Quello strano negozio nella Mosca sovietica dove si vendevano isotopi radioattivi

A.Sergeev-Vasiliev/TASS
Aprì nel 1959 e ha chiuso i battenti solo nel 1990. Tutti potevano entrare a dare un’occhiata, ma non tutti, ovviamente, potevano comprare la sua merce

È piuttosto difficile immaginare oggi di poter andare in un normale negozio a comprare sostanze radioattive. “Tutto per terroristi”, scherza un commentatore sul web sotto un articolo che ricorda che in Urss esisteva proprio un negozio di questo tipo, chiamato “Izotópy” (“Изотопы”, ossia, come è facile capire: “Isotopi”)! Ed era popolare non solo nell’intera Unione Sovietica: anche gli stranieri lo frequentavano, e il negozio stesso era impegnato nell’esportazione.

Il punto vendita si trovava su una grande strada che va verso il centro di Mosca, il Léninskij Prospékt. Sul tetto del palazzo c’era un’enorme insegna al neon con l’immagine a quattro colori di un atomo e la scritta in tre lingue: “Atome pour la paix”, “Атом для мира” (“Atom dljà mira”), “Atom for peace”; insomma “L’atomo per la pace”. Questa frase spiegava bene il motivo della creazione di un  simile punto vendita: alla fine degli anni Cinquanta, l’Unione Sovietica faceva affidamento sull’“atomo pacifico”. La radioattività sarebbe diventata parte della vita quotidiana dei cittadini sovietici e da lì in poi li avrebbe aiutati in tutto: a conservare le patate, a eliminare le perdite nelle canalizzazioni e persino a contare i pesci…

Patate irradiate

L’esistenza stessa di questo negozio divenne possibile grazie a una scoperta avvenuta 25 anni prima, nel 1934, quando i coniugi Irène (1897-1957) e Frédéric Joliot-Curie (1900-1958) avevano dimostrato che l’uomo stesso può creare la radioattività. Un’idea incredibile per quei tempi. In precedenza si riteneva non solo che la radiazione artificiale fosse impossibile, ma anche che fosse impossibile controllare (rallentare o accelerare) la radiazione. I Joliot-Curie dimostrarono il contrario: irradiando l’alluminio con il polonio, a seguito del decadimento radioattivo, ottennero nuclei di atomi di fosforo che non si trovano in natura. In altre parole, un isotopo radioattivo.

La cosa più sorprendente di questa scoperta è che l’isotopo tratteneva la radioattività solo per un breve periodo e la sua radiazione poteva essere facilmente rilevata. Sono state queste proprietà ad aprire la strada agli isotopi nell’industria, nella scienza, nella medicina e persino nel mondo dell’arte. Entro un anno dalla scoperta della radioattività artificiale, gli scienziati avevano già ottenuto più di cinquanta isotopi radioattivi.

Funzionavano come radio invisibili, inviando continuamente segnali di dove si trovavano. Potevano essere registrati da dosimetri o rilevatori di particelle cariche. Con il loro aiuto è stato possibile, ad esempio, scoprire quanto velocemente si consumassero le pareti di un altoforno. Non era più necessario interrompere il funzionamento del forno. Era sufficiente posare una sostanza radioattiva sul muro e, dopo che l’altoforno aveva iniziato a funzionare, controllare la radioattività di campioni di metallo di ogni fusione Se c’erano radiazioni nella ghisa, era un segno di usura dell’altoforno.

Con l’aiuto degli isotopi, si rese possibile contare il numero di pesci presenti in un bacino d’acqua, misurare la densità della pelliccia degli animali, controllare se il fertilizzante è ben assorbito dalle piante, trovare le perdite di gas nei gasdotti, determinare l’umidità del suolo, diagnosticare gastrite, ulcere gastriche o cancro, studiare preziosi oggetti d’arte e gioielli, contrassegnare banconote e trattare le patate in modo che non germogliassero.

E questo è solo un piccolo esempio dei possibili utilizzi degli isotopi. A metà degli anni Cinquanta, c’era la sensazione che i sovietici volessero trasformare quasi tutte le industrie, mettendole sui binari della radioattività. La cosa veniva usata anche dal punto di vista della politica estera: contrapponendo, nella propaganda, l’agenda nucleare pacifica dell’Urss agli Stati Uniti militaristi, che il nucleare l’avevano usato per fare strage di civili a Hiroshima e Nagasaki.

“Qual è la grandezza dell’atomo sovietico? Il fatto che è in congedo. Sì, c’è poco da discutere! Da noi l’atomo si è tolto l’uniforme militare. Da quando è stata lanciata la prima centrale nucleare, l’atomo ha indossato la tuta da lavoro. Gli isotopi sono atomi in tuta, lavoratori pacifici”, scrisse la rivista Ogonjók nel 1960. La prima centrale nucleare al mondo era quella di di Obninsk, nella regione di Kaluga, a 120 chilometri da Mosca, aperta nel 1954.

Il negozio “Izotopy” aprì invece i battenti nel 1959.

Chi poteva fare acquisti

In effetti, questo non fu mai un negozio normale. Tanto per cominciare, le sostanze non venivano vendute a tutti, ma solo a chi ne aveva diritto. E poiché le persone comuni non avevano motivo di andarci, non tutti i residenti di Mosca capivano cosa vendessero lì e in quale forma. Ma i curiosi rimanevano delusi: “Era un negozio deserto e noioso: né la formidabile brillantezza del mercurio, né la monumentalità dei lingotti di uranio…Era come un museo senza niente mostra”, ricorda il moscovita Viktor.

Veniva richiesto un certificato di lavoro, che confermava di avere diritto ad acquistare simili beni. Tecnicamente era “un documento che stabilisce il diritto a ricevere, immagazzinare e lavorare con i prodotti specificati”. Di regola, questi erano rappresentanti di fabbriche, ospedali e istituti di ricerca.

Gli isotopi venivano venduti in contenitori schermati dalle radiazioni, che dovevano essere restituiti al negozio entro 15 giorni.

I commessi avevano la carica di “supervisore scientifico del negozio” e, come si può ben capire, venivano assunte lì solo persone che conoscevano di cosa si stava parlando. Per come appariva, “Izotopy” sembrava più uno showroom che un negozio standard con un bancone, poiché era impossibile vedere direttamente il prodotto. C’era un catalogo e un tabellone luminoso che mostrava cosa era disponibile in magazzino. I fornitori erano direttamente uomini in uniforme del Ministero degli affari interni.

Sembrava che un simile negozio dovesse avere grande successo e una lunga vita, vista la crescente richiesta di isotopi. Gli anni Cinquanta videro infatti il boom della tecnologia e degli strumenti per i radioisotopi, che si distinguevano per un alto grado di semplicità ed economicità ed erano praticamente sinonimo della parola “automazione”. Ma la situazione non fu così semplice.

Prodotti da esportazione

In un’economia socialista pianificata, dove le carenze riguardavano anche beni più comuni, la fornitura di isotopi soffriva di irregolarità e problemi con l’imballaggio (e quindi con la sicurezza del trasporto). Il pericolo delle radiazioni fece sorgere molte domande da parte del servizio postale sovietico, che si occupava dei trasferimenti. E le carenze non riguardavano solo l’approvvigionamento diretto delle sostanze, ma soprattutto dei dispositivi di protezione, come le casse di piombo e i dosimetri.

Le carenze, i problemi di logistica, di imballaggio, di trasporto, e di sicurezza, fecero presto svanire l’euforia intorno agli isotopi all’interno dell’Unione Sovietica. Ma non al di fuori di essa. Gli isotopi sovietici, a causa della loro alta qualità e del basso prezzo, erano molto apprezzati sul mercato occidentale.

Ad esempio, 1 grammo di un isotopo altamente arricchito poteva essere venduto per diverse migliaia di dollari. Ma oltre al monopolista di Stato coinvolto nell’esportazione, anche gli scienziati di vari istituti di ricerca sovietici li esportarono illegalmente. L’Occidente di solito ripagava gli isotopi con attrezzature scientifiche o con la possibilità di condurre ricerche in laboratori con pieno sostegno economico. Tali transazioni, di regola, erano formalizzate da accordi di cooperazione scientifica e tecnica internazionale.

Dagli anni Novanta, tali esportazioni hanno assunto una scala massiccia e le società private e le società affiliate agli istituti di ricerca hanno iniziato a occuparsi della questione. Il negozio “Izotopy” ha chiuso poco prima del crollo dell’Unione Sovietica, nel 1990. Al suo posto venne aperto il primo negozio del Paese di fotocamere istantanee “Svetozor”, che vendeva macchine fotografiche prodotte in Urss su licenza della Polaroid


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