Il 15 marzo ai Musei del Cremlino di Mosca ha aperto i battenti la mostra “Treasures from the Palace Museum: The Flourishing of China in the 18th Century”. I moscoviti, fino al 30 maggio, potranno per la prima volta vedere i tesori della dinastia Qing: abiti da parata e ritratti degli imperatori cinesi, i loro simboli del potere e gli oggetti personali, a partire dai gioielli per arrivare fino alle stoviglie.
E conoscere questi artefatti cinesi può essere interessante non solo per gli appassionati del cerimoniale confuciano. I destini della Cina dei tempi della dinastia Qing (XVII-XX secolo) si intrecciano spesso con quelli dell’Impero Russo, e uno sguardo al vicino orientale aiuta a orientarsi meglio anche nella storia russa. E dunque, cos’è che accomunava questi due imperi?
Risorti dalle rovine
La prima similitudine che salta agli occhi è la quasi perfetta corrispondenza del periodo in cui i monarchi della dinastia Romanov e di quella Qing sono stati sul trono. Il primo monarca della dinastia Romanov, Michele I di Russia, salì al potere nel 1613 e poche decine di anni più tardi, nel 1644, dopo che a Pechino i militari avevano messo fine alla precedente dinastia Ming, prese il comando del Paese il giovane imperatore Shunzhi, della casata Qing. Le due dinastie hanno perso il potere ad ancora meno anni di distanza l’una dall’altra: nel 1917 i Romanov e nel 1912 i Qing, ed entrambe le famiglie sono state spazzate via da una rivoluzione.
Ma ci sono anche delle differenze rilevanti. I monarchi della dinastia Qing venivano da fuori: erano originari della Manciuria e di fatto conquistarono la Cina, approfittando della debolezza e dell’impopolarità della dinastia Ming e attirando gran parte della popolazione dalla loro parte. I Romanov, al contrario, negli anni del Periodo dei torbidi, si opposero agli invasori stranieri: polacchi e svedesi. Non di meno, però, sia l’una che l’altra dinastia costruirono il loro potere statale sui resti di quello precedente: lo zarato dei Rjurikidi e la Cina della dinastia Ming. Ma fu necessario cambiare molte cose.
Riformatori e conquistatori
In Russia il ruolo dell’uomo che cambiò tutto in profondità lo giocò Pietro il Grande (al potere dal 1682 al 1725). Proprio lui proclamò l’Impero nel 1721 (uno status che invece la Cina portava orgogliosamente dal 221 a.C.), impose importanti riforme e, anche come risultato della Guerra del Nord (1700-1721) contro la Svezia, trasformò la Russia in una potenza europea a tutti gli effetti.
In Cina, anche i primi imperatori della dinastia Qing si sforzarono, nei limiti del possibile, di modernizzare il Paese: così, per esempio, l’imperatore Kangxi (sul trono dal 1661 al 1672) introdusse la riforma delle tasse, che liberò i contadini da una pesantissima oppressione fiscale, il che portò a un boom economico e demografico. E i cinesi, così come i russi, in quel periodo dovettero combattere contro potenze europee: alla fine del XVII secolo sconfissero gli olandesi, che avevano occupato Taiwan.
I Qing non si accontentarono della presa dell’isola. E espansero al massimo il territorio dell’Impero cinese, conquistando la Mongolia e il Tibet.
I Romanov, da parte loro, aggiunsero nuove e nuove terre all’Impero russo: nei secoli XVIII-XIX sotto il controllo russo finirono i giganti territori dalla Polonia alle Isole Curili e all’Alaska.
In questo modo, tanto la Russia dei Romanov che la Cina dei Qing già nei secoli XVII-XVIII si trasformarono in grandi potenze e la volontà dei rispettivi imperatori incideva sui destini di molti milioni di persone su territori enormi. Non stupisce che proprio in questo periodo gli interessi dei due giganti siano entrati in conflitto.
Gli scontri in Siberia e Manciuria
Il casus belli tra Russia e Cina alla fine del XVII secolo furono le terre nel bacino del fiume Amur, immediatamente a nord delle terre cinesi, quando iniziarono a spostarvisi attivamente sempre più coloni russi, stabilendo avamposti in zone prima disabitate e costruendo le prime fortificazioni. L’Impero Qing guardava con diffidenza a questa espansione: i cinesi consideravano quei territori loro, anche se la popolazione cinese là non era praticamente mai stata presente.
Dopo una breve guerra negli anni Ottanta del Seicento, Russia e Cina firmarono il Trattato di Nerchinsk, che favoriva principalmente Pechino. I russi temporaneamente rinunciarono ai piani di acquisizione e sfruttamento dei territori della Manciuria esterna e dell’Estremo Oriente.
La fioritura
Nel XVIII secolo la Dinastia Qing riuscì a consolidare il suo potere e a realizzare una grande crescita economica: la Cina divenne autosufficiente in tutti i settori e un grandissimo esportatore di tessuti e porcellana. Gli imperatori ebbero a cuore la cultura, riportarono in vita monumenti della letteratura delle epoche precedenti e ordinarono la compilazione di dizionari ed enciclopedie.
Ma dall’altro lato, la Cina rimase pur sempre un Paese contadino, chiuso rispetto al resto del mondo e poco a conoscenza delle moderne tecnologie e dei nuovi sistemi economici.
La Russia del XVIII secolo, che vide seguire a un periodo di congiure di palazzo l’epoca dell’assolutismo illuminato di Caterina la Grande, che regnò dal 1762 al 1796, era ovviamente più a contatto con gli Stati europei, anche se si mantenne un’autocrazia e rimase un’economia prevalentemente agraria. Le forti contraddizioni tra grandezza mostrata all’esterno e profondi problemi strutturali all’interno rimasero vive in entrambi i Paesi, il che portò a penose conseguenze. Ma la Cina dei Qing arrivò prima al redde rationem, e pagò un prezzo ancora più caro di quello che attendeva la Russia
La caduta
A metà del XIX secolo San Pietroburgo e Pechino, indipendentemente l’una dall’altra, combatterono contro Paesi dell’Occidente e persero. La Russia fu sconfitta nella Guerra di Crimea del 1853-56 da una coalizione formata da Francia, Gran Bretagna, Impero Ottomano e Regno di Sardegna. La Cina dovette soccombere a Gran Bretagna e Francia nelle cosiddette Guerre dell’Oppio degli anni Quaranta e Cinquanta dell’Ottocento, dopo le quali il Paese fu di fatto quasi trasformato, in base ai trattati di pace, in una colonia dell’Occidente. La Russia sfruttò il momento e convinse la Cina a firmare i Trattati di Pechino, con i quali ottenne la Manciuria esterna e il Territorio del Litorale (dove sorge Vladivostok).
L’Impero Russo, nonostante la sconfitta nella Guerra di Crimea, rimase in piedi per circa altri sessant’anni con una certa stabilità politico economica. La Cina dei Qing, nonostante il tentativo di riformare il sistema e di risanare l’economia, fu sconvolta da decine di anni di rivolte popolari, e il potere degli imperatori nell’ultima fase ebbe un valore più cerimoniale che altro, anche perché le potenze straniere facevano il bello e il cattivo tempo.
Negli anni Dieci del Novecento, entrambi gli imperi caddero, come risultato delle rispettive rivoluzioni: la Rivoluzione Xinhai in Cina, a cavallo tra il 1911 e il 1912, e quella di Febbraio del 1917 in Russia. La dinastia dei Romanov e la casata dei Qing caddero, e, nella situazione di caos in cui precipitarono la Russia e la Cina, il potere sarebbe presto finito in ben altre mani.
Come Cina e Urss arrivarono a un soffio dal far scoppiare la Terza guerra mondiale nel 1969