La caccia alle streghe e i dubbi su Capello

Tempi duri per mister Capello, allenatore della nazionale di calcio russa (Foto: Reuters)

Tempi duri per mister Capello, allenatore della nazionale di calcio russa (Foto: Reuters)

Le grosse perplessità che riguardano oggi l’allenatore della nazionale di calcio russa nascondono ben altri problemi: innanzitutto un vuoto generazionale difficile da colmare. E che potrebbe avere forti ripercussioni sui giovani talenti che dovranno presentarsi ai Mondiali del 2018

Fabio Capello ha iniziato l’anno tra gli allori e lo conclude nella polvere. A gennaio l’allenatore italiano della nazionale di calcio russa era osannato, retribuito con un contratto di ben 11 milioni di dollari l’anno, prolungatogli dopo aver fatto qualificare la squadra russa per la sua prima partecipazione alla Coppa del mondo in 12 anni.

Adesso, al termine dell’ultima partita dell’anno, è stato scaraventato nella polvere dalla stampa, dai tifosi e dalla politica, e gli è stata affibbiata l’etichetta di “ladro” per l’enorme stipendio che si mette in tasta.

La Russia è uscita a testa bassa dai Mondiali, senza neppure una vittoria nel carniere e avendo vinto soltanto una delle ultime partite giocate. Ma una vittoria col punteggio di 2 a 1 in un’amichevole contro l’Ungheria il 18 novembre non può effettivamente alleggerire le pressioni più di tanto: in un incontro che avrebbero dovuto vincere a occhi chiusi, in realtà i calciatori russi hanno arrancato quanto un uomo obeso su un tapis roulant. Dissoltasi nel nulla la forma vincente della squadra russa, così pure si è dissolto lo stipendio di Capello. L’allenatore italiano non è stato pagato negli ultimi sei mesi, visto che l’Associazione russa di calcio è precipitata per conto suo in una crisi finanziaria. In tutta la Russia, la gente sta accusando Capello della pessima forma della nazionale, e l’allenatore importato non è riuscito a dimostrare di valere il suo astronomico compenso.

 
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Se è vero che ha commesso errori tattici, e parecchi, io penso che in ogni caso le motivazioni dei problemi della squadra russa risalgano a molto prima. Addirittura agli anni Novanta, per la precisione. Spiegato in poche parole, la Russia non ha un numero adeguato di calciatori di talento per essere all’altezza delle sue ambizioni e, a distanza di tre anni e mezzo da quando il paese ospiterà i Mondiali, ci sono pochi segni di miglioramento. Per comprenderne le motivazioni, è indispensabile pensare a un calciatore che alla Coppa del mondo del 2018 avrà circa 28 anni, l’età alla quale ci si può aspettare il massimo della forma fisica per un attaccante. Il nostro uomo ideale – potremmo chiamarlo Ivan Ivanov, ossia a grandi linee l’equivalente russo di John Doe – è nato quindi negli anni Novanta, quando l’Unione Sovietica collassò e per la Russia ebbe inizio un decennio di caos, povertà e guerra. Probabilmente Ivan si è trovato a dover trascorrere buona parte della sua infanzia nei morsi della fame o malnutrito, costretto a mangiare noodles pronti per settimane e settimane, come ricorda di aver fatto una mia amica quando le verdure divennero troppo costose e i suoi genitori non poterono più permettersi di comperarle. Naturalmente, un vero campione di calcio non cresce a piatti di noodles.

A prescindere da quanto talento può avere un bambino, una scarsa alimentazione può influire negativamente sul suo sviluppo fisico e di conseguenza limitare molto il potenziale. Circola addirittura la teoria secondo la quale la vittoria dell’Inghilterra ai Mondiali del 1966 avrebbe dovuto essere attribuita almeno in parte al razionamento durante la Seconda guerra mondiale, quando la distribuzione di cibo da parte del governo di fatto migliorò sostanzialmente il regime alimentare di molti giovani che vivevano nei quartieri poveri britannici.

Il nostro Ivan, invece, malnutrito, quando raggiunge l’età di 10 o 12 anni è un calciatore eccellente nelle partite giocate in cortile a scuola e cerca di entrare nell’accademia di un’importante squadra di calcio che metta a frutto il suo talento. Qui, però, inciampa in un altro problema: i disordini degli anni Novanta fecero strage delle squadre di calcio russe proprio come dell’economia nel suo complesso. Squadre che in precedenza erano sostenute dallo stato, fecero molta fatica a sopravvivere sul mercato e i loro dirigenti, molti dei quali corrotti, fecero ricorso a una sorta di svendita degli asset, cedendo all’estero i giocatori di maggior talento e trascurando di prendersi cura dello sviluppo dei più giovani.

In molte squadre i dirigenti cambiarono e si avvicendarono di frequente, e la pianificazione a lungo termine fu pressoché abbandonata. Così, intorno al 2000, Ivan è sì entrato in una rinomata accademia di una squadra russa di calcio, ma anni di disattenzione lo hanno reso poco efficiente. Con impianti sportivi fatiscenti, staff sottopagato, metodi di allenamento indietro di decenni rispetto all’Inghilterra o alla Germania, la situazione è migliorata soltanto quando una maggiore stabilità economica ha permesso alle squadre di tornare a pianificare di nuovo a lungo termine. Ma il danno, ormai, era fatto e irreversibile: dalla scarsa preparazione dei più giovani è derivata una perdita del loro potenziale.

Se ora premiamo il tasto fast forward, ritorniamo al 2014 e prendiamo in considerazione Ivan, ormai venticinquenne, constatiamo che è entrato nella nazionale russa: non è brillante in base agli standard internazionali, ma è il meglio di cui la Russia dispone per quella posizione. E qui subentra un ulteriore pericolo: l’autocompiacimento. La Premier League russa ha un sistema di quote che limitano il numero di giocatori stranieri che una squadra di calcio può schierare in campo, misura presa nell’intento di promuovere i giovani talenti russi. Purtroppo, però, questo è spesso controproducente. Da quando le squadre russe devono schierare in campo calciatori russi, se li disputano a suon di bigliettoni, offrendo loro stipendi ben al di là del loro valore di mercato, al punto che Ivan è poco incentivato ad andarsene all’estero a giocare in una squadra europea nella quale potrebbe migliorare e coltivare ancor più le sue doti.

Gli effetti degli anni Novanta, quindi, implicano che ci sono meno giocatori russi di talento del solito, e qualsiasi giocatore vagamente vicino ai livelli della nazionale verosimilmente giocherà tutte le partite. A prescindere dunque da quanto male giochi Ivan, l’allenatore della sua squadra difficilmente lo lascerà in panchina, per il semplice fatto che non c’è nessun altro che possa prenderne il posto. Ed eccoci in presenza dell’autocompiacimento. Naturalmente tutto ciò ha qualcosa di surreale. Non tutti i giocatori subiscono le sventure del nostro sfortunato ipotetico Ivan, ma un buon numero di loro sì.

La nazionale russa di calcio adesso presenta un vuoto generazionale, perché molti bambini nati all’inizio degli anni Novanta o non si misero mai a giocare a calcio o non si sono mai sviluppati bene come avrebbero potuto. La nazionale russa guidata da Capello, quindi, fa affidamento su giocatori che hanno trascorso gli anni giovanili della formazione in Unione Sovietica, come l’irremovibile difensore 35enne Sergei Ignashevich o il capitano 33enne della squadra Roman Shirokov. Se anche uno solo di loro giocherà ai Mondiali del 2018 sarà un miracolo. Nel frattempo tra i calciatori nati alla fine degli anni Novanta ci sono così tanti talenti che promettono bene che la Russia l’anno scorso ha vinto il campionato europeo under-17.

Tra queste due fasce d’età ci sono pochi grandi nomi: il creativo centrocampista Alan Dzagoev, 24 anni, forse è il più conosciuto all’estero dopo alcune sue entusiasmanti performance all’inizio della sua carriera, ma negli ultimi anni i suoi progressi si sono fermati in maniera allarmante. L’attaccante Alexander Kokorin, 23 anni, potrebbe effettivamente guidare l’assalto della nazionale russa alla porta avversaria in occasione dei Mondiali di calcio del 2018, ma l’estate scorsa non ha avuto granché impatto in Brasile. Una stessa mancanza di giocatori classe ’90 colpisce anche altri paesi: negli ultimi anni, infatti, la Repubblica Ceca, la Polonia e l’Ucraina – paesi che hanno sempre avuto importanti nazionali di calcio – hanno fatto passi indietro.

Ai Mondiali di calcio dell’estate scorsa, l’Europa dell’est era rappresentata soltanto dalle squadre di Croazia e Bosnia-Erzegovina, paesi che fanno affidamento su giocatori cresciuti in Germania da sfollati. Nonostante tutto, nel 2018 sarà la Russia a ospitare i primi Mondiali di Calcio in un paese dell’Europa dell’est, e questo stesso fatto conferisce un’urgenza speciale ai problemi dai quali è afflitto il paese. Altri hanno generazioni dorate di calciatori, mentre la Russia al momento risente di un vuoto generazionale. E a questo problema Capello non può porre rimedio tanto facilmente.

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