“Il miracolo sul fiume Neva”
“Ero al balcone e ho visto gente correre verso il fiume Neva. Era chiaro: era successo qualcosa. Sono rimasto così sorpreso nel vedere un aereo Tupolev Tu-124 galleggiante e i suoi passeggeri che lo abbandonavano camminando su una delle ali”. Jurij Tujsk, un abitante di Leningrado (oggi San Pietroburgo), ha ricordato così gli eventi di quel giorno lontano, il 21 agosto del 1963.
Ciò che portò alla necessità di ammarare, come nel caso dell’incidente sull’Hudson, negli Stati Uniti, del 2009, fu il ko di entrambi i motori. Ma le origini del problema erano diverse. In America si trattò di bird striking, una collisione con un grande stormo di uccelli, qui invece i piloti di Aeroflot si accorsero, subito dopo il decollo dall’aeroporto di Tallinn (oggi capitale dell’Estonia), che il carrello d’atterraggio anteriore non era rientrato. La destinazione del volo (con a bordo 45 passeggeri e 7 uomini di equipaggio) fu quindi cambiata da Mosca a Leningrado.
Dopo aver raggiunto Leningrado, l’aereo iniziò a girare sulla città, cercando di esaurire il carburante che avrebbe reso l’atterraggio di emergenza più sicuro. Nel frattempo, l’equipaggio cercava di sbloccare il carrello anteriore con un’asta metallica. A questo punto il motore sinistro si fermò a causa della mancanza di carburante, e il capitano decise di volare immediatamente all’aeroporto Pulkovo attraverso il centro di Leningrado.
Sulla strada per Pulkovo anche il secondo motore smise però di funzionare. L’altitudine non era abbastanza per uscire dalla città. In queste circostanze, il capitano ventisettenne Viktor Mostovoj prese la decisione di atterrare sul fiume Neva, nonostante i suoi numerosi ponti. Discendendo, l’aereo passò su diversi ponti con l’ultimo che era in fase di costruzione e si trovava a diversi metri sotto l’aereo. Durante l’ammaraggio, l’aereo di linea quasi sfiorò un rimorchiatore con la sua ala destra. L’ammaraggio, tuttavia, andò bene: nessuno dei passeggeri o membri dell’equipaggio rimase ferito. E l’aereo, intatto, fu poi trainato a riva.
Il pilota esperto Jurij Sytnik sostiene che un ammaraggio di successo è una cosa molto rara. “Viene eseguito solo sui simulatori di volo, poiché nella vita reale su 10 aerei solo due sopravvivono all’impatto. Si crede che l’acqua sia morbida, ma è un errore. È più duro atterrare sull’acqua che sulla terra, e l’acqua riduce spesso l’aereo in piccoli pezzi. È quasi impossibile sopravvivere”, sottolinea, lodando l’abilità dell’equipaggio.
“Il miracolo di Izhma”
Questa volta erano in gioco le vite di 81 persone, quando un aereo Tupolev Tu-154 si guastò irrimediabilmente nel bel mezzo della taiga. Era il 7 settembre 2010. L’aereo della compagnia Alrosa subì un completo blackout elettrico dopo circa 3,5 tre ore di volo (proveniva dalla città di Poljarnyj ed era diretto a Mosca) su una foresta della Siberia. La mancanza di elettricità portò allo spegnimento del sistema di navigazione e al blocco delle pompe del carburante: i motori rimasero con carburante sufficiente per un volo di 30 minuti. Quindi, l’equipaggio aveva solo mezz’ora per trovare un sito adeguato per l’atterraggio tra gli alberi siberiani.
Fortunatamente, i piloti individuarono una pista. Era l’ex aeroporto abbandonato del villaggio di Izhma, nella Repubblica dei Komi, che da 12 anni era utilizzato solo per gli elicotteri e che già da 7 anni non era neanche più segnato sulle mappe aeree. Sorprendentemente, si scoprì che la pista era in buono stato. Ciò dipendeva dal fatto che il responsabile dei voli in elicottero, Sergej Sotnikov, per tutti questi anni si era preso cura della vecchia pista degli aerei per sua iniziativa personale. Come disse in seguito ai giornalisti, “il pilota del Tu-154 non poteva credere ai suoi occhi quando vide la pista; dove avevo installato i marcatori e dipinto i segnali di terra”.
Tuttavia, la pista era troppo corta: era lunga solo 1.300 metri, mentre l’aereo aveva bisogno di 2 km di fuga per un atterraggio di successo. Questa situazione era aggravata dal fatto che a causa della mancanza di elettricità i flap dell’aereo non funzionavano, ed era quindi molto difficile rallentare la corsa. Tuttavia, l’equipaggio non aveva altre opzioni, così iniziarono a scendere. Due tentativi furono abortiti e solo al terzo l’aereo atterrò. Aveva una velocità di 420 chilometri all’ora invece dei normali 250. “Il rallentamento è stato così veloce che la gomma ha preso fuoco! L’aereo ha superato la pista di 160 metri” disse Sotnikov. Eppure, nessuno rimase ferito, perché per fortuna in quella zona c’erano solo arbusti e non grandi alberi.
“Vorrei ringraziare l’equipaggio. Ci hanno fatto stare tranquilli. Non abbiamo avuto neanche tempo di spaventarci. Ma quando siamo scesi dall’aereo, là faceva paura. C’era quella foresta che era tutta arata”, disse uno dei passeggeri subito dopo essere arrivato a Mosca. I due piloti hanno ricevuto il premio di eroe della Russia, il più alto riconoscimento nel Paese, e anche Sergej Sotnikov ha ricevuto una medaglia.
L’esplosione sui cieli dei Caraibi
L’incidente più recente è avvenuto due anni fa nella Repubblica Dominicana, il 10 febbraio del 2016. Questa volta non era un Tupolev di costruzione russa, ma un “Jumbo Jet” Boeing 777 della compagnia Orenair con quasi 400 persone a bordo.
L’aereo era partito per Mosca quando uno dei suoi motori ha preso fuoco ed è esploso. “Eravamo nella parte anteriore dell’aereo. L’esplosione è avvenuta a sinistra, o meglio è stato un botto, come uno sparo… Il capitano ha detto che ci sarebbe stato un atterraggio di emergenza e che stavamo rientrando a Punta Cana. Ha girato per circa 40 minuti. L’atterraggio è stato classico. Il capitano è stato semplicemente fantastico”, ha dichiarato successivamente il passeggero Aleksandr Kolotilin a RT.
È stata una sfida seria riportare a terra in sicurezza un aereo gigantesco con molto carburante (dato che era destinato a un volo intercontinentale) con un solo motore. “Le azioni dell’equipaggio sono state molto professionali. Il peso dell’aereo era eccessivo. Non si potevano usare tutti i mezzi necessari per rallentare, visto che funzionava un solo motore”, ha affermato Viktor Zabolotskij, un pilota collaudatore, lodando l’abilità dei piloti.
Durante l’atterraggio anche il telaio dell’aereo ha preso a fuoco. I passeggeri sono stati costretti ad evacuare il velivolo utilizzando lo scivolo di scarico gonfiabile. Fortunatamente, come negli altri due casi, nessuno è rimasto ferito. Il capitano ha ricevuto l’Ordine del coraggio dal presidente.