Guerra fredda del basket: i tre secondi più folli dello sport mondiale

Storia
EKATERINA SINELSHCHIKOVA
Alle Olimpiadi di Monaco 1972 la squadra sovietica strappò l’oro agli Stati Uniti in modo rocambolesco. La sconfitta non è mai stata accettata dagli americani (che rifiutarono persino le medaglie d’argento), mentre la vittoria divenne epica nell’Urss (e adesso è anche in film campione di incassi in Russia). Il cronometrista al centro dell’intrigo era un certo Joseph Blatter…

“Gli Stati Uniti hanno vinto. Ma aspetta… l’arbitro ha fermato il cronometro a tre secondi dalla fine dell’incontro. Ci sono altri tre secondi. Il tabellone segnapunti è sbagliato. Il gioco non è finito, c’è ancora tempo”, grida il commentatore sovietico.

1972. Monaco di Baviera. Arena Rudi-Sedlmayer-Halle. Finale di pallacanestro dei Giochi Olimpici. Sul campo: l’Unione Sovietica contro gli Stati Uniti d’America. In tre secondi succederà qualcosa che in seguito sarà considerato l’inizio della “Guerra Fredda sportiva” e, allo stesso tempo, uno dei momenti più drammatici nella storia del basket mondiale.

Il film russo che racconta questi fatti, “Dvizhenie vverkh” (titolo per il mercato estero: “Going Vertical”) è uscito a dicembre 2017. E in pochi giorni ha stracciato ogni record al botteghino. Non tutti, probabilmente, saranno d’accordo con l’interpretazione che il film dà degli eventi: 45 anni dopo quel duello sul parquet, entrambi i Paesi hanno la loro visione di quel che accadde. Il film deve ancora essere distribuito a livello internazionale, ma questi tre secondi sono probabilmente l’episodio più controverso della storia del basket. 

Studenti contro veterani

Fino al 1972 solo il basket americano aveva vinto i Giochi olimpici: ben sette volte, e quattro volte battendo in finale i sovietici. La squadra americana (che aveva appena schiantato in semifinale l’Italia  68-38) sembrava invincibile, e gli allenatori sovietici ammisero che sarebbero stati contenti di portare a casa la medaglia d’argento.

Le squadre erano molto diverse l’una dall’altra. Le regole olimpiche imponevano che solo gli atleti dilettanti potessero competere nei Giochi, così gli americani avevano diversi studenti ventenni tra le loro file, con i professionisti costretti a guardare il match in tv. Lo stesso non si può dire per i sovietici, che fecero appello a veterani esperti, che non facevano ufficialmente parte di alcuna associazione sportiva professionistica: erano militari o membri di organizzazioni sociali. 

La prima metà della finale a Monaco si chiuse con il punteggio di 26 a 21 in favore dell’Urss. Dwight Jones, un giocatore chiave americano, venne squalificato 12 minuti prima della fine del tempo. Tuttavia, negli ultimi sei minuti della ripresa gli americani attaccarono in modo così persistente che tre secondi prima della fine erano sopra di un punto: 50 a 49. Quando suonò l’ultimo segnale acustico, tutti pensarono che il gioco fosse finito. La folla finì in campo. Ma questo era solo l’inizio.

Cosa si puòfare in tre secondi?

Mentre gli americani festeggiavano la loro prematura vittoria, l’allenatore assistente sovietico Sergej Bashkin si era avvicinato al tavolo degli ufficiali di campo. Chiedeva che il cronometro fosse ripuntato su tre secondi dalla fine, sostenendo che la palla era stata rimessa in gioco, nonostante il fatto che il capo allenatore avesse chiesto un time-out che non era stato concesso immediatamente. Il cicalino suonò troppo tardi. Nel frattempo, Jurij Ozerov, ex allenatore e uno dei delegati della squadra sovietica, si precipitò giù dagli spalti per parlare con il segretario generale della Fiba, la Federazione internazionale del basket, ​​William Jones, che era seduto in tribuna. Quest’ultimo chiese agli arbitri di concedere alla squadra russa il time-out.

“Di cosa siete preoccupati? C’è un sacco di tempo! Possiamo vincere e poi perdere di nuovo”, disse l’allenatore sovietico Vladimir Kondrashin ai suoi giocatori. Ricordando quella partita, gli americani dicono che non avevano idea di cosa stesse succedendo.

Per la seconda volta fu impossibile rimettere in gioco la palla, perché il tabellone segnava un secondo e non tre. Il comando per iniziare l’attacco venne dato solo dopo che il tempo reale di tre secondi fu reimpostato sul tabellone ufficiale. Il cronometrista era Joseph Blatter (lo stesso Joseph Blatter che nel 1998 divenne capo della Fifa, prima di rassegnare le dimissioni per uno scandalo nel 2015) e non premette i pulsanti giusti per regolare subito l’ora. Ma in seguito vennero ristabiliti i tre secondi e, al terzo tentativo di ripresa del gioco, la palla arrivò ad Aleksandr Belov dopo aver attraversato tutto il campo. 

“Ho fatto una finta, poi ho rapidamente voltato le spalle e sono corso verso il canestro. Il passaggio è stato perfetto. Ero l’unico sotto canestro. Mi sono persino girato, nessuno era vicino a me. E con la mano destra ho tirato con cura”, ricordò Belov. Negli ultimi tre secondi della partita la squadra sovietica strappò la vittoria all’America. 

Dopo i tre secondi

Per tutta la notte gli Stati Uniti contestarono furiosamente la legittimità del time out e il risultato della partita. Sporsero un reclamo, ma fu rigettato per 3 voti a 2. Il voto (che gli americani bollarono come risultato della “lobby politica del blocco socialista all’interno della Fiba”) lasciò dunque il risultato invariato. Gli americani non erano presenti alla cerimonia di premiazione e non hanno mai ritirato le loro medaglie d’argento.

Nel 2002 la HBO Sport ha girato il documentario “03 From Gold”, che ha definito la partita “la più folle violazione del fair play mai commessa contro una squadra sportiva”, e ha condannato l’intervento di estranei nella partita e la loro pressione sugli arbitri. Gli americani credono che né l’assistente allenatore Bashkin né Jones avessero il diritto di interferire nella partita e di dire agli arbitri cosa fare. Anche il lavoro del cronometrista e dei tre lanci ha destato sospetti. 

Per quanto riguarda Belov, cinque anni dopo i Giochi di Monaco fu coinvolto in uno scandalo in dogma (alcune icone furono trovate nella sua borsa, mentre tentava di lasciare l’Unione Sovietica, e fu accusato di contrabbando). A quel tempo era già consapevole di avere una malattia rara, un sarcoma cardiaco. Un anno dopo morì all’età di 26 anni. Il giocatore di basket sovietico divenne il primo non americano ad entrare nella Fiba ​​Basketball Hall of Fame, e sempre la Fiba lo nominò il più grande giocatore di pallacanestro di tutti i tempi. 

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