1 / I servi erano persone, non cose
Nella sua opera didascalica “Res Rusticae” dedicata all'amministrazione delle proprietà terriere, lo scrittore romano Marco Terenzio Varrone (116 a.C. – 27 a.C) sostiene che uno schiavo non è nient’altro che “uno strumento parlante”, e lo contrappone agli “strumenti muti” come carri e buoi. Nella storia della Russia, invece, i servi non sono mai stati visti come “strumenti”, in quanto erano battezzati secondo la tradizione cristiano ortodossa.
Infatti nella società zarista, dove la morale era fortemente influenzata dalla religione, considerare una persona battezzata al pari di un “oggetto” era una grave blasfemia.
Ma esistevano pur sempre gli kholop: persone che, secondo l’antico codice di legge russo “Russkaya Pravda” (La verità russa), erano a tutti gli effetti percepite come “strumenti”. Lo status dei loro diritti era pari a quello degli schiavi: diventavano infatti kholop dopo essere stati catturati come prigionieri di guerra, o venduti come schiavi per i debiti accumulati, per evitare di patire la fame o per la salvezza della propria famiglia. Gli kholop non pagavano tributi, perciò tale status poteva rappresentare una via d’uscita estrema per i più poveri, o per coloro che erano stati trascinati dalla vita talmente in basso da non avere altre alternative. Fra loro, si contavano anche dei semplici fannulloni.
Nel 1723 Pietro il Grande mise al bando gli kholop: rimasero quindi solo i servi, che furono obbligati a pagare le tasse come chiunque altro. Perciò, in riferimento alla “schiavitù” vera e propria, nell’accezione antica del termine, in Russia essa venne bandita nel 1723. La servitù, invece, era un’altra cosa.
2 / La servitù era un sistema di dipendenza personale regolato dalla legge
I contadini russi avevano bisogno di protezione dai saccheggi dei nomadi, che nell'antica Rus' avvenivano con frequenza, mentre i principi e i boiardi avevano bisogno di cibo e provviste, che ovviamente potevano essere prodotti dai contadini. Perciò la manodopera degli uni veniva scambiata con la protezione degli altri, creando così un sistema di dipendenza reciproca.
Ma con la nascita del Regno russo iniziarono a scoppiare anche le guerre, e nacque quindi la necessità di avere maggiori risorse a disposizione; fu così che lo Stato iniziò a limitare la mobilità dei servi, per poterli tenere sotto controllo. A partire dal 1497, potevano trasferirsi da un padrone all'altro solo in certi periodi dell'anno. Nel 1649, poi, un altro codice legale, il “Sobornoye Ulozhenie”, faceva loro totale divieto di lasciare le terre e i proprietari terrieri. Il codice vietava poi la compravendita di persone battezzate. Tuttavia, a partire dalla fine del XVII secolo, i proprietari terrieri trovarono ugualmente il modo di comprare e vendere le persone anche senza la terra.
3 / I servi vennero privati di alcuni diritti umani, ma non tutti
È vero che nel XVIII e XIX secolo i servi godevano di diritti umani molto limitati, ma non vi fu mai una legge che li definisse come “oggetti di proprietà”: legalmente erano trattati come persone.
Anche se nel 1746 lo Stato proibì formalmente a tutti i russi, tranne ai nobili, di possedere dei servi, i preti ricchi e i mercanti trovarono ugualmente il modo di registrare i servi a nome di qualche nobile, pur possedendoli a tutti gli effetti.
I servi erano quindi obbligati a passare la maggior parte della giornata lavorando al servizio del proprietario terriero, ritagliando ben poco tempo per lavorare per sé stessi. Dal 1722, tutti i contadini maschi dovettero iniziare a pagare una tassa; nel 1730 venne proibito a tutti i contadini (compresi i servi dello Stato, i servi della nobiltà e i contadini liberi) di acquistare beni immobili nelle città, di stipulare contratti (nel 1731), di organizzare fabbriche tessili (nel 1734), di acquistare servi da mettere al proprio servizio (nel 1739) e così via. Ciò rifletteva il fatto che i contadini stavano rapidamente sviluppando le loro capacità imprenditoriali. Nel 1760, i proprietari terrieri furono autorizzati a esiliare i loro servi in Siberia per cattiva condotta e crimini. I padroni di casa potevano anche ricorrere a punizioni corporali nei confronti dei loro servi.
4 / Lo Stato proteggeva i servi dai padroni di casa
I proprietari terrieri rappresentavano i propri servi in caso di questioni legali e riscuotevano le tasse dei contadini, ma, dopo il 1742, coloro che trattenevano il denaro dei propri contadini potevano esser completamente privati dei servi.
Nel 1721 Pietro il Grande proibì la vendita di servi personali e la separazione delle famiglie; nel 1771, Caterina la Grande vietò le aste per la vendita dei servi.
Caterina aveva a cuore i servi, ma solo come forza per sostenere le necessità del paese in tempo di guerra, e perché la Russia era vista con sospetto dall’Europa poiché la servitù della gleba esisteva ancora. Per questo, nel 1762-1768, Caterina allestì un processo sommario contro "Saltychikha", una padrona di casa evidentemente malata di mente che torturava e uccideva i suoi servi.
E fu proprio sotto il regno di Caterina che il commercio dei servi raggiunse i livelli più bassi: bambini, soprattutto ragazzine vergini, venivano sottratti alle proprie famiglie per essere venduti. Una compra-vendita che non si fermò nemmeno davanti al nuovo divieto di vendita ribadito nel 1833 e nel 1842.
Nel 1823, lo Stato proibì ai proprietari terrieri di mettere i propri servi al servizio di persone di altre caste, come mercanti o sacerdoti. Ma queste leggi non furono mai pienamente attuate.
5 / Il più delle volte i servi stavano meglio degli schiavi
Il 19 gennaio 1769 una legge del Senato ristabilì il fatto che tutti i terreni su cui vivevano i servi appartenevano ai proprietari terrieri. Ma sarebbe un errore affermare che i servi non possedevano nulla: il più delle volte possedevano strumenti, case, beni e vestiti; spesso anche il bestiame e qualche rudimentale mezzo di trasporto apparteneva a loro, e non ai loro padroni.
Il missionario croato Yurij Krizhanich (1618-1683) scrisse che in Russia i servi se la passavano molto meglio che in altri paesi europei. E, secondo gli storici, nel XVIII-XIX secolo i servi russi lavoravano 2,6 volte in meno rispetto a quelli americani (soprattutto per via delle tante festività, che davano diritto anche ai servi di riposare).
Anche durante il periodo più buio del governo di Caterina i servi potevano avanzare reclami collettivi e individuali allo zar e al Senato. Nel 1812, ai contadini fu nuovamente permesso di partecipare al commercio e di stipulare contratti. Nel 1818 ai contadini, servi compresi, fu restituito il diritto di fondare mulini e fabbriche. Nel 1848, fu restituito loro il diritto di possedere terre e beni immobili (con il consenso dei loro padroni). Ma continuavano a essere privati di un bene importante: la terra sulla quale lavoravano, che, secondo la riforma dell'emancipazione del 1861, non potevano possedere immediatamente. Solo i più laboriosi e talentuosi potevano permettersi una vita dignitosa, il che significava che sotto molti aspetti si differenziavano ben poco dalla maggior parte dei contadini europei dell'epoca.
Conclusione
È evidente che qualsiasi tipo di possesso di una persona nei confronti di un altro individuo, o qualsiasi tipo di violazione dei diritti umani fondamentali, rappresenta una gravissima mancanza da parte dello Stato e della società. Di sicuro ci sono stati dei periodi in cui i servi vivevano in condizioni disastrose, comandati da padroni crudeli ed esigenti, e che la loro condizione era spesso al limite della schiavitù; ma tenendo in considerazione tutto ciò che abbiamo scritto sopra, possiamo affermare che la servitù russa era ben diversa dalla schiavitù.