpi che si avvicinavano sempre di più... E il suono continuava a diventare sempre più udibile. Poi si fermò, come se qualcuno si fosse bloccato. E poi, al contrario, cominciò ad affievolirsi fino a scomparire del tutto, come se qualcuno si fosse allontanato pian piano, fino a scomparire. Alla fine le luci si sono accese e gli adulti hanno iniziato a parlare, a discutere di qualcosa”.

Questo accadeva a Jugra, cioè nel Circondario autonomo degli Khanty-Mansi. Jugra è stata a lungo considerata la patria dello sciamanesimo siberiano. Si può capire che questa storia risale all'epoca della persecuzione degli sciamani dall'espressione “casa oscura”: allora tutte le finestre venivano chiuse e il rituale veniva eseguito nella completa oscurità per non attirare attenzioni indesiderate.

Tutto il villaggio si riuniva per le cerimonie sciamaniche (comunicazione con gli spiriti). Curavano le malattie, pregavano per i parenti defunti, chiedevano agli spiriti la salute del bestiame, le condizioni meteorologiche desiderate o la fine della morte del bestiame. Gli sciamani erano sempre stati rispettati e ascoltati. Ma non volendo dividere alcun potere e autorità, e vedendo in loro una forma di “oppio dei popoli”, i soviet dichiararono gli sciamani “elementi ostili”.

Tutto iniziò negli anni Venti, quasi subito dopo la formazione del nuovo Stato sovietico. Gli sciamani vennero privati del diritto di voto in tutte le elezioni, comprese quelle di villaggio e distrettuali. In pratica questo significava che una tale persona veniva esclusa dai kolkhoz (le fattorie collettive) e di conseguenza era privata di tutti i mezzi di sussistenza. Alcuni consigli di villaggio votarono per sfrattare gli sciamani dal villaggio, privandoli anche delle loro case.

La prima ondata della campagna anti-sciamani fu condotta con il pretesto di combattere i kulakì (come venivano chiamati i contadini ricchi che utilizzavano braccianti). Insieme agli sciamani tutti i gruppi sociali indesiderabili – preti, mercanti, cosacchi, piccoli commercianti – finirono sotto attacco e le loro proprietà vennero confiscate. 

“Lo sciamano Beldy Pelkha (coltivatore diretto) sta distruggendo il kolkhoz con la sua influenza sui singoli agricoltori collettivi”, diceva una di queste denunce. Gli agricoltori collettivi, con stretti legami con lui, “hanno lasciato la brigata di pesca della fattoria collettiva per andare a operare in un altro specchio d’acqua senza adempiere alle quote di produzione di pesce (invece di 35 unità ne hanno consegnate 5 e hanno venduto privatamente il resto)”.

Per passare dagli attacchi locali e non organizzati contro la religione e le pratiche spirituali alla persecuzione sistematica, nel 1925 le autorità crearono la “Lega degli atei militanti” (in russo: Союз воинствующих безбожников; “Sojuz voinstvujushshikh bezbozhnikov”). Questa organizzazione pubblica lanciò la lotta contro ogni forma di religione in tutto il Paese. I “bezbozhniki” organizzavano congressi, mostre, scrivevano opere di letteratura scientifica popolare, e stabilivano reti nelle fabbriche, nelle fattorie collettive e nelle università. Descrivevano lo sciamanesimo come una “religione vendicativa e paurosa” di cui la gente del posto era stanca. 

Tuttavia, niente di tutto questo funzionò come lo Stato aveva sperato. Lo sciamanesimo divenne un fenomeno clandestino.

Gli anni bui 

Il periodo di maggior repressione arrivò negli anni Trenta, quando diventò chiaro che non c’era un rifiuto totale della visione del mondo pagana tra la gente. Era cambiata solo la forma dei “rituali magici”: al posto del tradizionale (e molto rumoroso) tamburello i popoli siberiani iniziarono a usare l'ascia come attributo di culto, e le riunioni divennero sempre meno spettacolari. Nei villaggi si riunivano tra mille cautele. Ma come dicevano gli informatori, “non è forse chiaro dove vanno, se tutte le anziane convergono verso un’unica isba?”. 

In seguito la situazione divenne particolarmente rischiosa. Furono lanciate incursioni nei villaggi. Gli attributi di culto venivano confiscati e bruciati. Ci sono stati casi in cui i figli degli sciamani, che avevano aderito alle organizzazioni comuniste, portavano via loro stessi l’armamentario dei loro genitori. Per esempio, un certo Pavel Tumali, dicono gli archivi, prese il tamburello e la cintura di suo padre Podja Tumali e li buttò nel fiume Amur, dicendo: “Non disonorarci più”.

Per questi motivi, sempre più spesso gli sciamani dovevano andare in luoghi isolati nei campi o nelle foreste per eseguire i loro rituali. Molti preferirono abbandonare del tutto la pratica sotto la minaccia dell’arresto e di una possibile esecuzione. Anche se, come notano i ricercatori dello sciamanesimo, non ci sono state repressioni di massa sotto forma di arresti o esecuzioni di sciamani. Questi casi erano isolati.

Ma la punizione sotto forma di multa o, più spesso, di licenziamento dal lavoro era diffusa. E, perdevano il posto anche quelli che conducevano una “lotta troppo debole” contro gli sciamani. In un rapporto del 1937 è scritto: “Gli sciamani hanno approfittato del cattivo lavoro del Soviet del villaggio e del consiglio del kolkhoz. Dopo la nuova Costituzione hanno intensificato il loro lavoro. Se nel 1935 era attivo solo lo sciamano Beldy Pelkha, ora ci sono nove sciamani che lavorano attivamente”.

Non una vera fine

Con il tempo, le cose migliorarono. Il divieto di esercitare l’attività sciamanica rimase anche dopo la Seconda guerra mondiale e fino alla fine degli anni Ottanta, ma era poco più di una formalità.

Gli sciamani continuarono a essere multati per aver condotto rituali negli anni Sessanta, ma ormai l’unica loro attenzione era quella di ridurre al minimo il numero delle multe prese, ma certo gli sciamani non scomparvero. Praticavano nelle isbe a luci spente, dopo mezzanotte, con le finestre chiuse. E già nella prima metà degli anni Ottanta, gli sciamani non erano nemmeno più menzionati nei bollettini ufficiali sui culti religiosi. Gli sciamani, secondo i dati ufficiali, sembrano scomparire del tutto in alcune regioni. Per esempio, una casa editrice di Khabarovsk (nell’Estremo Oriente) pubblicò nel 1982 un libro di tematica atea intitolato “Il racconto dell’ultimo sciamano” di A.A. Passar.

In realtà, lo sciamanesimo non era scomparso, anche se dopo molti anni di persecuzione era senza dubbio cambiato in alcuni luoghi. Se nei villaggi della Jacuzia o della Buriazia le tradizioni si sono mantenute e sono sopravvissute al tempo della lunga “privazione”, il meno noto sciamanesimo kirghiso ha cambiato volto: gli sciamani kirghisi non suonano più i tamburelli, questo elemento è andato completamente perduto, e non hanno più costumi speciali, ma solo alcuni attributi del culto, come il bastone e la frusta. 


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