La presa del Palazzo d’Inverno: come andarono davvero le cose

Storia
OLEG EGOROV
Fu l’ultima roccaforte della capitale a resistere ai bolscevichi, ma i combattimenti non furono aspri e cruenti, come narrato in molti film di propaganda. Scorse molto vino. Il sangue, invece, sarebbe scorso più tardi

Una folla di persone infuriate, che sparano e gridano, prende d’assalto un imponente palazzo. Un uomo ferito, in ginocchio per strada, incita gli altri a continuare la loro sacrosanta battaglia contro la tirannia, prima di esalare l’ultimo respiro. Come un fiume senza fine, le persone accorrono, scavalcano i giganteschi cancelli e, finalmente, sono all’interno. La rivoluzione ha trionfato e le grida di “urrà!” riempiono l’aria come un tuono.

Questo è come Sergej Eizenshtejn (1898-1948), il noto regista sovietico, descriveva il momento culmine della rivoluzione d’Ottobre, la Presa del Palazzo d’Inverno, residenza dei Romanov a Pietrogrado (oggi San Pietroburgo) nel suo film del 1928 “Ottobre“. La scena è senza dubbio emblematica e molto forte. Ma ha un punto debole: nulla di quello che vi appare accadde realmente nel 1917.

Il governo provvisorio nel caos

La realtà fu meno eroica. Il 6 novembre del 1917 (25 ottobre, secondo il calendario giuliano, che rimase in uso in Russia fino al 1918), il governo provvisorio al potere in Russia dall’abdicazione di Nicola II nel marzo precedente era molto debole. Incapace di incidere e di cambiare lo stato delle cose, si trovava a dover fronteggiare crescenti proteste e stava perdendo il controllo addirittura della capitale.

Le guarnigioni militari di stanza a Pietrogrado erano più che insoddisfatte di Aleksandr Kerenskij, il socialista rivoluzionario a capo del Governo provvisorio (a luglio era subentrato a Georgij Lvov). Alcune settimane prima aveva cercato di spedire al fronte (la Prima Guerra mondiale proseguiva) i reggimenti acquartierati nella capitale.

Non intenzionati a combattere, i soldati si rifiutarono di partire e il loro supporto per il movimento radicale dei Bolscevichi, che chiamava a una ulteriore ribellione di popolo, dopo quella di inizio anno, crebbe. Il 4 e 5 di novembre i bolscevichi, guidati da Lenin e da Trotskij, presero progressivamente il potere in città.

Cambio di regime

Assomigliò più a un cambio della guardia: i rivoluzionati armati entravano nelle caserme e ai soldati dicevano: “Il governo provvisorio è deposto. Ora il potere appartiene agli operati e ai contadini rappresentati dai soviet”. I soviet (“consigli”) erano organi elettivi formati dagli strati più bassi della società, dove i bolscevichi erano più forti.

I soldati, che non volevano sostenere un governo che proseguiva una guerra sfiancante, saltavano con grande facilità sull’altro lato della barricata. Alla vigilia della rivoluzione, di fatto, Kerenskij non aveva truppe a disposizione. Per questo lasciò Pietrogrado la mattina del 6 di novembre, pensando di poter portare dal fronte qualche reggimento a lui leale. Fallì.

La quiete prima della tempesta

Intanto, il resto del governo cerca di proteggere quello che ancora non aveva perso. E la lista era breve: il Palazzo d’Inverno. Mobilitarono chi poterono: gli allievi delle scuole militari e persino un battaglione femminile. “Non è chiaro quanti soldati ci fossero tra l’interno e l’esterno del palazzo, ma si stima tra i 500 e i 700. Se ne andavano e tornavano”, ha affermato la storica russa Julija Kantor, in un’intervista apparsa su lenta.ru.

Durante la notte il palazzo fu circondato dai sostenitori del Bolscevichi, e in particolare dalle loro squadre armate, la Guardia rossa. Alle 9.40 della sera l’Incrociatore Aurora, ormeggiato nella Neva, sparò il colpo a salve che era il segnale per l’inizio dell’assalto.

Faccia a faccia

Dalla caduta della monarchia nel febbraio precedente, il Palazzo d’Inverno non era più una residenza imperiale, ma il quartier generale del governo e fungeva inoltre da ospedale. Molti soldati feriti sui campi di battaglia della Prima guerra mondiale, che proseguiva, erano stati piazzati qui, vista l’ampiezza dell’edificio. Così, quando l’artiglieria bolscevica iniziò a sparare sul palazzo (dalla Fortezza di Pietro e Paolo, sull’altro lato della Neva) alcuni dei ricoverati rimasero vittima dei bombardamenti.

A parte questo, l’assalto non fu cruento: un gruppo di 10-12 uomini, guidati dal leader militare bolscevico Vladimir Antonov-Ovseenko riuscì a introdursi nel palazzo da un ingresso posteriore lasciato incustodito.

Per ore si aggirarono tra le infinite sale della struttura, finché non riuscirono a trovare il gabinetto dove i ministri erano riuniti (non si sa perché, senza sorveglianza). Antonov-Ovseenko interruppe la seduta, li arrestò e promise la salvezza per tutti i difensori del palazzo che avessero deposto le armi.

Il finale

Di base è così che andò, e per questo la presa fu quasi incruenta. Come dice lo storico Boris Sapunov, “Le asserzioni dei leader sovietici che la Rivoluzione d’Ottobre sia stata quella con meno scorrimento di sangue della storia delle rivoluzioni europee aveva fondamento”. La storia del Governo provvisorio di Pietrogrado finì in silenzio e senza la necessità di grossi combattimenti.

Tra le vittime ci fu però l’enorme cantina zarista. Per paura che l’emozione della vittoria si trasformasse in colossali sbornie tra soldati e bolscevichi, Antonov-Ovseenko dette l’ordine di distruggerla, mitragliando migliaia di bottiglie. Il vino scorreva a fiumi, e molti credettero si trattasse di sangue. Invece quello doveva ancora venire.