Dopo che la speaker della Camera Usa, Nancy Pelosi, nei giorni scorsi ha annunciato l’avvio dell’inchiesta di impeachment per il presidente americano Donald Trump, Russia Beyond fa un passo indietro nella storia russa per raccontarvi come l’ex presidente russo Boris Eltsin riuscì a resistere a tre tentativi di impeachment.
Boris Eltsin fu eletto presidente della Federazione Russa nel 1991, subito dopo il crollo dell’Unione Sovietica. Ma nel marzo del 1993 la crisi interna che stava attanagliando il governo arrivò all’apice. Il Congresso dei deputati del popolo, organo politico ereditato dal periodo sovietico, si rivoltò contro il presidente e la sua politica, lasciando intendere che Eltsin e le sue riforme economiche stavano portando il paese sull’orlo del disastro.
La procedura di impeachment fu avviata dopo un discorso televisivo rivolto dal capo di Stato alla popolazione, nel quale dichiarò che avrebbe autorizzato un regime speciale di governo fino al referendum di fiducia nei confronti del presidente e del parlamento (il referendum avrebbe dovuto svolgersi nell'aprile 1993).
Il significato di “regime speciale” non è del tutto chiaro, ma gli eventi che ne conseguirono hanno completamente privato di importanza questa domanda.
Il Congresso dei deputati del popolo si rivolse alla Corte costituzionale della Russia, sostenendo che la decisione di Eltsin fosse anticostituzionale. La Corte quindi consentì l’impeachment. Il Congresso, tuttavia, non raccolse abbastanza voti per l’impeachment: 617 su 1033 (ne servivano 689).
Visto il fallito tentativo di impeachment, il Congresso annunciò un referendum sulla fiducia al presidente Eltsin. La maggior parte dei russi espresse la propria fiducia nei confronti del presidente, dandogli il sostegno sufficiente per portare avanti una riforma costituzionale e avviare la decisione di sciogliere il Congresso dei deputati del popolo.
Nel settembre del 1993, il Soviet supremo della Federazione Russa (un parlamento permanente, eletto dal Congresso dei deputati del popolo) dichiarò incostituzionale l’azione di Eltsin di sciogliere il Congresso dei deputati del popolo, sostenendo che si trattasse di un vero colpo di stato.
Il Soviet supremo pose formalmente fine alla presidenza di Eltsin, accusato di aver violato la Costituzione. Questo passò alla storia come il secondo impeachment.
Ne seguì un conflitto militare tra Eltsin e il Soviet supremo, con terribili perdite di vite umane. Alla fine il Soviet supremo e il Congresso dei Deputati del popolo, organi dell’ormai obsoleto sistema politico sovietico, furono sciolti. Nel dicembre 1993 i russi votarono in un referendum per la nuova Costituzione.
Il terzo, e ben più celebre, tentativo di impeachment del presidente Boris Eltsin fu avviato dal Partito Comunista della Federazione Russa nel 1998. I comunisti sostenevano che Eltsin avesse commesso 5 grandi crimini politici durante il suo mandato, e lo condannarono per questo.
La prima fase della procedura di destituzione fu il volto della Duma di Stato (la camera bassa del parlamento russo), che contava 450 deputati. I membri della Duma dovevano votare separatamente su ciascuna delle 5 istanze. Ma nessuna delle accuse ottenne i 300 voti necessari per proseguire con la procedura di impeachment.
Alla fine, nessuna di queste accuse raccolse i voti sufficienti per avviare l’impeachment. Tuttavia, alla fine del 1999, fu chiaro che Eltsin era intenzionato a lasciare l’incarico. Si dimise il 31 dicembre 1999, nominando a sorpresa Vladimir Putin come suo successore.
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