Sembra difficile immaginare operaie e ragazze del kolkhoz in bikini e costume a due pezzi: non è esattamente l’associazione di idee più immediata che si possa avere, per un periodo in cui era richiesto rigore e pudore. In effetti, alcune rare fotografie scattate sulle spiagge sovietiche degli anni ‘20 e ‘30 mostrano perlopiù ragazze in pantaloncini, attente a coprire fianchi e ombelico.
L’avvento del bikini è arrivato solo qualche anno più tardi, spazzando via vecchi pudori e rinnovando la moda da spiaggia... complici, anche e soprattutto le attrici dell’epoca, entrate nel firmamento eterno delle sex symbol.
I primi bikini sono apparsi in Unione Sovietica solo negli anni ‘50. Inizialmente fecero scalpore, e i primi modelli furono indossati prevalentemente da attrici o ragazze più bohémienne. I pantalocini da bagno a vita alta, che oggi definiremmo “retro”, sono rimasti di moda fino agli anni ‘80.
I bikini iniziano a diffondersi in URSS negli anni ‘60: il pudore dei decenni precedenti si affievolisce e molte ragazze scoprono senza vergogna fianchi e ombelico. Ma i costumi da bagno facevano parte di quella categoria di prodotti di cui all’epoca vi era parecchia carenza, perciò venivano confezionati direttamente a casa, riciclando vecchi pezzi di stoffa.
Nel 1969 uscì il film cult “Crociera di lusso per un matto” (titolo originale “Brilliantovaya ruka”), nel quale l’attrice Svetlana Svetlichnaya appare in uno straordinario bikini, piuttosto osé per i canoni dell’epoca; ma quelle scene contribuiranno a immortalarla come un sex symbol del cinema sovietico.
Tra gli anni ‘70 e ‘80 si presentò la possibilità di “mettere le mani” su costumi da bagno occidentali, costosi, ma molto alla moda. Ecco quindi che sulle spiagge sovietiche apparirono bikini di vari modelli e colori. Molto diffusi in quel periodo i costumi a mutandina.