Come cercarono di vendere agli americani l’auto sovietica “Moskvich”

Simbolo della classe media dell’Urss, per poco non si riuscì a esportarla nella patria del capitalismo: già c’era il contratto e un ordine di 10 mila esemplari, ma poi scoppiò lo scandalo dell’aereo spia U-2. Tre macchine di questo tipo riuscirono comunque ad arrivare negli Stati Uniti, e una di loro ebbe avventure da film…

Stalin era un grande appassionato di auto straniere. Un giorno, dopo aver visto delle Opel e delle Ford a una mostra al Cremlino nel 1940, decise che anche l’Urss dovesse avere la sua auto di massa. E ogni suo desiderio era un ordine. Così nacque la “Moskvìch” (il nome significa “moscovita”). L’impianto industriale con lo stesso nome fu fondato con l’aiuto delle case automobilistiche di Detroit (venne appositamente inviata negli Stati Uniti una speciale commissione), e la fabbrica andò in bancarotta solo dopo il crollo dell’Urss. Ma, prima di allora, le vetture a marchio “Moskvich” divennero ciò che erano destinate a essere fin dal momento della concezione, una “macchina del popolo” sovietico, ma che non si vergognava di essere venduta anche in Occidente.

Il primo modello di “Moskvich” apparve nel 1947, e alcuni anni dopo l’auto era già esportata con successo in Egitto, Paese con cui c’erano relazioni molto amichevoli, e nelle capitaliste Francia e Norvegia. Raggiungere il mercato statunitense sarebbe stato molto interessante, anche perché “raggiungere e superare l’America” era uno slogan allora di moda. Nell’autunno del 1959, il sogno di esportarla divenne quasi una realtà. Stalin era già morto da tempo, il leader sovietico era Nikita Khrushchev, e incontrò Dwight Eisenhower, il 34° Presidente degli Stati Uniti.

A prestar fede alle memorie del capo designer Aleksandr Andronov, quando il discorso verté sulle automobili, Eisenhower dette il via libera alla vendita della “Moskvich-407” nel mercato statunitense, “e aggiunse che quando fosse andato in pensione, sarebbe stato felice di avere una macchina del genere nel suo ranch”. Nello stesso anno, l’Associated Press pubblicò una foto con una “Moskvich” sovietica che svoltava dalla 7th Avenue sulla 48th Strada a Manhattan. La didascalia diceva: diecimila di queste vetture arriveranno presto in America.

In quel momento non veniva venduta in Unione Sovietica neanche una sola macchina americana. Quindi questo accordo era epocale e molto favorevole per l’Unione Sovietica, ed entrò nella fase attuativa: venne firmato un accordo con l’importatore. Ma le promesse 10.000  “Moskvich” non raggiunsero mai gli Stati Uniti. Accadde infatti un gravissimo incidente diplomatico: il pilota di ricognizione americano Francis Gary Powers, su un aereo spia U-2, fu abbattuto sul territorio dell’Urss. E questo scandalo internazionale fu il primo, ma non l’unico ostacolo.

Anche prima della vicenda dell’U2, il ministro del commercio degli Stati Uniti aveva dichiarato che avrebbe agito contro le “Moskvich”, e che riteneva che non dovessero entrare sul mercato americano. Il motivo era la legge contro il dumping. Stavano per vendere l’auto sovietica a un prezzo ridicolo: 1.500 $. Inoltre, una società automobilistica americana aveva assunto un avvocato per dimostrare che c’era una parte nell’auto russa che violava un suo brevetto.

In generale, tutto finì tristemente per la “Moskvich”. Ma tre esemplari furono effettivamente importate negli Stati Uniti da privati alla fine degli anni Cinquanta. Una di loro successivamente andò in fiamme, le tracce della seconda si sono perse da qualche parte nelle vicinanze di Detroit, ma il destino della terza “Moskvich” sembra degno di un film. Fu raccontato dalla rivista sovietica “Za ruljòm” (“Al volante”) nel luglio 1988.

All’inizio del 1958, un americano la acquistò in Europa e, dopo averla caricata su una nave ad Amsterdam, la fece arrivare fino al porto di Los Angeles. Ma ecco che la “Moskvich” non riuscì a passare la dogana, a causa della non conformità con gli standard statunitensi ,ed ebbe persino le portiere danneggiate durante le operazioni di scarico. Quindi il proprietario decise di inviarla in Messico per la vendita. Ma all’arrivo, l’auto fu immediatamente rubata e portata a… Los Angeles.

A venderla lì, ovviamente, non ci riuscirono. Quindi la spolparono di tutto ciò che poteva essere rimosso e la abbandonarono per strada. La “Moskvich” non era mai stata immatricolata da nessuno, la polizia la trovò, e ordinò di portarla in una discarica di auto.

Il proprietario della discarica, Beva Kidwell, si incuriosì di quell’auto sconosciuta e decise di vedere di cosa era capace. La riparò, la guidò per un po’ e poi se ne  dimenticò. Ma un giorno un vecchio amico andò da lui, perché aveva urgentemente bisogno di una macchina per un viaggio. L’unica auto disponibile era la “Moskvich”. Sì, non aveva nessuna immatricolazione, ma lui, ironia della sorte, era un dipendente del DMV, il Department of Motor Vehicles; la Motorizzazione civile americana. Fece dei documenti temporanei e si prese l’auto in affitto per appena 35 $!

E questa non era la fine della storia. L’auto rimase poi ad arrugginire da Kidwell per altri vent’anni. Nel 1981 lui chiuse la discarica e decise di vendere la “Moskvich”. Il collezionista Harry Briken si imbatté nel suo annuncio sul giornale. La comprò, in pessime condizioni, per soli 300 $.

Seguì una lunga e dolorosa storia di ricerca dei pezzi di ricambio. Non si trovavano neppure né schemi di montaggio né istruzioni. Tutti i pezzi venivano cercati in Europa e le cose andavano avanti per mesi. Dopo aver finalmente ricevuto tutto ciò di cui aveva bisogno, Harry diede l’auto a un’officina, ma dopo un paio di giorni scoprì che non c’erano più né l’officina né la sua auto… Dopo sei settimane di ricerche, trovò l’auto in un fienile a otto chilometri dalla città.

Harry spese 4.400 $ per il restauro del “Son of Moscow (come lui chiamava la “Moskvich”). I problemi non finirono, però. Quando presentò per la prima volta la rarità sovietica in una mostra locale in Texas, la bandiera sovietica e le lettere CCCP sulla targa attirarono attenzioni poco amichevoli. E da lui si presentarono persino degli agenti dell’Fbi per scoprire il suo legame con i comunisti.

Il tanto atteso riconoscimento arrivò nel 1987 ad una più seria esibizione texana, dove si classificò al primo posto in assoluto e al terzo posto tra i voti degli spettatori, subito dopo una Cobra 427 e una BMW M-1, vincendo 250 mila dollari.

 

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