“Fu come un fulmine a ciel sereno. Le nuvole si stavano addensando, ma comunque fu brusco e improvviso. La prima sensazione fu come se la Terra si spalancasse e tutto crollasse, come se ci fosse un vuoto attorno a me. L’obiettivo per il quale avevo lavorato duro per diversi anni era improvvisamente svanito… E non era chiaro cosa sarebbe successo dopo”, così Vladimir Salnikov, nuotatore e quattro volte campione olimpico (tre ori a Mosca 1980, uno a Seul 1988), soprannominato “Mostro acquatico” e “Macchina da record”, ha descritto le emozioni del momento in cui apprese la notizia del boicottaggio dei Giochi Olimpici di Los Angeles del 1984 da parte dell’Unione Sovietica.
“Non ci abbasseremo al livello del presidente Carter”
La testimonianza di Salnikov contraddice chiaramente l’opinione diffusa che le autorità dell’Urss avessero pianificato con grande anticipo di saltare le Olimpiadi negli Stati Uniti, come ritorsione per il boicottaggio statunitense dei Giochi olimpici di Mosca del 1980. A quel tempo, il presidente Jimmy Carter aveva imposto un ultimatum ai sovietici, chiedendo di ritirare le truppe dall’Afghanistan entro un mese. Washington disapprovava l’intervento sovietico sul suolo afghano, che era iniziato nel dicembre 1979 e si sarebbe concluso solo dieci anni dopo. Il Cremlino ignorò la richiesta e gli atleti statunitensi e quelli di altri 64 Paesi (tra cui il Canada, la Germania Ovest, la Norvegia, il Kenya, il Giappone e la Cina e il blocco delle nazioni arabe) nell’estate del 1980 rimasero a casa. Altre nazioni (tra cui l’Italia) parteciparono invece senza bandiera e senza inno, sotto il vessillo olimpico.
I leader sovietici avevano espresso pubblicamente il loro atteggiamento positivo nei confronti della partecipazione degli atleti sovietici ai Giochi di Los Angeles. Nel dicembre del 1982, un alto ufficiale sovietico, Geidar Aliev, disse al capo del Cio, il Comitato olimpico internazionale, dell’epoca, Juan Antonio Samaranch: “Ci stiamo preparando per i Giochi di Los Angeles. Sentiamo parlare di un possibile boicottaggio da parte nostra. Non ci abbasseremo al livello di Carter. “Quindi, i sovietici non vedevano l’ora che arrivassero le Olimpiadi. Proprio come l’attuale leadership russa si è impegnata per la normale partecipazione ai Giochi invernali del 2018, prima che lo scandalo doping complicasse tutto.
Isteria e accuse reciproche
Ma allora cosa spinse Mosca a cambiare il suo approccio? Molto probabilmente, fu a causa del tesissimo contesto politico, divenuto incandescente nella seconda parte del 1983. Il 1º settembre, un aereo civile sudcoreano era stato abbattuto nello spazio aereo sovietico, scatenando un putiferio in Occidente. In seguito gli americani intervennero militarmente nella Grenada comunista, non potendo tollerare un secondo Stato comunista oltre a Cuba nei Caraibi, e dispiegarono missili a medio raggio in Europa. Quindi, i rapporti tra le due superpotenze toccarono il fondo.
In questa atmosfera di isteria politica e accuse reciproche, il Cremlino chiese garanzie scritte di sicurezza per gli atleti sovietici da parte degli Stati Uniti, ma gli americani si rifiutarono di fornirle. Inoltre, rifiutarono ai russi di volare direttamente dall’Urss a Los Angeles con voli charter, e non concessero il permesso alla nave “Georgia”, una base galleggiante, di attraccare in un porto americano. Nel maggio 1984 il Politburo, sotto la direzione del segretario generale Konstantin Chernenko, decise di boicottare i Giochi. Quattordici Paesi socialisti seguirono l’esempio.
“Ringraziamo il compagno Chernenko”
A beneficiare maggiormente dell’assenza degli atleti sovietici furono naturalmente gli Stati Uniti. Conquistarono 83 medaglie d’oro, 61 d’argento e 30 di bronzo: complessivamente 174 su 221 in palio. Per quanto riguarda le medaglie d’oro è un record assoluto che non è stato ancora superato. Un commentatore americano aveva ragione quando alla cerimonia di chiusura ringraziò il “compagno Chernenko” per il fatto che il leader sovietico “ha donato agli Stati Uniti più medaglie d’oro di qualsiasi altro atleta nella storia dei Giochi”.
Nel 1980, l’Unione Sovietica aveva ottenuto solo tre medaglie d’oro in meno, ma guadagnò più argenti e bronzi, aggiudicandosi 195 medaglie in totale. C’erano le prospettive migliori per le Olimpiadi del 1984. “Dopo i Giochi del 1980 avevamo ottenuto eccellenti finanziamenti e strutture sportive all’avanguardia. I risultati della stagione sportiva 1983 davano motivo di prevedere che avremmo potuto ottenere fino a 62 medaglie d’oro (contro 40 medaglie della squadra della Germania orientale e 36-38 degli atleti americani). Ero sicuro che avremmo vinto i Giochi. Le Olimpiadi di Seul del 1988 hanno confermato che avevo ragione. Per inerzia abbiamo fatto tutti a pezzi”, ricordò più tardi il vice capo del Comitato sportivo statale dell’Urss, Anatolij Kolesov. In effetti, in Corea del Sud i sovietici dominarono il medagliere con 132 medaglie totali, di cui 55 d’oro, contro le 37 della Germania dell’Est e le 36 degli Usa.
Nel 1984 il Comitato Olimpico internazionale fece molto per prevenire il boicottaggio, cercando di negoziare un accordo tra le superpotenze, con Samaranch che si offrì come mediatore. Tuttavia, nessuno era pronto per un compromesso.
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