Come e perché l’Italia attaccò l’Urss nella Seconda guerra mondiale (FOTO)

Benito Mussolini in visita alle truppe italiane sul fronte orientale

Benito Mussolini in visita alle truppe italiane sul fronte orientale

Legion Media
Nonostante il Regio Esercito non fosse pronto per entrare in scena su un teatro bellico come quello russo, Mussolini volle a tutti i costi dar manforte a Hitler. Non finì bene, per i soldati mandati allo sbaraglio

Ufficiali italiani sul fronte orientale

“Quando un soldato italiano sa per cosa combatte, combatte bene, come ai tempi di Garibaldi. Ma in questa guerra, i soldati non solo non sanno per cosa stanno combattendo, ma non hanno voluto e non vogliono questa guerra. Pertanto, pensano solo a come tornare a casa”. Così un bersagliere della 3ª Divisione celere “Principe Amedeo Duca d’Aosta”, spedito da Benito Mussolini sul fronte orientale, parlò a proposito della partecipazione dell’Italia alla campagna militare contro l’Unione Sovietica nell’estate del 1941. La sua testimonianza viene citata nel libro dello storico militare Ilja Moshchanskij “Germano-italjanskie boevye operatsii. 1941-1943” (ossia: “Operazioni belliche tedesco-italiane. 1941-1943”).

Parata delle truppe italiane a Roma

Nonostante il fatto che l’Italia avesse dichiarato guerra all’Unione Sovietica il giorno in cui iniziò l’operazione Barbarossa, il 22 giugno 1941, in quel momento non c’erano soldati italiani nelle truppe d’invasione. Inizialmente, Adolf Hitler non intendeva coinvolgere il suo principale alleato nella “crociata contro il bolscevismo”. Roma, secondo il Führer, aveva già abbastanza grane: grandi forze di occupazione dovevano essere mantenute in Albania, Grecia e Iugoslavia, i possedimenti italiani nell’Africa orientale erano già praticamente persi, e nel Nord Africa gli italiani stavano resistendo solo grazie al supporto delle truppe tedesche di Erwin Rommel, l’Afrikakorps, che erano arrivate in loro soccorso in Libia nel febbraio precedente. Nonostante ciò, Benito Mussolini, che era stato avvertito dell’attacco all’Urss solo poche ore prima dell’inizio delle ostilità, convinse il leader del Terzo Reich a dare alle sue truppe la possibilità di mettersi alla prova nella lotta contro i russi.

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Bersaglieri a Stalino (antica denominazione della città di Donetsk)

I primi soldati italiani arrivarono sul fronte orientale tra luglio e agosto del 1941. Il cosiddetto Corpo di Spedizione Italiano in Russia (CSIR) contava oltre 62.000 uomini, incluse seicento camicie nere della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale. Il supporto aereo era fornito da 83 velivoli, tra cui 51 caccia “Macchi M.C.200 ‘Saetta’” della Regia Aeronautica.

Bersaglieri in URSS, 1942

Le primissime settimane di attività del CSIR in Unione Sovietica mostrarono che l’Italia era del tutto impreparata a questa guerra. La fornitura di provviste, uniformi e munizioni era estremamente mal organizzata. La situazione andava ancora peggio con i mezzi motorizzati: i camion italiani non potevano resistere alle strade russe. I soldati della 52ª Divisione fanteria “Torino”, costretti a marciare per oltre 1.300 km dal confine romeno verso est, si paragonarono ai fanti del Medioevo, con i tedeschi, che, come padroni, si spostavano su mezzi adeguati e li trascinavano con sé in guerra.

Benito Mussolini ispeziona i quattro cannoni che ha inviato con la prima divisione di soldati sul fronte russo

Un problema particolare era l’armamento del corpo di spedizione. I cannoni controcarro da 47 mm erano impotenti contro i T-34 sovietici. I loro proiettili lasciavano solo piccole ammaccature nell’armatura dei carri armati o semplicemente rimbalzavano. Tra i blindati, gli italiani avevano solo 60 tankette “L3-35”, che non erano in grado di combattere ad armi pari contro i carri armati dell’Armata Rossa. Quando il gelo iniziò a colpire, anche i caccia iniziarono a dare forfait: il “Macchi M.C.200” era originariamente destinato al teatro delle operazioni del Mediterraneo, e non era certo adatto per l’inverno russo.

La 2ª Divisione fanteria

Tutti questi fattori portarono al fatto che il corpo italiano suscitava costanti lamentele da parte del comando dell’Heeresgruppe Süd tedesco, a cui era subordinato. Nonostante alcune operazioni locali di successo degli italiani (come la vittoria nella “Battaglia di Natale” del 26 dicembre 1941 sul fiume Mius), i tedeschi non li stimavano molto. “In considerazione della scarsa capacità di combattimento delle divisioni italiane, purtroppo, possono essere utilizzate solo per la copertura passiva dei fianchi nelle retrovie”, scrisse il capo di stato maggiore delle forze di terra tedesche Franz Halder nel suo diario di guerra.

Motoscafo armato silurante MAS 528 sul lago Ladoga

La situazione era diversa per quanto riguarda la Regia Marina, che ricevette grandi elogi dai tedeschi. Una delle unità speciali più efficaci della Seconda guerra mondiale, la Xª Flottiglia MAS, era attiva nel Mar Nero, dove le sue torpediniere, i suoi sommergibili, i suoi barchini siluranti e i gruppi di sabotaggio combatterono con successo contro le truppe e la flotta sovietica in Crimea. Diverse imbarcazioni furono addirittura inviate nel Baltico, molto lontano dall’Italia.

Soldato italiano a Kharkiv

In relazione alla popolazione locale e ai prigionieri di guerra dell’Armata Rossa, gli italiani si comportarono in modo molto più umano di tedeschi, ungheresi e romeni. “La mattina presto del 21 ottobre 1941, c’erano già truppe italiane in città”, ricordò la residente della città ucraina di Pokrovsk Ekaterina Matejchuk (Gjiduk), “E noi bambini correvamo a vedere che bella uniforme avevano: berretti con piume lucenti, lucidi cordoni… Non facevano paura. Ma gli italiani se ne andarono molto velocemente, e quando i tedeschi apparvero in città iniziarono a commettere atrocità, e ci accorgemmo della differenza…”. Nonostante gli italiani cercassero di prendere le distanze dai metodi brutali dei loro alleati, anche il percorso del CSIR attraverso l’Urss fu segnato da una serie di crimini di guerra: omicidio di civili, stupri, saccheggi e distruzione di infrastrutture civili.

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Carro armato L6/40

Nell’estate del 1942, il corpo di spedizione aveva perso circa 15 mila uomini, un quarto della sua forza. Mussolini decise di rafforzare in modo significativo il suo raggruppamento militare in Urss, e, in luglio, l’8° Armata, conosciuta anche come Armata italiana in Russia (ARMIR), fu schierata sul campo di battaglia. Il numero delle sue truppe ammontava a 229-235 mila uomini. Un contingente di tutto rispetto, ma i precedenti problemi con rifornimenti e armi non scomparvero. Il piccolo gruppo di 19 carri armati leggeri L6/40 entrati in servizio non poteva diventare una forza d’attacco significativa, quindi delle formazioni corazzate tedesche venivano periodicamente incluse nell’ARMIR.

La ritirata dell'ARMIR

L’aiuto più prezioso giunto alle truppe italiane sul fronte orientale furono diverse divisioni del Corpo Alpino. Abituati al freddo, ben armati, equipaggiati e addestrati, gli Alpini erano considerati le unità più affidabili nell’Esercito Regio. Furono loro a togliere le castagne dal fuoco all’ARMIR, più di una volta, quando le cose si mettevano male.

Truppe italiane in Unione Sovietica

Ma i tempi difficili per gli italiani arrivarono molto presto. Subito dopo l’accerchiamento della 6ª Armata della Wehrmacht a Stalingrado nel novembre 1942, le truppe sovietiche attaccarono l’8ª Armata italiana appostata sul Don. Durante diverse operazioni offensive in dicembre e gennaio, gli italiani furono completamente sconfitti.

Corpi di soldati italiani senza vita coperti dalla neve

La ritirata della sconfitta ARMIR dal Don verso ovest fu simile alla fuga della Grande Armata di Napoleone dalla Russia nel 1812. “Gente esausta cadeva sulla neve per non rialzarsi mai più”, ricordò Eugenio Corti, ufficiale della Divisione Pasubio: “Alcuni sono impazziti e non si sono accorti che stavano morendo. I più ostinati hanno strisciato lungo la strada per molto tempo, fino a quando le forze hanno lasciato gli sfortunati. Molto spesso ho sentito parlare di casi di follia. Ricordo come fui scioccato dalla storia di un uomo che improvvisamente iniziò a ridere, si sedette in un cumulo di neve, si tolse le scarpe e iniziò a seppellire i piedi nudi nella neve. Ridendo, cantò ad alta voce qualcosa di molto divertente. Ci sono stati moltissimi casi simili”. Erano dovuti presumibilmente all’ipotermia. Una vera resistenza organizzata venne periodicamente fornita solo dagli Alpini, che coprivano la ritirata dei loro compagni d’armi.

Soldati sovietici con la bandiera catturata di un reggimento italiano

Durante le battaglie in Russia, l’8ª Armata italiana perse oltre 114 mila uomini, tra morti, prigionieri e dispersi. Non avendo ottenuto nulla, le truppe si ritirarono in patria nella primavera del 1943. Il disastro dell’ARMIR sconvolse la società italiana e divenne uno dei motivi principali della rapida caduta del regime fascista di Benito Mussolini in Italia.


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