Come era essere gay in Unione Sovietica?

Storia
OLEG EGOROV
L’omosessualità maschile fu depenalizzata dopo la Rivoluzione d’Ottobre, ma nel 1934 Stalin la rese di nuovo reato e iniziarono tempi davvero difficili per chi aveva questo orientamento sessuale, con migliaia di persone che furono imprigionate

Un errore divertente ebbe luogo nel 1978 in Unione Sovietica. Il Partito comunista invitò nel Paese i tedeschi dall’Omosexuelle Aktion Westberlin (Movimento omosessuale di Berlino Ovest). I sovietici scambiarono gli attivisti pro-gay per un’organizzazione di sinistra che simpatizzava con l’Unione Sovietica. Come potete ben immaginare, questo provocò un certo sconquasso.

“Quando spiegai al mio curatore chi aveva invitato, si grattò pensosamente testa”, ricorda Larisa Beltser-Lisjutkina, che lavorava all’Istituto del Movimento Internazionale dei Lavoratori. 

“In un modo o nell’altro sistemammo le cose”, racconta, ma alla fine fu necessario dire la verità ai tedeschi: era davvero pericoloso essere gay nell’Urss. Fortunatamente, gli attivisti tornarono a casa sani e salvi, ma i cittadini sovietici gay che non potevano lasciare l’Urss vissero molte più difficoltà. 

I bei vecchi tempi dopo la rivoluzione 

I rapporti tra la comunità gay in Russia e il governo sovietico iniziarono bene: nel 1917, subito dopo la Rivoluzione di Ottobre, i bolscevichi abolirono il reato di omosessualità maschile che era in vigore nell’Impero russo. 

Nel 1923, il dottor Grigorij Batkis, docente presso l’Istituto di Igiene Sociale dell’Università di Mosca, pubblicò un articolo intitolato “La rivoluzione sessuale in Russia” nel quale scriveva: “La legislazione sovietica non fa differenza tra l’omosessualità e il cosiddetto rapporto ‘naturale’. Tutte le forme di rapporto sono trattate come una questione personale. Il perseguimento penale viene attuato solo in casi di violenza, abuso o violazione degli interessi degli altri.” 

Questa era una tendenza comune in vari campi: in un primo momento, i bolscevichi si posizionarono come libertari, gettando alle ortiche gli obsoleti valori conservatori. Ma poi tutto cambiò drammaticamente. 

Stalin contro i gay

Nel 1934, il governo reintrodusse il reato di omosessualità maschile. Proprio come il vecchio regime imperiale, l’Urss chiudeva un occhio sul lesbismo, prestando attenzione solo ai maschi gay. La ragione? Teorie del complotto: il capo dell’Nkvd (antenato del Kgb) Genrikh Jagoda scrisse a Stalin che delle spie gay stavano “stabilendo una rete di saloni, ritrovi, gruppi e altre organizzazioni di pederasti, per trasformare poi gli omosessuali in spie antisovietiche”.

Non è chiaro se una tale minaccia fosse reale, ma Stalin reagì nei suoi modi brutali, criminalizzando di nuovo l’omosessualità maschile nel 1934, attraverso l’infame articolo 121 del codice penale, che prevedeva una pena a cinque anni di reclusione.

“Questa fu una delle misure che significava che il governo sovietico si spostava verso valori conservatori”, afferma la storica Olga Edelman. Le libertà rivoluzionarie degli anni Venti erano finite del tutto e Stalin costruiva la sua autocrazia. Per le persone omosessuali iniziò la persecuzione.

La propaganda ufficiale collegava l’omosessualità al fascismo; lo scrittore Maksim Gorkij dichiarò: “In Germania, l’omosessualità è legale… c’è persino un detto sarcastico, ‘distruggi gli omosessuali e il fascismo scomparirà.’” Diversi anni dopo, Adolf Hitler iniziò a eliminare i gay nei lager, ma questo non cambiò le idee del governo sovietico: i gay erano considerati il nemico.

Problemi statistici 

Non è chiaro esattamente quante persone siano state imprigionate per omosessualità nell’era di Stalin. Come lo storico Dan Healey chiarisce nel suo libro “Homosexual Desire in Revolutionary Russia”, i dati degli archivi dell’Nkvd riguardanti gli anni tra il 1934 e il 1950 rimangono oscuri. 

Inoltre, spesso i tribunali non menzionavano direttamente l’omosessualità. Potevi essere gay, sapere di essere perseguitato per questa ragione, eppure andare in prigione ufficialmente con un altro pretesto. Ciò accadde per esempio al noto poeta gay Nikolaj Kljuev, detenuto, processato e fucilato negli anni Trenta per “attività controrivoluzionaria”.

Le autorità sovietiche rimasero duramente anti-gay dopo la morte di Stalin. “Il numero generale di sentenze per il reato di omosessualità nelle fonti che abbiamo, dal 1934 al 1993, è tra le 25.688 e le 26.076, ma questi numeri sono tutt’altro che definitivi”, scrive Healey. 

La violenza contro i gay sovietici

Per gli omosessuali sovietici questo significava vivere nella paura, ignorati dalla società e doversi nascondere. Le autorità furono felici di mandare personaggi famosi come il cantante Vadim Kozin, “il re sovietico del tango”, e il regista Sergej Parajanov in prigione. 

Anche per i gay non famosi la vita era dura: esistevano in segreto, incontrandosi in luoghi speciali, dal teatro Bolshoj a certi bagni pubblici. “Le condizioni di vita erano un disastro”, dice Aleksandr, 58 anni, omosessuale che viveva nell’Urss. “Dove potevamo andare? Tutti vivevano con i loro genitori; non si poteva affittare un appartamento o andare in un albergo; era permesso solo alle persone in viaggio di lavoro”. 

L’altro pericolo erano i remontniki, “i riparatori”, omofobi aggressivi che si fingevano omosessuali per incontrare i gay e picchiarli selvaggiamente o ricattarli. A volte i gay dovevano difendere i loro diritti combattendo. Viktor, 66 anni, ricorda: “Negli anni Settanta, i nostri ragazzi potevano davvero avere grossi guai ma sapevano come farsi rispettare. Una volta un gruppo di sette uomini ci ha attaccato, ma abbiamo mostrato loro di che pasta fossimo fatti. Io ho rotto una bottiglia di birra sulla testa a uno di loro!” 

E l’articolo 121? “Non era facile mettere un uomo in galera sulla base di questo articolo”, ricorda Viktor. “Dovevi prenderlo in flagranza di reato… Ma, naturalmente, potevano informare i tuoi datori di lavoro che stavi frequentando luoghi per gay e questo ti poteva causare molti problemi.” Tuttavia, i meno fortunati finirono in prigione: “Penso che abbiano arrestato circa 50 persone all’anno solo a Mosca”, dice Aleksandr. 

Fu solo nel 1993, dopo il crollo dell’Unione Sovietica, che l’articolo 121 fu abolito dal governo russo. Ciò non significa che le persone Lgbt in Russia ora vivano in paradiso, ma almeno non temono più di essere imprigionate per il loro orientamento sessuale.

 

Le citazioni di omosessuali sono tratte dal libro Right Ear: Monologues of Queer People Who Lived in the USSR

Come esplose (e poi implose) la rivoluzione sessuale in Russia negli anni Venti