Il 17 ottobre 1941, la 21ª Brigata di carri armati sovietica apparve alla periferia di Kalinin (nome dal 1931 al 1990 della città di Tver; 180 chilometri a nordovest di Mosca), occupata dalla Wehrmacht. Ai carri armati fu ordinato di fare un raid nella retroguardia nemica, aggirare la città e riunirsi con le proprie truppe.
Durante l’attacco, un carro armato T-34 comandato dal sergente Stepan Gorobets perse il gruppo principale. A causa di un guasto alla radio, l’equipaggio a bordo non aveva idea che la sua brigata fosse stata fermata da un attacco aereo e che Gorobets si stesse muovendo verso le posizioni nemiche assolutamente da solo.
Dopo che il T-34 di Gorobets ebbe distrutto una colonna di motociclette sulla sua strada, sbucò all’improvviso sull’aerodromo tedesco. Storditi dall’audacia del solitario carro armato sovietico, i tedeschi, come di stucco, osservarono come il T-34 distruggeva due aerei Junkers 87 e le scorte di carburante, per poi proseguire verso Kalinin.
Lì, il comandante del carro armato si rese conto di essere solo, e che nessun sostegno da altri carri armati sarebbe arrivato. Per raggiungere le sue truppe, guidò dunque il suo mezzo corazzato sotto il fuoco pesante attraverso il centro della città, pieno di tedeschi, distruggendo un pezzo d’artiglieria pesante, speronando un carro armato nemico e gettando ovunque scompiglio.
Alla fine, il T-34 parzialmente in fiamme, pieno di buchi provocati dalla gragnola di colpi nemici, e con il cannone fuori uso, raggiunse le posizioni dei soldati sovietici che, sorpresi, accolsero gli uomini dell’equipaggio come eroi.
Durante il rigido inverno del 1942, un T-34 guidato dal capitano Gavriil Polovchenja rimase bloccato in un fiume vicino alla città di Andreapol (390 chilometri a nordovest della capitale). L’equipaggio stava aspettando aiuto quando i tedeschi arrivarono e circondarono il carro armato, iniziando a esaminarlo.
Polovchenja ordinò al suo equipaggio di non fiatare, anche se era molto difficile resistere in completo silenzio con quel freddo, nel T-34 completamente congelato.
Sebbene i tedeschi non potessero aprire il portello, decisero che il carro armato era stato abbandonato e lo trainarono fuori dall’acqua. Il 15 gennaio i tedeschi portarono, sempre al traino, il T-34 di Polovchenya ad Andreapol, mentre l’equipaggio all’interno continuava a mantenere il silenzio.
Alle 5 del mattino successivo, l’equipaggio del carro armato sovietico decise che era l’ora buona per una sortita a sorpresa. Il mezzo fu lanciato per le strade della città, sparando e distruggendo il nemico in preda al panico e disorganizzato. Più di 20 soldati furono uccisi, 30 auto e camion militari e 10 cannoni d’artiglieria vennero distrutti, e il tank raggiunse le posizioni sovietiche.
Inoltre, i tedeschi erano così nel caos da non poter resistere adeguatamente alle truppe sovietiche che avanzavano, e che liberarono facilmente Andreapol quello stesso giorno.
Nel dicembre del 1943, l’esercito sovietico stava liberando la parte nord-orientale del paese. Durante un’operazione, un T-34 guidato dal tenente Stepan Tkachenko rimase bloccato in una palude semicongelata non lontano da Pskov (730 chilometri a nordovest di Mosca).
L’intero equipaggio era rimasto gravemente ferito o ucciso, ad eccezione dell’operatore radio Viktor Chernyshenko. Durante la notte fu raggiunto da un altro carrista, Aleksej Sokolov, che in gran segreto era riuscito a raggiungere il carro armato dalle posizioni delle truppe sovietiche. Tuttavia, i suoi tentativi di tirar fuori il carro armato dalla palude furono vani.
Chernyshenko e Sokolov decisero di non abbandonare il T-34 e per 13 giorni resistettero ai feroci attacchi della fanteria tedesca. Avevano solo qualche barattolo di carne in scatola, un po’ di zucchero, diversi biscotti e l’acqua la prendevano dalla palude.
Totalmente congelati, affamati e insonni, i due soldati sovietici respinsero la continua raffica di attacchi tedeschi finché il 30 dicembre le truppe sovietiche sfondarono le linee nemiche e raggiunsero il solitario T-34.
Ferito, Aleksej Sokolov morì il giorno dopo. Chernyshenko riuscì a sopravvivere, ma sfortunatamente ebbe entrambe le gambe amputate.
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