La riforma del russo era in preparazione già prima della Rivoluzione, ma l’Accademia russa delle scienze portava avanti il lavoro con lentezza estenuante. Dopo la Rivoluzione d’Ottobre, il nuovo governo agì in modo molto più deciso, perché voleva lasciarsi alle spalle tutto il “vecchio”: il regime zarista, la religione, l’economia capitalista, e persino l’antica ortografia poco funzionale.
Nel 1918 fu emanato il decreto sulla nuova ortografia e tutte le pubblicazioni stampate furono obbligate a seguire le nuove norme. L’ortografia pre-rivoluzionaria fu praticamente distrutta.
L’ortografia pre-rivoluzionaria era piuttosto complicata e i bolscevichi avevano bisogno di riformarla per semplificare l’apprendimento. Uno dei loro obiettivi principali era infatti l’eliminazione dell’analfabetismo. Prima della rivoluzione, secondo varie stime, solo al massimo il 40% della popolazione russa sapeva leggere e scrivere. Ma la nuova classe egemone guidata da Lenin, quella dei lavoratori e dei contadini, doveva agire ora attivamente in tutti gli ambiti della società, quindi il governo della giovane terra dei Soviet obbligò l’intera popolazione dagli 8 ai 50 anni a imparare a leggere e scrivere.
Il censimento della popolazione del 1926 mostrò che già in pochi anni di sforzi, nelle campagne, dove in precedenza l’analfabetismo era a tassi altissimi, circa il 50% delle persone sapeva ormai leggere e scrivere.
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Prima della Rivoluzione, l’alfabeto russo aveva 35 lettere (37 di fatto), e non c’era un unico insieme di regole di ortografia, ma solo una nuova grafia (il cosiddetto “grazhdanskij shrift”) che era stato introdotto da Pietro il Grande tra il 1708 e il 1710, rendendo le lettere più simili nella forma a quelle latine. Pietro cercava di limitare il potere della Chiesa, e quindi volle un sistema di scrittura semplificato per i decreti del governo, i documenti di carattere laico e i primi giornali.
I bolscevichi rimossero diverse lettere e ne sostituirono alcune con analoghi più semplici che esistevano già nell’alfabeto (cioè, fu deciso che le lettere che indicavano uno stesso suono dovevano essere ridotte ad una). Le lettere nell’alfabeto post-rivoluzionario erano 32, ma poi nel 1942 la Ё fu riconosciuta come lettera a sé, portando a 33 il totale. E questo alfabeto è quello usato fino ad oggi.
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È interessante notare che il decreto non menzionava un’altra lettera del vecchio alfabeto - “ѵ” (ìzhitsa; analogo cirillico della ipsilon, pronunciata come una i), perché era comunque poco usata: diffusa nei testi religiosi, si trasformò senza problemi nella sua naturale controparte: “и”.
Oltre alle lettere, i bolscevichi cambiarono diverse regole di ortografia.
Ad esempio, i prefissi che terminano in З (из, воз, раз, роз, низ, без, чрез, через) da lì in poi devono essere scritti in modo diverso a seconda della lettera che li segue. Prima delle vocali e delle consonanti sonore, rimane “З”, ma prima delle consonanti sorde, “З” va sostituita con “С”: разбить, разораться, ma расступиться (razbìt, razoràtsja, rasstupìtsa; ossia “rompere”, “cominciare a sbraitare”, “farsi largo”)
Il prefisso “C-” , invece, non cambia mai in base alle altre lettere.
Anche le complesse regole delle desinenze in alcuni casi vennero cambiate:
L’emigrazione bianca non accettò la nuova ortografia: le persone che lasciarono il Paese dopo la Rivoluzione ritenevano che i bolscevichi avessero storpiato la lingua russa. Fino agli anni Quaranta e Cinquanta, le pubblicazioni degli émigré russi vennero pubblicate all’estero in stile antico. Chi lasciò l’Urss negli anni successivi, invece, era già stato istruito e abituato alle nuove regole.
Sorsero difficoltà tra chi già sapeva leggere e scrivere. Nella corrispondenza personale, molti continuarono a usare la vecchia ortografia, mentre altri dovettero imparare la nuova in tutta fretta. Soprattutto, gli insegnanti dovettero abituarsi velocemente alle novità.
Ma una delle principali difficoltà fu la “traduzione” nella nuova lingua dell’enorme corpus della letteratura classica dei secoli XVIII-XIX. A causa delle nuove regole delle desinenze, ad esempio, alcune rime in poesia ne soffrivano. Tuttavia, per quanto riguarda i libri, ci fu anche un risultato positivo: le opere di molti grandi scrittori in passato disperse tra varie riviste e tomi, in epoca sovietica vennero “tradotte” nella nuova ortografia e riapparvero immediatamente in serie e raccolte complete.
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