Così i russi per primi raggiunsero l’Antartide

Kerstin Langenberger/Global Look Press
Il primo avvistamento confermato di questo continente risale al 1820. Vi raccontiamo l’eccezionale spedizione russa guidata da Lazarev e Bellingshausen

“Sono sicuro che lì ci sia la terra. Ne abbiamo addirittura vista una parte”, scriveva il capitano inglese James Cook (1728-1779) navigando sulle acque dell’Oceano antartico, durante il suo viaggio intorno al mondo. Cook era ben consapevole che sarebbe stato difficile raggiungere il continente. Le dure condizioni meteorologiche non avrebbero facilitato il viaggio. Anche i russi erano perfettamente consapevoli di ciò. Ma nonostante tutto, i russi ci arrivarono.

Rivali tra i mari

Per molto tempo l’impero russo e quello britannico furono rivali tra i mari. E quando il celebre esploratore britannico James Cook fece sapere che anche nella parte più meridionale del pianeta c’era terra, ci si rese conto che questa eccezionale scoperta era solo questione di tempo. Nel frattempo, nelle acque vicine navigavano i cacciatori inglesi di foche. 

I russi erano ben consapevoli che, con ogni probabilità, sarebbero stati proprio gli inglesi i primi a mettere piede su questa nuova terra. Tuttavia, visto che fin dall’epoca medievale erano abituati a muoversi sul gelo, i russi sapevano di avere un certo vantaggio: sapevano navigare e muoversi in condizioni estreme. 

All’inizio del XIX secolo, durante l’epoca delle guerre napoleoniche, la rivalità tra le navi russe e quelle britanniche era intensa. Chi sarebbe stato il primo a scoprire il continente bianco?

Dopo la prima circumnavigazione della Russia (1803-1806), guidata da Ivan Kruzenshtern, i russi si convinsero di essere pronti per l’impresa. 

I preparativi  

Il 16 luglio del 1819 due navi russe, la Mirni e la Vostok, salparono del porto di Kronstadt e a metà novembre raggiunsero Rio de Janeiro. A guidare questa spedizione – la prima della Russia verso la parte più meridionale del pianeta – fu il capitano Faddey Bellingshausen. 

I marinai erano preparati a tutto. Avevano scorte di cibo e gran quantità di cavoli fermentati e limoni, fonte di vitamina C, utile per non contrarre lo scorbuto. In ogni porto dove approdavano, poi, rimpinguavano i rifornimenti. Per riscaldarsi potevano fare affidamento su una grande scorta di rum. 

Inoltre l’equipaggio seguiva precise regole igieniche: ogni giorno il vestiario veniva messo all’aria e le cabine venivano pulite spesso. Nella nave c’era anche una banya russa. Durante la traversata morì un solo uomo.

Guidati dal capitano Bellingshausen, 117 marinai attraversarono le acque del circolo polare artico a bordo della Vostok, mentre la Mirni trasportava altri 73 uomini, capitanati da Mikhail Lazarev, che all’epoca aveva 31 anni.

Queste due imbarcazioni avevano caratteristiche diverse: la Mirni era stata costruita da ingegneri navali russi ed era stata progettata appositamente per resistere alla pressione del ghiaccio. La Vostok invece era stata realizzata dai britannici, e durante il viaggio si ritrovò ad affrontare non pochi problemi e fu costretta a sottoporsi a numerosi lavori di riparazione. 

Oltre ai marinai, a bordo si contavano anche un dottore, un pittore, un professore di astronomia e un prete ortodosso. L’equipaggio sperava infatti di convertire al cristianesimo i nativi che si sarebbero potuti incontrare durante il viaggio. 

La scoperta  

Da Rio le due imbarcazioni salparono alla volta della parte più meridionale della Terra. Incrociarono nuove terre come le Isole Sandwich Australi, scoperte da James Cook. 

Il 28 gennaio del 1820 le due imbarcazioni si avvicinarono alla costa dell’Antartide. Il capitano Lazarev parlò di “un importante strato di ghiaccio molto spesso che si prolungava fin dove l’occhio umano poteva vedere”. Si trattava ovviamente dello strato di ghiaccio che copriva il continente appena scoperto. 

Nel frattempo sopraggiunse l’inverno antartico. E le imbarcazioni russe si diressero verso Port Jackson (Sydney), in Australia, per recuperare le forze. 

“Le nostre imbarcazioni erano costantemente nel ghiaccio – scrisse Bellingshausen in un documento inviato da Port Jackson al Ministero della Marina di San Pietroburgo -. I nostri uomini hanno sofferto molto per via delle rigide condizioni meteorologiche e per i forti venti del mare. Oscurità e abbondanti nevicate caratterizzano quei territori. Il ghiaccio ci ha accompagnato durante tutto il viaggio. I nostri nemici costanti erano le montagne di ghiaccio, alcune alte più di 120 metri. Dovevamo fare molta attenzione, anche il minimo errore avrebbe potuto essere fatale”. 

Quasi un anno dopo, nel dicembre del 1820, le navi russe attraversarono di nuovo l’Antartide. Il viaggio di ritorno iniziò nel gennaio del 1821 e i marinai toccarono la terra di Kronstadt il 5 agosto di quello stesso anno, dove furono ricevuti dallo zar Alessandro I. Il loro viaggio durò in totale 751 giorni. 

I russi tornarono in Antartide per la seconda volta 136 anni più tardi, nel 1956, durante la Spedizione sovietica in Antartide, durante la quale venne costruita la prima base russa di ricerca scientifica, battezzata con il nome di Mirni, in omaggio a una delle due navi che accompagnò per la prima volta i marinai su queste terre.

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