Larisa Savitskaja, la donna che sopravvisse a un incidente aereo precipitando da cinquemila metri

Storia
JULIJA AFANASENKO
I soccorritori non potevano credere ai loro occhi quando, tre giorni dopo la tragedia, la trovarono che fumava, seduta sul sedile su cui era caduta dal cielo nel bel mezzo della taiga russa. Tutte le altre persone a bordo dei due aerei coinvolti nello scontro in alta quota erano morte. Detiene un bizzarro record: il risarcimento più esiguo nella storia dell’aviazione civile

Il 24 agosto del 1981 la tranquillità dei cieli dell’Estremo Oriente, sopra alla città di Zavitinsk (1.300 chilometri a nord-ovest di Vladivostok), fu turbata dalla collisione tra due aerei. Un velivolo da trasporto missilistico, un Tupolev Tu-16K, si scontrò con un aereo passeggeri, un Antonov An-24RV che stava volando da Komsomolsk-na-Amure a Blagoveshchensk. L’aereo militare stava invece effettuando una ricognizione meteorologica di intelligence.

L’incidente fu il risultato di una serie di fattori sfortunati. Ognuno di loro era del tutto irrilevante di per sé, ma la loro somma si rivelò fatale. Il Tu-16K era uno dei numerosi velivoli militari che quel giorno dovevano volare attraverso questo territorio. I suoi piloti erano male informati sulla presenza di altri aerei a cui avrebbero dovuto prestare attenzione. Ecco perché dissero ai controllori del traffico aereo di aver già guadagnato la quota di volo successiva, mentre, in realtà, avevano in programma di farlo un po’ più tardi. I comandanti dei voli militari all’epoca non utilizzavano rilevatori radio, altrimenti avrebbero localizzato l’aereo civile. Inoltre, le forze civili e militari non avevano un coordinamento comune.

Alle 15:21, gli aerei si scontrarono a un’altitudine di 5.200 metri. L’An-24 perse la parte superiore e le ali, tagliando con la sua elica la fusoliera del Tu-16K vicino alla cabina di pilotaggio. Gli aerei andarono in pezzi e i loro rottami si schiantarono nella taiga. Morirono trentasette persone: le sei persone dell’equipaggio militare, cinque membri dell’equipaggio dell’An-24RV e 26 passeggeri (tra cui un bambino). Ma il numero totale delle persone sugli aerei era 38: Larisa Savitskaja, una studentessa di 20 anni, sopravvisse miracolosamente all’incidente.

Larisa Savitskaja stava tornando dal viaggio di nozze con suo marito Vladimir. Erano andati in visita dai parenti di lui a Komsomolsk-na-Amure. La coppia di sposini studenti viveva a Blagoveshchensk. Larisa in seguito ha ricordato: “Ero così stanca, non ricordo nemmeno il momento del decollo”. L’aereo era mezzo vuoto e la hostess offrì ai due ragazzi dei posti nella parte anteriore dell’aereo, ma loro decisero di andare in fondo, per sentire meno le turbolenze. Questa è stata una delle decisioni che ha salvato la vita di Larisa: “Quando l’aereo si è diviso, i sedili su cui avremmo dovuto sedere si sono staccati e sono volati via con un altro pezzo di aereo, nessuno sarebbe potuto sopravvivere lì”.

Larisa si risveglio proprio al momento della collisione. La temperatura da 25°C precipitò subito dopo l’urto improvvisamente a -30°C, visto che l’aereo era ormai aperto. Larisa provo sulla pelle come la sensazione di un’ustione. Sentì grida intorno a lei. Vladimir era morto sul colpo al momento dell’impatto e a Larisa sembrava che anche la sua vita fosse finita, poiché non poteva nemmeno urlare per il dolore o la paura.

A un certo punto, si sentì risucchiata. Improvvisamente si ricordò di un film italiano, “I miracoli accadono ancora”, che aveva visto al cinema proprio con Vladimir circa un anno prima. La pellicola del 1974 del regista Giuseppe Maria Scotese raccontava la storia vera di Juliane Koepcke, unica sopravvissuta a un incidente aereo nella foresta peruviana del dicembre del 1971. Larisa ha ricordato: “Avevo un solo pensiero: come morire senza soffrire troppo. Ho afferrato i braccioli e ho cercato di spingere con le braccia e le gambe indietro con tutta la mia forza”. Juliane, interpretata da Susan Penhaligon, faceva lo stesso nel film. Fortunatamente, il pezzo di coda dell’An-24RV con il sedile di Larisa stava planando lentamente e senza virate brusche. Ha ricordato che non poteva vedere cosa stava succedendo: “Le nuvole fitte o la nebbia coprivano tutto e l’ululato del vento era assordante. L’aereo non prese fuoco. Improvvisamente, ci fu come un’esplosione “verde” negli oblò. Erano foglie! La taiga! ”. Qui, Larisa fu di nuovo fortunata: dopo otto minuti di caduta libera, il suo frammento di aereo era atterrato su un gruppo di betulle flessibili che resero l’atterraggio molto più morbido rispetto al semplice cadere a terra o su degli abeti.

La prima cosa che Larisa sentì quando si riprese fu il ronzio delle zanzare della foresta intorno a lei. Lo choc non le permetteva di capire quali ferite avesse effettivamente. Aveva subito lesioni multiple alla colonna vertebrale (fortunatamente, poteva però ancora muoversi), e aveva le costole rotte, così come fratture alle braccia e alle gambe, una commozione cerebrale e i denti spaccati, oltre a un dolore sordo e generale in tutto il corpo. Larisa iniziò a soffrire di allucinazioni: “Ho aperto gli occhi: avevo il cielo sopra la mia testa, ero sul sedile, ma ero convinta che mio marito fosse di fronte a me e mi guardasse. Invece i suoi occhi erano chiusi”.

Nonostante tutte le ferite riportate, Larisa riusciva a camminare un po’. La sera iniziò a piovere e lei trovò riparo sotto un pezzo della fusoliera. Aveva un freddo terribile e usava i coprisedili per tenersi al caldo. La prima notte, sentì ringhiare da qualche parte nella foresta. Avrebbe potuto essere un orso, ma Larisa era ancora troppo sconvolta per pensarci. Sopravvisse due giorni, bevendo l’acqua dalle pozzanghere vicine. Visto che aveva perso la maggior parte dei suoi denti, non poteva nemmeno mangiare le bacche. Ha ricordato: “Ho sentito gli elicotteri e ho cercato di fare dei segnali: ho trovato un coprisedile rosso e ho iniziato a sventolarlo. Mi hanno visto, ma hanno pensato che fossi il cuoco dei geologi che salutava. Il loro accampamento era da qualche parte nelle vicinanze. Il terzo giorno si ricordò che Vladimir aveva fiammiferi e sigarette in una tasca della giacca.

Il gruppo di soccorso trovò Larisa dopo tre giorni dalla tragedia. Era seduta sul sedile dell’aereo e fumava. “Quando i soccorritori mi hanno individuato, erano senza parole. Li capisco, tre giorni a recuperare pezzi di corpi dagli alberi e poi all’improvviso… una persona viva”, ha ricordato. Nessuno credeva che qualcuno potesse sopravvivere a un simile incidente (questo è in realtà il motivo per cui Larisa venne trovata così tardi). “Non avevo più un aspetto umano. Ero tutta color prugna con riflessi argentati: la vernice della fusoliera si è rivelata insolitamente appiccicosa, mia madre ha lavorato un mese per togliermela di dosso. E i miei capelli si erano trasformati in un grosso pezzo di lana di vetro a causa del vento”. Dopo l’arrivo dei soccorritori, Larisa smise di camminare. Ha spiegato: “Quando ho visto le persone, ho esaurito le forze”. I soccorritori hanno dovuto abbattere alcune betulle per far atterrare un elicottero e portare l’unica sopravvissuta a Zavitinsk. “Più tardi, a Zavitinsk, ho scoperto che era stata scavata una fossa per me. Ne era stata scavata una per ogni passeggero”.

La convalescenza di Larisa fu molto difficile, ma, tutto sommato, il suo corpo riuscì a riprendersi dalle terribili ferite. Cercò di ottenere una pensione di disabilità, visto il gran numero di traumi, ma la commissione medica decise che non erano abbastanza pesanti. Larisa ricevette un risarcimento davvero esiguo: appena 75 rubli (circa 117 $ secondo il tasso di cambio dell’epoca), quando uno stipendio medio mensile in Urss era di circa 178 rubli (278 $). Larisa Savitskaja detiene il primato, nel Guinness World Record, di persona che ha ricevuto il risarcimento più piccolo mai pagato dopo un incidente aereo.

La collisione aerea venne poi immediatamente secretata. I giornali sovietici non scrissero una sola riga sulla catastrofe. Per quanto riguarda i risultati dell’indagine ufficiale, le autorità dichiararono responsabili della collisione i piloti e i controllori del traffico aereo. Larisa Savitskaja ha ricevuto informazioni sui risultati delle indagini solo negli anni Novanta. E il primo articoletto su di lei è apparso solo nel 1985 sul quotidiano “Sovetskij Sport” (“Sport sovietico”). Larisa Savitskaja ha ricordato: “Sembra che volessero proprio scriverne, ma era proibito menzionare l’incidente. Così hanno inventato la storia che io, come una specie di Icaro, avevo volato su un aereo fatto in casa e ero caduta dall’altezza di cinque chilometri, ma ero sopravvissuta, perché un sovietico può superare qualsiasi cosa…”.

Successivamente, Larisa si trasferì da Blagoveshchensk a Mosca. Era troppo difficile per lei vivere nella città dove tutto le ricordava Vladimir. Nella capitale si occupò di psicofisiologia. Anche a quarant’anni dall’incidente, ammette di ricordare tutto e dice che i ricordi la fanno ancora soffrire. Allo stesso tempo, ritiene che “i fulmini non cadano mai due volte sullo stesso punto”, quindi non ha paura di volare. Nel 2020, Larisa Savitskaja ha partecipato alla realizzazione del film “Odná” (ossia: “L’unica”, ‘La sola”) del regista Dmitrij Suvorov. È stata una consulente per gli sceneggiatori e gli attori per assicurare che il film rispecchiasse i fatti reali.

Larisa Savitskaja dice: “Rimane viva in me l’idea che è possibile imparare a sopravvivere in tali situazioni”.


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