Come la più crudele collaborazionista dei nazisti riuscì a vivere tranquilla nell’Urss fino al 1979

Archivio UFSB della regione di Bryansk: Legion Media; Evgenij Khaldej/МАММ/MDF/russiainphoto.ru
La giovane Antonina Makarova sembrava svolgere con passione il suo lavoro di boia, quando con la mitragliatrice falciava i suoi connazionali (168 uccisioni provate dal tribunale, 1.500 presunte), e riuscì poi a farla franca a lungo, fingendosi persino una rispettabile veterana di guerra

“Era il mio lavoro”, dichiarò freddamente Antonina Makarova all’agente del Kgb che la interrogava, parlando di come uccideva regolarmente i cittadini sovietici con una mitragliatrice durante la Seconda guerra mondiale. Rientra nel computo delle assassine più feroci della storia, avendo ucciso, secondo varie fonti, da 168 a oltre 1.000 persone.

La Makarova, meglio conosciuta con il soprannome di “Ton'ka la mitragliera” (in russo: Ton'ka-pulemjotchitsa), sembrava tutta un’altra persona prima di diventare una carnefice dalla parte dei nazisti. Faceva esattamente l’opposto: era un’infermiera dell’Armata Rossa, ed era andata al fronte come volontaria, per salvare le vite dei soldati sovietici.

Tuttavia, il servizio della Makarova non durò a lungo. Nell’autunno del 1941, circa 600 mila soldati sovietici furono circondati nella sacca di Vjazma. Insieme a loro, anche Antonina, 21 anni, fu catturata.

Dopo essere miracolosamente fuggita, vagò per mesi attraverso foreste e villaggi, trovando riparo temporaneo in qualche casa, ma non restando da nessuna parte a lungo. Nell’estate del 1942, la Makarova si recò nella regione di Brjansk, occupata dai tedeschi, nella zona del villaggio di Lokot.

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“Un posto sotto il sole degli occupanti”

Il territorio in cui si trovò Antonina Makarova era fondamentalmente diverso dagli altri occupati dai nazisti e organizzati nei Reichskommissariat Ukraine e Reichskommissariat Ostland. Come esperimento, qui fu istituito un regime semi-autonomo, la cosiddetta “Autonomia di Lokot” sotto il dominio di una amministrazione tutta formata da russi anticomunisti, guidata dal “borgomastro” Konstantin Voskoboinik (dopo la sua morte per mano dei partigiani, nel gennaio 1942, venne sostituito da Bronislav Kaminskij). Il controllo era tuttavia in mano ai tedeschi e unità della 102ª divisione di fanteria ungherese erano presenti negli insediamenti della “repubblica” per “mantenere l’ordine”.

L’Autonomia di Lokot ottenne il diritto di creare unità di autodifesa, che in seguito presero la forma dell’Esercito Nazionale Popolare Russo (Russkaja natsionalnaja narodnaja armija), che in parte poi confluì nell’Esercito russo di liberazione” (Russkaja osvoboditelnaja armija) di Andrej Vlasov. Proprio questi collaborazionisti dei nazisti, nell’estate e nell’autunno del 1944, “divennero famosi” per l’estrema crudeltà durante la Rivolta di Varsavia, quando affogarono letteralmente nel sangue la capitale polacca.

Nascondendosi nella casa di una residente di Lokot, Antonina Makarova si chiese che fare. Sapeva che un grosso distaccamento partigiano stava operando nelle foreste vicine. Tuttavia, dopo aver visto come vivevano bene i collaborazionisti russi dei nazisti, la Makarova decise, secondo lo storico dei servizi segreti e delle forze speciali Oleg Khlobustov, “di cercare un posto al caldo sotto il nuovo sole degli occupanti”. 

La Makarova si avvicinò così ai tedeschi e ai russi dell’“Autonomia di Lokot”. Iniziò a prostituirsi, e prendeva costantemente parte a feste e bevute. Presto Antonina fu però attratta da questioni più serie: vale a dire dalle esecuzioni di ebrei, partigiani catturati e oppositori locali del nuovo governo collaborazionista.

Come molti anni dopo la Makarova disse agli agenti del Kgb, che riuscirono ad arrestarla solo nel 1978, nessuno la costringeva a nulla: “Mi avevano dato da bere un po’ di vodka, e la prima mi sono ubriacata e sono andata a fucilare la gente”. Nacque così “Ton'ka la mitragliera”

Un boia di talento

Le esecuzioni avvenivano su un burrone vicino all’ex scuderia, in cui i nazisti avevano stabilito una prigione. La Makarova viveva in quello stesso edificio. Di tanto in tanto, la gente del posto vedeva aprirsi le porte della prigione e avanzare un gruppo di detenuti, seguiti da un carro con una mitragliatrice, dietro al quale una ragazza camminava sbarazzina con un filo di paglia tra i denti.

“Non conoscevo quelli a cui sparavo. E loro non conoscevano me. Pertanto, non provavo vergogna nei loro confronti. I condannati a morte erano tutti uguali per me. Solo il loro numero cambiava. Gli arrestati venivano messi in catene di fronte alla fossa. Uno degli uomini portava la mia mitragliatrice fino al luogo dell’esecuzione. Al comando dei miei superiori, mi inginocchiavo e sparavo finché non erano tutti morti”, raccontò la Makarova al Kgb.

“Le sue esecuzioni si trasformarono in una terribile rappresentazione teatrale. I leader dell’Autonomia di Lokot venivano a guardarle, e allo “spettacolo” venivano invitati generali e ufficiali tedeschi e ungheresi”, afferma lo storico Dmitrij Zhukov.

Raramente “Ton'ka” mancava il bersaglio, e se qualcuno sopravviveva alle sue raffiche di mitragliatrice, andava a finirli con una pistola. Una volta, diversi bambini sopravvissero: erano bassi e la raffica passò sopra le loro teste. Coperti dai corpi degli adulti morti, furono poi salvati dalla gente del posto che venne per seppellire i giustiziati. I bambini furono portati nella foresta dai partigiani che davano la caccia a una carnefice.

La Makarova portava spesso via oggetti personali e vestiti dei giustiziati, lamentandosi del fatto che lasciandoglieli addosso erano però sempre rovinati da sangue e fori di proiettile.

La lunga caccia alla carnefice

Nell’estate del 1943, “Ton'ka la mitragliera” capì che il vento stava cambiando. L’Armata Rossa stava liberando progressivamente il territorio dell’Unione Sovietica dai tedeschi.

La Makarova se ne andò a Brjansk per curarsi la sifilide, ma non tornò più a Lokot e fece perdere le sue tracce.

Lo SmerSh, il dipartimento di controspionaggio dell’Armata Rossa istituito nel 1943, aprì la caccia alla carnefice immediatamente dopo la liberazione della regione di Brjansk. Nel burrone vicino alla prigione di Lokot furono scoperti i resti di 1.500 persone.

Tuttavia, le indagini condotte tra la popolazione, gli interrogatori dei collaborazionisti catturati, le ricerche tra i documenti servirono a poco. Non riuscirono a trovare nessuna informazione sulla Makarova e nemmeno su dove fosse nata e sui suoi parenti.

Un caso fortunato

Dopo la guerra, il Kgb (fondato nel 1954) e i suoi predecessori, per anni proseguirono le ricerche, ma senza successo. Tutto cambiò, per puro caso, nel 1976, quando durante un controllo di routine su un certo ufficiale Panfilov, che doveva recarsi all’estero per un lungo periodo, emerse che una delle sue sorelle, una certa Antonina, aveva il cognome Makarova.

Si scoprì che nei primi anni di scuola, Antonina era così timida che si vergognava persino di pronunciare il suo cognome e i compagni di classe la chiamavano erroneamente “Makarova” (dal nome di suo padre, Makar). I suoi documenti furono poi emessi con questo cognome, nonostante il fatto che nel certificato di nascita fosse indicata come Panfilova.

Ciò spiega perché, tra tutte le 250 Antonina Makarova trovate e controllate dal Kgb, nessuna era “Ton'ka la mitragliera”. La ricerca veniva effettuata tra quelle registrate con questo nome fin dalla nascita.

Una rispettabile veterana di guerra

La sorella dell’ufficiale Panfilov, Antonina Makarova, lavorava in una fabbrica di abbigliamento nella città di Lepel, in Bielorussia. Era moglie di un eroe di guerra, il sergente Viktor Ginzburg, lei stessa era una veterana rispettata, aveva ricevuto riconoscimenti e teneva conferenze per i giovani.

Era impossibile diffamare una persona così rispettata, quindi il Kgb per prudenza mise sotto sorveglianza la donna, seguendola per oltre un anno. Gli ufficiali portarono a Lepel persone che potevano vedere e riconoscere “Ton'ka la mitragliera”. Tra loro c’erano anche i suoi ex amanti, collaborazionisti che, dopo aver scontato le sentenze nei campi di lavoro, erano tornati a casa.

Alla fine, tutti confermarono che la venerabile veterana Antonina Ginzburg era l’assassina inafferrabile. Suo marito e le due figlie da lui avute non sospettavano minimamente i suoi crimini. Makarova venne arrestata nel settembre del 1978.

Si sarebbe poi scoperto che durante la ritirata dell’esercito tedesco, era finita a Königsberg (oggi Kaliningrad). Quando l’Armata Rossa prese la città, Antonina si presentò come infermiera e trovò lavoro in un ospedale militare. Lì conobbe il suo futuro marito, di cui poi prese il cognome.

La pena capitale

Durante gli interrogatori, Antonina Panfilova-Makarova-Ginzburg, rimase sempre tranquilla. Trovava che non ci fosse nulla per cui essere punita e attribuiva tutte le responsabilità alla guerra. Inoltre, Tonka era convinta che, visto che erano passati tanti anni, l’avrebbero solo condannata a qualche anno di prigione e che presto sarebbe tornata in libertà.

Tuttavia, la corte decise diversamente. Non fu possibile dimostrare la colpevolezza della carnefice nell’uccisione di tutte le oltre 1.500 persone di cui erano stati ritrovati i cadaveri, ma fu stabilita la sua responsabilità per almeno 168 uccisioni in quel burrone vicino alla prigione di Lokot.

Alle 6 del mattino dell’11 agosto 1979, Antonina Makarova fu giustiziata e il Kgb chiuse uno dei casi più lunghi della sua storia.


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