Gli Stati Uniti puntano a ritirarsi dal Trattato INF (Intermediate-Range Nuclear Forces Treaty), l’accordo sulle armi firmato nel 1987 dal presidente Ronald Reagan e dal leader sovietico Mikhail Gorbachev. Lo ha annunciato il presidente americano Donald Trump il 21 ottobre scorso. “Stiamo per rescindere l’accordo e ci ritireremo dal trattato”, ha detto Trump alla stampa.
E mentre gli analisti politici si interrogano sulle possibili conseguenze di questa decisione, è importante comprendere appieno il significato originale di questo trattato. La strada che ha portato alla firma dell’INF è stata decisamente in salita: l’Europa si trovava infatti sull’orlo di una guerra nucleare. Abbiamo cercato di rispondere ad alcune domande, fondamentali per comprendere appieno il vero significato di quell’accordo storico.
Nel 1977, nell’ambito dei piani di modernizzazione del proprio arsenale, l’Urss svelò un nuovo missile da dispiegare nell’Europa orientale: il missile balistico a medio raggio-raggio intermedio SS-20 Saber. Una notizia scioccante per l’Europa occidentale: le testate nucleari dalla potenza di 150 KT ciascuna non erano regolate dai trattati sugli armamenti esistenti all’epoca e potevano colpire in qualsiasi momento le città dell’Europa occidentale, prima che la NATO o gli Stati Uniti potessero intervenire.
Secondo la classificazione internazionale, questa categoria di armi nucleari comprende i missili nucleari con una portata di 500-1.000 km (a corto raggio) e 1.000-5.500 km (a medio raggio). Questi missili possono raggiungere i loro obiettivi più velocemente dei missili balistici intercontinentali e la loro portata relativamente breve ha fatto sì che non fossero coperti dal Trattato sulla limitazione delle armi strategiche del 1972.
L’obiettivo era sostituire i vecchi missili SS-4 e SS-5 per garantire la superiorità sovietica in Europa. Ma una simile mossa portò a un rapido peggioramento delle relazioni con l’Occidente.
“Sia l’Occidente sia la Cina erano seriamente preoccupati per il posizionamento di quelle armi”, ha scritto lo storico Aleksej Bogaturov. “Era la prova che i sovietici si stavano preparando per una guerra nucleare”.
L’Europa occidentale iniziò così a sentirsi più vulnerabile: un possibile attacco sovietico avrebbe potuto spazzare via l’Europa ancor prima che gli alleati americani potessero intervenire.
Gli Stati Uniti, come leader della NATO, agirono con determinazione. Nel 1983 furono schierati nuovi missili americani: il Pershing II nella Germania occidentale e diversi altri missili da crociera in Belgio, Italia, Paesi Bassi e Regno Unito. Questi missili potevano colpire obiettivi nella maggior parte delle zone europee sotto il controllo sovietico.
Sia i politici sovietici sia quelli occidentali si resero conto che era ormai indispensabile ridurre le tensioni: l’Europa si era trasformata in una polveriera pronta ad esplodere. Numerosi cicli di colloqui in parte fallirono perché tre leader sovietici (Leonid Brezhnev, Yuri Andropov e Konstantin Chernenko) morirono durante i negoziati. Si arrivò a un accordo solo nel 1987, quando Mikhail Gorbachev e Ronald Reagan raggiunsero un’intesa e firmarono il trattato.
Il Trattato INF prevedeva che sia gli Usa, sia l’Urss smantellassero i propri missili a corto e medio raggio (ovvero quelli con una portata da 500 a 5.500 km). Inoltre Mosca avrebbe dovuto distruggere il suo missile non solo in Europa, ma anche in Asia.
Il trattato fu rispettato da entrambe le parti: l’Unione Sovietica distrusse 1.846 sistemi missilistici e gli Stati Uniti 846.
“Fu una vera svolta. Per la prima volta nella storia entrambe le parti riuscirono a raggiungere un accordo per smantellare un intero arsenale di armi nuove di zecca, altamente efficaci. Un trattato che migliorò sul serio la situazione in Europa e in Estremo oriente”, ha affermato Aleksej Bogaturov.
Il Trattato INF è risultato essere una pietra miliare per porre fine alla Guerra fredda e ha contribuito a rendere il mondo un luogo migliore. Ora questo traguardo rischia seriamente di andare in fumo.
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