Il famoso raid di Doolittle, con il quale l’U.S. Air Force bombardò Tokyo il 18 aprile 1942 come rappresaglia per l’attacco giapponese a Pearl Harbor, ebbe un antecedente ancora più ardito; un attacco messo a segno da parte di un’Urss gravemente indebolita, che bombardò Berlino dal cielo.
Quando, il 7 agosto 1941, aerei nemici apparvero nel cielo sopra Berlino, i tedeschi pensarono che gli aerei fossero inglesi. Tuttavia, presto appresero che la capitale del Terzo Reich era stata bombardata dai sovietici, qualcosa che non pensavano fosse possibile, poiché erano convinti che l’Urss avesse già perso la guerra. La Wehrmacht occupava la maggior parte della regione baltica, la Bielorussia, metà dell’Ucraina e si era avvicinata a Leningrado (l’attuale San Pietroburgo), che dall’8 settembre sarebbe stata posta sotto assedio, e ora avanzava verso Mosca.
A luglio, il comandante della Luftwaffe Hermann Göring aveva assicurato a Hitler che l’aviazione sovietica era stata completamente distrutta. Si rivelò invece pienamente operativa e capace di bombardare Berlino per un mese intero!
Vendetta per la capitale
L’idea di un attacco aereo di rappresaglia contro Berlino venne alla leadership sovietica dopo che i tedeschi iniziarono a bombardare Mosca nel luglio del 1941. Il bombardamento della capitale minò la fiducia del popolo sovietico nella sua forza militare e nella capacità di resistere al nemico, così si decise di ripagare Hitler con la stessa moneta, bombardando il cuore del Terzo Reich.
Il comandante della Marina sovietica, l’ammiraglio Nikolaj Kuznetsov, sottolineò nelle sue memorie: “Sapevamo che, in caso di successo, un attacco contro Berlino avrebbe avuto una grande importanza. Dopo tutto, i nazisti stavano strombazzando a tutto il mondo che l’Aeronautica Sovietica era distrutta.” (Nikolaj Kuznetsov, “Rotta per la vittoria”, Mosca, 1975).
Raggiungere la capitale tedesca, tuttavia, non era affatto un gioco da ragazzi. L’Aeronautica Sovietica aveva subito perdite catastrofiche (diverse migliaia di aerei) durante i primi mesi della guerra, il che dava ai tedeschi la supremazia nei cieli. Ecco perché, per quanto riguardava la leadership militare sovietica, ogni aereo valeva oro, e doveva essere usato razionalmente. Inoltre, l’Urss non controllava più gli aeroporti da cui i velivoli avrebbero potuto effettuare voli andata e ritorno senza scalo fino a Berlino.
Gli aeroporti operativi più vicini a Berlino si trovavano fuori da Leningrado, ma erano troppo lontani, oppure i sovietici potevano raggiungere Libau (l’attuale Liepaja sulla costa occidentale della Lettonia). Venne presa una decisione audace: l’Urss avrebbe usato piste di atterraggio in cattivo stato nell’Arcipelago di Moonsund (oggi le isole estoni di Hiiumaa, Muhu e Saaremaa), nella parte orientale del Mar Baltico, che erano vicine al nemico.
Da lì, i bombardieri DB-3 sovietici potevano coprire il viaggio di andata e ritorno di 900 km fino a Berlino. Tuttavia, le truppe tedesche erano molto vicine a Tallinn, la principale base del Mar Baltico, e stavano dirigendosi verso il Golfo di Finlandia. Inoltre, l’aviazione finlandese era attiva nell’area.
I preparativi
L’aerodromo sull’isola di Osel (l’odierna Saaremaa), il più grande dell’Arcipelago di Moonsund, era completamente impreparato per l’atterraggio e il decollo di bombardieri a lungo raggio. Doveva essere riorganizzato con urgenza perché presto i bombardieri sovietici sarebbero stati dispiegati sull’isola.
“I marinai dovevano affrontare un compito difficile. Non c’erano abbastanza rifornimenti di carburante e di bombe aeree sull’isola… In gran segreto, piccole chiatte caricate di benzina e munizioni attraversarono le acque minate del Golfo di Finlandia fino a Tallinn, e poi arrivarono sull’isola di Osel. Il pericolo li aspettava ad ogni passo. Va notato che Tallinn era già stata assediata dal nemico”, ha scritto Kuznetsov nel suo libro.
Ancora più pericolosi erano i possibili attacchi della Luftwaffe. Per non attirare l’attenzione dei tedeschi, gli aerei furono nascosti in diverse parti dell’isola, specialmente nelle fattorie, e coperti con reti mimetiche. L’aeroporto di Osel continuò ad apparire abbandonato e inutilizzato.
Operazione “Berlino”
Il 6 agosto, cinque aerei effettuarono un volo di ricognizione su Berlino, che si rivelò un successo. Due giorni dopo, 15 bombardieri Ilyushin DB-3 a pieno carico dettero inizio all’operazione “Berlino” nel bel mezzo della notte. La maggior parte della rotta era sopra il Mar Baltico, poi gli aerei virarono sopra Stettino e si diressero verso la capitale tedesca.
Il raid sorprese completamente i tedeschi. All’inizio, presero gli aerei sovietici per propri velivoli. “I tedeschi non si aspettavano nulla di così audace. Mentre i nostri aerei si stavano avvicinando al bersaglio, da terra segnalavano: ‘che aerei sono questi? Dove stanno volando?’ Pensando che fossero aerei tedeschi che avevano perso la rotta, e li invitarono ad atterrare negli aeroporti più vicini”, ricorda Kuznetsov.
La città era completamente illuminata e chiaramente visibile. I raid aerei britannici venivano solitamente da ovest e in quel momento erano rari. La difesa aerea tedesca non si aspettava un attacco dal nord e tardò molto a reagire.
Cinque aerei sovietici arrivarono a Berlino e sganciarono bombe. Gli altri bombardarono la periferia della città e Stettino. Dopo l’operazione, tutti gli equipaggi rientrarono alla base senza perdite.
Reazione di panico
Lo stesso giorno, la radio tedesca riferì: “Nelle prime ore dell’8 agosto, un grande distaccamento della British Air Force, circa 150 aerei, ha cercato di bombardare la nostra capitale… Dei 15 aerei che avevano raggiunto la città, nove sono stati abbattuti.”
Ma, propaganda a parte, quando emerse chi era stato davvero a bombardare Berlino, la reazione fu completamente scioccata, sia tra la leadership della Germania nazista che tra la gente comune. Nessuno si era reso conto che l’Aeronautica Sovietica era ancora viva e vegeta.
Vittoria psicologica
Nel corso di un mese, gli aerei sovietici eseguirono altre nove incursioni sulla capitale tedesca, ma l’elemento di sorpresa era svanito: il nemico era preparato.
Nelle successive incursioni, l’Unione Sovietica perse 18 aerei. All’inizio di settembre, dopo che fu catturata Tallinn, le truppe tedesche iniziarono ad attaccare le isole Moonsund e il 5 settembre l’operazione “Berlino” fu interrotta. Il 22 ottobre seguente, a dispetto dell’ostinata resistenza dei reparti sovietici, l’Arcipelago di Moonsund fu occupato dai nazisti.
Quei coraggiosi attacchi aerei sovietici ricevettero un’ampia copertura sulla stampa nazionale e occidentale. Sebbene non avesse causato gravi danni materiali, il bombardamento di Berlino ebbe un importante effetto psicologico, mostrando al mondo che l’aviazione sovietica non solo era viva, ma era capace di lanciare colpi dolorosi nel cuore della Germania nazista.
Il tenente colonnello Sergej Ostapenko, che conosceva alcuni dei piloti che avevano preso parte ai raid, ha ricordato: “Dopo i primi bombardamenti, i russi hanno cominciato a dire, pensare e scrivere sui giornali: Se possiamo raggiungere Berlino per via aerea, dobbiamo raggiungerla anche via terra”.
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