Come l’Urss riuscì a bloccare tre paurose epidemie: di peste, di vaiolo e di antrace

Maj Nachinkin/Sputnik, Russia Beyond
In Unione Sovietica il contenimento delle malattie infettive era un lavoro congiunto tra medici, polizia, esercito, Kgb e persino marina militare. Quasi sempre si riuscì a fermare la minaccia sul nascere

La peste

Il pericoloso morbo della peste (in russo: chumà) fu portato a Mosca da Saràtov, 850 chilometri a sudest della capitale, nel 1939 dal microbiologo ed epidemiologo Abram Berlin (1903-1939). Visto che stava effettuando esperimenti su animali, utilizzando il bacillo che provoca la peste, gli era richiesto di osservare una rigorosissima quarantena.

Tuttavia, un’improvvisa chiamata da Mosca lo obbligò ad arrivare immediatamente nella capitale, e la peste fuggì da un laboratorio verso la libertà. Berlin soggiornò all’Hotel “National”, andò in un ristorante e dal barbiere.

In seguito, sentendosi molto male, il paziente zero fu ricoverato in ospedale, con una diagnosi errata di polmonite crupale. Un merito considerevole del fatto che l’epidemia di peste venne fermata in tempo va al medico di turno presso la clinica del 1° Istituto medico di Mosca, Simon Gorelik (1885-1939).

Dopo aver identificato la peste polmonare nel paziente, Gorelik segnalò immediatamente il pericolo ai suoi superiori e si isolò con Berlin. Sapeva che erano entrambi spacciati: all’epoca non si sapeva come trattare la peste.

Gli ufficiali dell’Nkvd (il Commissariato del popolo per gli Affari interni; predecessore del Kgb) rintracciarono e misero in quarantena chiunque avesse avuto contatti con Abram Berlin in città. La clinica dell’istituto medico venne isolata. L’hotel National fu sanificato. La disinfezione avvenne di notte per evitare che si diffondessero la notizia e il panico.

Di conseguenza, l’epidemia di peste venne fermata sul nascere. Solo tre persone morirono a causa del terribile morbo: Gorelik, Berlin, e il barbiere da cui si era tagliato i capelli.

Il vaiolo

Il vaiolo (in russo: chjórnaja óspa) arrivò nella capitale dell’Urss a fine dicembre del 1959, insieme all’artista Aleksej Kokorekin (1906-1959), padre di tanti celebri poster sovietici, che rientrava dall’India. Durante il suo viaggio, contrasse la pericolosa malattia presenziando alla cerimonia di cremazione di un bramino.

Accusando febbre alta, tosse forte e dolori in tutto il corpo, Kokorekin cercò aiuto medico. I medici gli diagnosticarono erroneamente l’influenza, sebbene il paziente fosse coperto da un’eruzione cutanea insolita per questa malattia (pensarono a una reazione allergica ai farmaci).

Il fatto che il vaiolo era rientrato in Unione Sovietica (dove era stato debellato negli anni Trenta) divenne noto solo due settimane dopo la morte dell’artista. Diverse persone entrate in contatto con lui avevano iniziato a manifestare sintomi simili.

Non appena la diagnosi venne confermata, tutti i servizi medici di Mosca, i dipartimenti di polizia e il Kgb vennero messi in azione per far fronte al pericolo mortale. Gli agenti delle forze dell’ordine catturarono e misero in quarantena tutti coloro con cui Kokorekin si era visto, con cui avevano parlato i suoi familiari, o che avevano ricevuto da lui qualche souvenir dall’India.

L’ospedale in cui era stato ricoverato venne messo completamente in quarantena. Migliaia di medici, infermieri e pazienti furono chiusi a chiave, e per garantire l’igiene e il ricambio dei letti venne addirittura usato uno stock di biancheria statale considerato intoccabile, perché destinato all’uso solo in caso di guerra.

Tuttavia, la misura principale fu la vaccinazione antivaiolosa universale di tutti i residenti di Mosca e della Regione di Mosca: un’operazione che non ha analoghi nella storia. Lavorando tutto il giorno, migliaia di medici vaccinarono più di 9 milioni di persone in una settimana.

In totale, il vaiolo a Mosca colpì 45 persone, tre delle quali morirono. 19 giorni dopo la sua scoperta e l’inizio del lavoro coordinato dei servizi di sicurezza della capitale, la malattia era sconfitta.

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Il colera

Penetrato nell’Unione Sovietica dall’Iran, il vibrione del colera (in russo: kholéra) colpì nel 1970 l’intera costa sovietica del Mar Nero. L’epidemia si sviluppò al culmine della stagione balneare, quando le città costiere erano piene di vacanzieri.

A poco a poco, la malattia si diffuse in tutto il Paese, tra cui a Mosca e Leningrado (l’attuale San Pietroburgo). L’allargamento del contagio venne facilitato dalle azioni erronee delle autorità locali, che nei primi giorni annunciarono con gli altoparlanti sulle spiagge che in quella zona c’era il colera e che le persone dovevano lasciarla il più in fretta possibile.

Il governo centrale, invece, agì in modo rapido e deciso. Non solo migliaia di medici, ma anche l’esercito e la marina militare vennero coinvolti nella lotta contro la diffusione della malattia.

Grandi focolai di infezione, come Odessa (in Ucraina), Batumi (in Georgia) e Kerch, furono messi in quarantena. Da lì la partenza era consentita solo dopo un accurato esame batteriologico. In quelle città, decine di navi e treni furono trasformate in laboratori medici mobili.

Tra le migliaia di turisti rinchiusi in quei centri urbani, scoppiò il panico. Molti cercarono di aggirare o addirittura sfondare i cordoni militari. La situazione si calmò solo quando il Consiglio dei ministri dell’Urss ordinò per decreto l’estensione di viaggi d’affari e periodi di ferie con la conservazione dei salari a tutti coloro che erano costretti a rimanere nella zona di quarantena.

Nel novembre 1970, l’epidemia di colera in Urss fu finalmente sradicata. Le autorità trassero le giuste lezioni da quanto accaduto: sulla costa del Mar Nero, nei bacini dei fiumi Volga e sugli Urali, iniziò la costruzione massiccia di impianti di trattamento delle acque.

L’antrace

Lo scoppio dell’antrace (in russo: sibìrskaja jàzva) nella zona degli Urali nell’aprile 1979 rimane l’epidemia più misteriosa nella storia dell’Unione Sovietica. Secondo varie fonti, ha causato la morte di 60-100 persone.

Ogni giorno, 5-10 persone in uno stato di forte choc infettivo e tossico venivano ricoverate nei reparti infettivi della città di Sverdlovsk (oggi Ekaterinburg).

Quando si scoprì che la causa della morte delle persone era l’antrace, venne subito organizzato un ospedale dedicato solo a questi pazienti e iniziarono le vaccinazioni su larga scala dei residenti, così come la disinfezione della città, anche con elicotteri. A giugno l’epidemia venne fermata.

Secondo la versione ufficiale sovietica, la causa dello scoppio dell’epidemia di questa pericolosa malattia fu della carne di bestiame infetto. Tuttavia, esiste una versione diversa degli eventi: l’epidemia potrebbe essere stata causata da un rilascio accidentale di spore di antrace dal laboratorio biologico militare del campo militare № 19, situato in uno dei quartieri della città. Venne presa anche in considerazione l’opzione del sabotaggio da parte di agenzie di intelligence occidentali, che avrebbero cercato di screditare l’Urss alla vigilia delle Olimpiadi di Mosca del 1980.

Al momento, le informazioni sulla tragedia rimangono secretate e potranno essere declassificate solo 75 anni dopo l’incidente, nel 2054.


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