Lontano da casa
Nel 1768 scoppiò l'ultima di una serie di guerre tra due acerrimi nemici: l'Impero russo e l’Impero ottomano. I principali teatri degli scontri furono i Balcani, il nord del Mar Nero e il Caucaso.
L'imperatrice russa Caterina II, detta la Grande, aveva pianificato di infliggere un colpo inaspettato alle retrovie turche. Poco dopo lo scoppio del conflitto, uno squadrone russo guidato dall'ammiraglio Grigorij Spiridov salpò quindi dal Mar Baltico diretto verso il Mediterraneo.
Dopo aver circumnavigato l'Europa intera, si voleva approdare in Grecia e sostenere la rivolta dei patrioti locali (Rivolta Orlov, che vide i greci sollevarsi nel Peloponneso sotto l'incitamento del conte Orlov), minacciare Istanbul e distogliere in questo modo l'attenzione dei turchi dal Mar Nero, dove le forze navali russe a quel tempo erano molto limitate.
Mai prima d'allora la flotta russa aveva combattuto a migliaia di miglia da casa, così lontano dalle proprie basi di approvvigionamento. In simili circostanze, qualsiasi fallimento avrebbe potuto rivelarsi catastrofico. Ma come ci insegna la storia, la flotta non solo non subì alcuna sconfitta, ma ottenne addirittura la più grande vittoria nella storia navale russa.
Il primo attacco
Nel febbraio 1770 lo squadrone raggiunse la costa della Grecia, dove la popolazione locale si stava ribellando contro il dominio ottomano. Per tutta la primavera, gli alleati russi e greci spostarono nel Peloponneso la lotta con gli ottomani, facendo sbarcare forze d'assalto, effettuando attacchi a sorpresa, assediando fortezze e tagliando le linee di comunicazione del nemico.
Nel maggio dello stesso anno, lo squadrone di Spiridov si unì al contrammiraglio John Elphinston, un ufficiale britannico alle dipendenze della marina russa, il cui squadrone avrebbe lasciato il Baltico poco dopo. In quel momento le forze russe potevano fare affidamento su nove corazzate, tre fregate e una nave bombardiera per colpire le fortificazioni nemiche, oltre a una ventina di navi ausiliarie più piccole. La spedizione militare nel Mediterraneo avvenne sotto il comando generale del conte Aleksej Orlov.
La flotta turca, che i russi individuarono nello stretto di Chio, al largo della costa occidentale dell'Anatolia il 5 luglio 1770, era un avversario a dir poco temibile: i capitan pasha (grandi ammiragli) Ibrahim Husayeddin e Cezayirli Gazi Hasan avevano a disposizione 16 navi da guerra, sei fregate, 19 galee e velieri, oltre a 32 navi ausiliarie.
Nonostante il vantaggio numerico, i marinai ottomani erano molto meno preparati dei russi: mancavano di coerenza e chiarezza, e a bordo spesso regnava il caos. “Durante le manovre, le urla e il casino raggiungevano le navi russe ancor prima che le squadriglie avessero sparato un colpo di cannone”, fece notare lo storico del XIX secolo Viktor Golovachev: “I turchi sparavano senza abilità e fuori bersaglio, tanto che dopo i colpi di cannone si potevano sentire forti risate a bordo delle navi russe”.
La flotta ottomana era schierata in due linee ad arco, ma la formazione era così stretta che solo le navi della prima linea potevano usare efficacemente la loro artiglieria. Il comando russo sapeva che, dato lo squilibrio delle forze, non poteva condurre duelli di cannoni a lunga distanza per molto tempo, e così si affidò al combattimento ravvicinato e all'abbordaggio navale.
Lo squadrone combinato non formava una linea come quello turco. Al contrario, impiegò la tattica della nave di linea, per cui ogni nave seguiva la scia di quella davanti, e si avvicinava alla prima linea della flotta ottomana quasi ad angolo retto. La professionalità dei marinai russi assicurò che questa manovra fosse eseguita rapidamente e, nonostante il pesante fuoco nemico, quasi senza spargimento di sangue.
Quando la squadriglia colpì il centro della linea nemica, l'ammiraglio Spiridov lanciò la sua nave ammiraglia Sant'Eustachio contro la nave ammiraglia ottomana Real Mustafa. A bordo delle imbarcazioni scoppiò un feroce combattimento corpo a corpo. Uno dei marinai russi, nonostante le ferite riportate a entrambe le braccia, spinto dalla foga afferrò la bandiera ottomana coi denti.
Alla fine i colpi di cannone distrussero entrambe le imbarcazioni; la maggior parte degli equipaggi perse la vita, mentre i comandanti riuscirono a mettersi in salvo.
I turchi decisero di ritirarsi nella baia di Cesme sotto la protezione dei loro cannoni di artiglieria costiera. Ma ciò si rivelò un grave errore.
I combattimenti
Strette nella piccola baia, le navi ottomane persero ogni spazio di manovra. Fu allora che il comando russo propose di usare il vento che soffiava dal mare verso la riva per ridurre in cenere la flotta nemica.
E così il 6 luglio, lo squadrone combatté un feroce duello di artiglieria con le navi turche, danneggiandone diverse. “La superficie del mare era infuocata dai colpi dei cannoni”, scrisse lo storiografo ottomano Ahmed Vassaf Effendi. Inoltre, quattro delle piccole navi ausiliarie furono trasformate in barche da fuoco cariche di esplosivo.
Alle 2 del mattino del 7 luglio, questo gruppo d'attacco entrò nella baia di Cesme. Solo una delle barche riuscì a passare, ma fu sufficiente. Dopo aver fatto saltare una corazzata ottomana da 84 cannoni, mise in moto una disastrosa - dal punto di vista turco - reazione a catena. I detriti in fiamme si sparsero per la baia, provocando l'incendio di altre navi.
“È più facile immaginare che descrivere l'orrore, lo stupore e la confusione che travolse il nemico”, raccontò più tardi il commodoro Samuel Greig, un altro inglese della Marina imperiale russa: “I turchi cessarono ogni resistenza. Interi equipaggi si gettarono in acqua in preda alla paura e alla disperazione. Il terrore dei turchi era così grande che non solo abbandonarono le navi e le batterie costiere, ma addirittura fuggirono dal castello e dalla città di Cesme, che era già stata abbandonata dalla guarnigione e dagli abitanti”.
Alla fine, le navi russe furono costrette a cessare il fuoco e avviare le operazioni di salvataggio dei turchi ancora vivi. “L'acqua, mista a sangue e cenere, aveva un aspetto ripugnante - disse il principe Yurij Dolgorukov -. Sulle onde galleggiavano cadaveri bruciati… talmente tanti che era difficile navigare attraverso il porto”.
Una vittoria che segnò la storia
Come risultato della battaglia di Cesme, gran parte della flotta ottomana fu distrutta. I turchi persero 15 corazzate, sei fregate e molte piccole navi. Su 15.000 marinai, quasi 11.000 furono uccisi. Inoltre, una corazzata e cinque galee furono catturate.
La flotta russa divenne la sovrana non solo del Mar Egeo, ma di tutto il Mediterraneo orientale: era libera di tagliare le linee di comunicazione ottomane, bloccare i Dardanelli e persino condurre un'operazione per impadronirsi del porto chiave di Beirut.
Grazie in gran parte al trionfo di Cesme, la guerra contro i turchi terminò nel 1774 con una vittoria russa. La Russia si stabilì saldamente sulla costa del Mar Nero e acquisì i suoi primi territori in Crimea. Da quel momento in poi, la sua influenza sulla penisola balcanica sarebbe cresciuta costantemente.
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