Il destino della Seconda guerra mondiale era ormai segnato nell’aprile del 1945, quando l’Armata Rossa strinse d’assedio Berlino. La Terza divisione d’assalto del 1° Fronte bielorusso fu la prima a raggiungere l’edificio del Reichstag, dove circondò le ultime forze naziste intenzionate a difendere ferocemente la loro ultima posizione.
Il capo del dipartimento politico della 3ª Armata d’assalto, Fjodor Lisitsyn, ricordò nelle sue memorie:
“Ho suggerito di creare 9 vessilli rossi [da issare sull’edificio del Reichstag], ognuno per ciascuna delle divisioni del nostro esercito. Il consiglio militare ha approvato la decisione. Abbiamo deciso di abbandonare il lusso: realizzandoli con semplici tele scarlatte, aderendo rigorosamente alla forma e alle dimensioni della bandiera dello Stato sovietico. Le donne hanno preso forbici, ago e filo, e si sono messe a tagliare e cucire. Non riuscivano a nascondere le lacrime. In quel preciso momento, molti di noi hanno capito quanto fosse vicina la fine di quella guerra disumana…”
Fu deciso che la prima divisione che avesse raggiunto il Reichstag avrebbe issato il suo stendardo su di esso. Ciò fu fatto su ordine diretto di Stalin, che nell’ottobre del 1944 aveva detto: “Ora c’è un’ultima missione finale davanti all’Armata Rossa: insieme agli eserciti alleati, portare alla disfatta totale l’esercito fascista tedesco, finendo la bestia fascista nella sua tana e issare la Bandiera della vittoria su Berlino.”
Poco dopo queste parole, uno striscione cremisi di velluto venne realizzato in una fabbrica di Mosca, con lo stemma dell’Urss e la scritta “La nostra causa è giusta, la vittoria è nostra!” in russo. Ma questo lussuoso banner non arrivò mai al fronte, il perché è ancora sconosciuto.
Vessilli multipli
Il 30 aprile, l’esercito sovietico iniziò l’attacco al Reichstag. L’edificio, difeso da circa 5.000 soldati e ufficiali nazisti, e da diverse batterie di artiglieria pesante, si rivelò molto difficile da prendere.
In quel giorno, la radio sovietica aveva trasmesso un messaggio secondo cui la Bandiera della vittoria era stata issata sul Reichstag; tuttavia, si trattava di un falso rapporto di un ufficiale del comando della terza divisione d’assalto probabilmente eccessivamente ottimista: uno degli stendardi era stato fissato a una colonna del portico del Reichstag: il tenente Koshkarbaev e e il soldato Bulatov avevano strisciato sulle loro pance per farlo. Mentre parti delle divisioni di fucilieri 150ª e 171ª continuavano l’attacco all’interno dell’edificio, lasciarono varie bandiere rosse, grandi e piccole, per contrassegnare il loro controllo sulle aree del Reichstag.
Solo la sera, dopo un terzo assalto, gran parte dell’edificio del Reichstag passò sotto controllo sovietico. Alle 22.40, un gruppo di soldati sovietici, non notato dai tedeschi che controllavano ancora i piani superiori, si intrufolò sul tetto del portico e mise uno stendardo rosso all’interno della corona della Statua della Vittoria. Tuttavia, questa non divenne la Bandiera della vittoria, perché non era sopra l’edificio, ma sopra il portico… Almeno altri tre stendardi furono issati sopra l’edificio quella notte, tuttavia, tutti furono distrutti dal fuoco dall’artiglieria tedesca. I nazisti continuavano a difendere l’edificio dall’interno e dall’esterno.
Il ballo sotto la cupola del Reichstag
Solo uno striscione sopravvisse, quello installato nelle prime ore del 1º maggio dal tenente Aleksej Berest, dal sergente Mikhail Egorov e dal sergente Meliton Kantaria nella parte orientale del tetto. La mattina del 2 maggio, mentre l’edificio era ancora parzialmente controllato dai tedeschi, Egorov, Kantaria e il colonnello Fjodor Zinchenko risalirono per issare lo stendardo ancora più in alto.
Il capo del 1° battaglione della 150ª divisione, il capitano Stepan Neustroev, era il superiore di Berest, Kantaria e Egorov, e aveva dato loro l’incarico di piazzare la bandiera. Ha ricordato nelle sue memorie:
“Passò più di un’ora. Abbiamo pensato: è finita, nessuno tornerà vivo. E improvvisamente, abbiamo visto: contro la cupola di vetro del Reichstag, i tre stavano “ballando”, e ovviamente non per la gioia. È solo che hai meno possibilità di essere colpito da un proiettile se ti muovi.”
Alcuni giorni dopo, la Bandiera della vittoria fu rimossa per essere trasportata a Mosca. Mentre era nel quartier generale dell’esercito, gli ufficiali vi scrisseri: “9 battaglioni di tiro della 150ª divisione della 3ª armata d’urto del 1º fronte bielorusso” per immortalare le loro gesta.
Tuttavia, il vero stendardo non fu mostrato durante la Parata della Vittoria, il 24 giugno 1945. Stepan Neustroev, che doveva portarlo, aveva subito 5 ferite durante la guerra e riusciva a malapena a camminare, e i suoi soldati non potevano marciare correttamente: nel periodo bellico non avevano certo avuto tempo per le esercitazioni. La Bandiera della vittoria fu mostrata per la prima volta in occasione del XX anniversario della vittoria, il 9 maggio 1965. Fu portata da Mikhail Egorov, Meliton Kantaria e dal colonnello Konstantin Samsonov.
La Bandiera originale è ora conservata in condizioni speciali nel seminterrato del Museo centrale delle Forze armate di Mosca. In una teca di vetro è esposta la copia.
Perché la foto non è autentica?
Non c’erano fotografi o cinegiornali a riprendere il momento dell’innalzamento della Bandiera della Vittoria. Dopo la presa di Berlino, il fotocorrispondente militare sovietico Evgenij Khaldej chiese ad Aleksej Kovalev, Abdulkhakim Ismailov e Leonid Gorichev, soldati dell’ottava armata delle Guardie (che non avevano preso parte al vero assedio del Reichstag, né avevano issato bandiere) di mettersi in posa per una foto. Come possiamo vedere chiaramente, la bandiera che issano non è la Bandiera della vittoria (questa bandiera nella foto venne portata da Evgenij Khaldej), e non viene posizionata sulla cupola del Reichstag. Tuttavia, questa stessa foto è quella che ha rappresentato il momento storico.
La foto venne ritoccata prima della pubblicazione sui giornali sovietici. Lo stendardo fu reso più rosso e sullo sfondo furono aggiunte nuvole tempestose. Inoltre, Abdulkhakim Ismailov (che si vede reggere Aleksej Kovalev, colui che solleva lo stendardo) aveva orologi a entrambe le braccia. I giornalisti sovietici capirono che ciò avrebbe potuto portare a sospetti di saccheggio dei soldati sovietici. Quindi il secondo orologio venne rimosso dalla stampa prima della pubblicazione. La foto originale non ritoccata è emersa solo nel 2013 ed è ora nel Museo ebraico e Centro della Tolleranza di Mosca.
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