Dieci giorni dopo la Rivoluzione a Pietrogrado (attuale San Pietroburgo), i funzionari e gli impiegati del Ministero delle Finanze dell'Impero Russo si riunirono per protestare contro la presa del potere da parte dei bolscevichi.
“Abbiamo deciso di proclamare uno sciopero generale ed emettere una risoluzione”, scrisse Sergej Belgard, segretario del Ministero. La risoluzione affermava: “Noi, dipendenti del Ministero delle Finanze, dichiariamo: 1) Non consideriamo possibile obbedire agli ordini provenienti da coloro che hanno preso il potere. 2) Ci rifiutiamo di entrare in relazioni ufficiali con loro. 3) D'ora in avanti, fino all'istituzione delle autorità riconosciute a livello nazionale, interrompiamo le nostre attività ufficiali, ponendo la responsabilità delle conseguenze su coloro che hanno preso il potere”.
Quando Vjacheslav Menzhinskij, leader bolscevico incaricato da Lenin di controllare la Banca di Stato, si presentò al Ministero delle Finanze, il direttore dell'Ufficio di Credito e della Zecca Conrad Sahmen si rifiutò di stringergli la mano. Per tutta risposta, Menzhinskij disse: “Non ti considero più il direttore dell'Ufficio di Credito”. La guerra ebbe così inizio.
“Proteggere il tesoro nazionale dai saccheggi”
Il Ministero delle Finanze non era, naturalmente, l’unica istituzione che aveva alzato la voce contro il nuovo potere bolscevico. Due giorni dopo la risoluzione, il 29 ottobre, i cadetti di diverse scuole militari di Pietrogrado ammutinarono contro i bolscevichi; ma la cosa fu rapidamente repressa, e costò la vita a centinaia di ragazzi.
Sia l'ammutinamento dei cadetti che lo sciopero degli statisti furono ispirati dal “Comitato per la salvezza della patria e della rivoluzione”, un’organizzazione controrivoluzionaria creata dai membri della Duma di Pietrogrado la notte del 26 ottobre, mentre i bolscevichi stavano catturando il Palazzo d'Inverno. Il Comitato dichiarò illegali i bolscevichi e il loro potere e diffuse volantini che invitavano i cittadini a non riconoscere il nuovo governo.
Dopo il fallimento dell'ammutinamento dei cadetti, il Comitato si dedicò completamente a sostenere lo sciopero dei dipendenti pubblici. Allo sciopero, iniziato nell'ottobre del 1917, parteciparono più di 40.000 impiegati e funzionari; fra essi vi erano 10.000 impiegati di banca, 6.000 impiegati postali, 4.700 telegrafisti e 3.000 impiegati di imprese commerciali. I tipografi minacciarono di smettere di stampare documenti bolscevichi, mentre i lavoratori dell'industria alimentare di Mosca decisero di interrompere le forniture di cibo a Pietrogrado.
“Il personale tecnico ci sta sabotando. Non sistemeremo nulla da soli. Inizierà la fame”, disse Anatolij Lunacharskij, un famoso bolscevico nonché vice capo del Soviet di Pietrogrado. Lunacharskij aveva forti connessioni con l'intellighenzia di un tempo e capì che lo sciopero dei funzionari zaristi poteva rivelarsi fatale. “È possibile, naturalmente, agire usando il terrore... ma perché? Al momento, dobbiamo prima di tutto prendere possesso dell'intero apparato [civile]”.
Nel frattempo, senza accesso al Tesoro e alla Banca di Stato, i bolscevichi si ritrovarono al verde. E i dipendenti della Banca di Stato pubblicarono un comunicato per i cittadini: “Cari cittadini! La Banca di Stato è chiusa. Perché? Perché la violenza inflitta dai bolscevichi alla Banca di Stato non ci ha permesso di continuare a lavorare. Le prime mosse dei Commissari del Popolo si sono manifestate con la richiesta di 10 milioni di rubli; il 28 ottobre hanno chiesto 25 milioni senza specificare a cosa sarebbe servito questo denaro... Noi, funzionari della Banca di Stato, non possiamo prendere parte al saccheggio del patrimonio nazionale. Abbiamo smesso di lavorare. Cittadini, il denaro della Banca di Stato è il denaro del popolo, estratto col vostro lavoro, sudore e sangue. Cittadini, proteggete il tesoro nazionale dal saccheggio, e noi dalla violenza, e ci metteremo subito al lavoro. Gli impiegati della Banca di Stato”.
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“I funzionari devono lasciare gli appartamenti entro tre giorni”
Ma il problema più grande non era nemmeno rappresentato dalla Banca di Stato: i funzionari del Ministero degli Esteri sabotarono lo stesso Lev Trotskij, probabilmente il secondo bolscevico più noto dopo Lenin all'epoca. Trotskij, che fu il primo Commissario del Popolo per gli Affari Esteri nel nuovo governo, ricordò così il suo primo giorno al Ministero: “Mi dissero che non c’era nessuno. Un tal principe Tatishchev disse che non c’erano impiegati, che non si erano presentati al lavoro. Ho preteso di radunare quelli che c’erano; e in effetti si è presentato un numero enorme. Ho spiegato loro che la questione [del nuovo potere] era irrevocabile, e che sarebbe rimasto al lavoro solo chi avrebbe servito in buona fede. Ma fu tutto inutile”.
Circa 600 funzionari si dimisero immediatamente, alcuni andarono a casa, mentre altri si chiusero nei loro uffici. Il vice ministro degli esteri Anatolij Neratov cercò di fuggire con le copie originali dei trattati segreti del governo imperiale. Nel frattempo, al Ministero delle Finanze venivano bruciati i documenti finanziari internazionali per confondere le relazioni economiche della Russia con altri Stati.
Per frenare lo sciopero i bolscevichi misero in atto misure urgenti: il 1° novembre 1917, il Comitato Rivoluzionario di Pietrogrado smise di pagare i funzionari zaristi che aderirono allo sciopero, e il 26 novembre dichiarò i controrivoluzionari e i sabotatori “nemici dello Stato”.
Vjacheslav Menzhinskij emise un ordine con il quale dichiarava personalmente ai funzionari del Ministero delle Finanze: “Tutti gli impiegati che non riconoscono le autorità del Soviet dei Commissari del Popolo sono considerati licenziati dal servizio senza conservare il diritto alla pensione. Gli impiegati e i funzionari che vogliono continuare il loro lavoro e sottomettersi completamente al potere rivoluzionario, dovranno iniziare lunedì. I funzionari licenziati che usano appartamenti di proprietà dello Stato dovranno sgomberarli entro tre giorni”.
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I nuovi funzionari ebrei
Il 17 novembre, Menzhinskij entrò con la forza negli uffici della Banca di Stato; le casseforti e gli uffici furono forzati e il denaro sequestrato. Fu l'inizio del Terrore Rosso. Il 7 dicembre, per combattere il sabotaggio fu organizzata la Commissione Straordinaria (Cheka) diretta da Feliks Dzerzhinskij, e Lenin diede all'organo “poteri di emergenza”: a tutti gli effetti, il diritto di giustiziare le persone.
Quasi immediatamente la Cheka scoprì che l’Unione degli impiegati delle istituzioni statali (un'organizzazione degli ex funzionari zaristi), stava raccogliendo denaro per aiutare finanziariamente gli impiegati in sciopero. Per fare ciò, gli ex ministri del governo provvisorio sequestrarono 40 milioni di rubli dalla Banca di Stato (non molto, visto che il bilancio del paese era di oltre 2 miliardi, e uno stipendio decente all'epoca era di circa 400-500 rubli). Da questo denaro, i funzionari in sciopero ricevevano con anticipo lo stipendio di uno o due mesi. Ma il 18 dicembre fu intercettato un telegramma redatto da alcuni ex ministri del governo provvisorio che invitava tutti i funzionari ad avviare atti di sabotaggio in tutta la Russia.
Tutto ciò ovviamente non poteva finire bene. Il 17 dicembre Lev Trotskij dichiarò: “Entro un mese, il terrore prenderà forme molto forti, seguendo l'esempio dei grandi rivoluzionari francesi. I nostri nemici andranno incontro alla ghigliottina, non solo alla prigione”. Il Terrore Rosso entrò a pieno regime nel 1918: i funzionari che si rifiutavano di firmare obblighi scritti di non collaborazione con gli organismi controrivoluzionari furono sottoposti a repressione. Il 3 settembre 1918, 512 ex funzionari, ministri, professori ecc. furono fucilati. A quel punto, lo sciopero dei funzionari era già finito da tempo.
Ovviamente nell'apparato statale apparve un gran numero di posti vacanti che furono occupati in buona parte da funzionari ebrei istruiti, che prima non avevano avuto l'opportunità di servire nelle istituzioni statali perché le leggi zariste limitavano i loro diritti. La maggior parte della popolazione ebraica in Russia a quel tempo era antizarista proprio per questo motivo. I bolscevichi, al contrario, sostennero gli ebrei russi con il decreto del 25 luglio 1918 “Sulla lotta contro l'antisemitismo e i pogrom ebraici”, emesso dal Soviet dei commissari del popolo. Così gli ebrei furono invitati a servire il nuovo Stato e l'Armata Rossa.
Semen Dimanstein, un funzionario sovietico responsabile delle comunità ebraiche nel Commissariato del Popolo per le Nazionalità, scrisse: “Il fatto che un numero significativo di intellettuali ebrei si riversò nelle città russe a causa della guerra servì molto alla Rivoluzione: contribuirono a sventare il sabotaggio generale che abbiamo incontrato subito dopo la Rivoluzione”. Così come scrisse Dimanstein, anche Lenin avrebbe sottolineato come i bolscevichi “riuscirono a conquistare l'apparato statale e a modificarlo significativamente grazie a questa riserva di nuovi funzionari competenti, più o meno intelligenti e sobri”.
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