Acqua, tronchi, trincee, filo spinato, spari a salve dai carri armati, lividi, palmi delle mani spellati dalla fune. Il percorso a ostacoli chiamato “Corsa degli eroi” è ormai diventato un fenomeno di massa in Russia.
Fonte: Stoyan Vassev
Quasi ogni settimana, a Mosca e in altre città, migliaia di persone si riuniscono nei poligoni di tiro, per abbandonarsi al fango e straziare il proprio corpo. Qualcuno pensa che questa attività richiami solo fanatici salutisti; palestrati, sportivi; uomini che da tempo hanno vinto la pigrizia. Altri sono convinti che si tratti solo di gente un po’ strana, sempre in cerca di avventure per movimentare la vita.
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Sia il primo che il secondo tipo di persone, comunque, ha oggi pane per i suoi denti. Così come la varietà di triathlon chiamata “Ironman” è diventata forse l’hobby più trendy tra gli agiati e indipendenti uomini di mezza età, la “Corsa degli eroi” è ormai un must tra gli impiegati e gli aderenti ai circoli ricreativi aziendali.
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Escono dagli uffici e sono pronti a pagare bei soldi, dimentichi persino della dacia, per correre decine di chilometri e superare settanta ostacoli. Perché? “Ma perché è una figata!”
Non è difficile, dico davvero!
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“Mainstream? Ma come? E io che credevo di essere un tipo particolare”, ride Anatolij Snetkov, 29 anni, programmatore di Tula (182 chilometri a sud di Mosca, ndr). Alla “Corsa degli eroi” è stato invitato da un suo compagno di squadra di “Dozor”, un gioco di squadra urbano notturno, ed è venuto per curiosità e per stare in compagnia.
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“Non ho mai praticato attività di resistenza. Faccio palestra o esercizi alla sbarra tre volte alla settimana, qualche volta un po’ di cardio in allenamento. Quanto al fango, non ci spaventa di certo; anche il Dozor non è un ballo di gala. Al contrario, mi pare che in tutto questo ci sia il suo charme, la sua estetica”.
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Qui si possono incontrare squadre di impiegati della PepsiCo, di blogger, di banchieri, gente dell’information technology, in realtà un po’ tutti. E tutti dicono che non è così difficile come sembra. Anche se ricorda la tipica scena di un film militaresco di Hollywood, con i personaggi nel fango fino alla cintura, che corrono in qualche direzione allo stremo delle forze e con qualcuno che per di più gli grida dietro: “Forza! Su! Buono a nulla!”. L’unica differenza è che qui nessuno ti urla niente.
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“Gli ostacoli non sono troppo complessi, ma le distanze da coprire di corsa tra l’uno e l’altro si sono rivelate molto lunghe. Io cercavo di capire se ne avevo abbastanza per arrivare in fondo o no. Ma non ce l’ho fatta, e un pezzo l’ho percorso camminando. Persino quando l’ostacolo è semplice, per esempio quando bisogna strisciare tra dei copertoni, si rompe il respiro, ed è dura ritrovare il ritmo”, racconta Anatolij.
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“E il fossato con l’acqua? La temperatura dell’aria era di 13 gradi e quella dell’acqua non di più. Quando mi sono immerso, scusate il termine, quel freddo mi ha rincoglionito. Volevo uscire subito e invece affondavo sempre più. Penso che il mio corpo abbia deciso che era arrivata la fine. Tuttavia dopo ho avuto un senso di rinnovato vigore”.
È verso la fine della corsa che gli “eroi” sono attesi dal più leggendario degli ostacoli, chiamato “Everest”, una collinetta scivolosissima, con pendenza crescente, alla quale una gran parte dei partecipanti non arriva correndo, ma zoppicando. Bisogna prendere la rincorsa finché la pendenza è dolce e aggrapparsi a una corda.
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“In alcune città aggrapparsi alla corda è già il top della difficoltà. Qui da noi, invece, bisogna anche arrampicarsi su. Come risultato, alcuni concorrenti rallentavano tutti gli altri”, racconta Anatolij, aggiungendo però che di fatto non è difficile, “bisogna solo possedere la tecnica”.
Come un racconto da bar 2.0
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“Corro da cinque anni e adesso sono passato al trail, e più precisamente alle distanze ultra lunghe, superiori ai cinquanta chilometri. Per me queste corse sono allenamenti di ordinaria amministrazione. Ho partecipato la prima volta due anni fa”, racconta l’analista Sergej.
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“Adesso tutte queste corse vengono organizzate dal franchising ‘Spartan race’, apparso nel 2007, e rappresentano una forma di crossfit divertente. A me è sempre piaciuto quando c’è un sacco da divertirsi lungo il percorso. In montagna c’è ancora poca gente, perché lì bisogna farsi il mazzo davvero. Circa la metà di quelli che vengono alla ‘Corsa’ hanno poca esperienza di crossfit o fanno jogging una volta ogni tanto. Non amo l’espressione ‘amebe da ufficio’. È una categoria mitologica a cui appartengono sempre ‘tutti, a parte noi’. Ma credo che in tali uffici io non ci resterei”, dice Sergej.
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“Partecipano molti impiegati. Per loro questa è una grande avventura. Mettersi alla prova, rotolarsi nel fango e tutto il resto”, racconta Anatolij, “per loro rappresenta la possibilità di provare qualcosa di insolito e di rompere la routine.
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Dopo la corsa se la tirano, pubblicando le foto, e fanno nuove conoscenze. In generale, si sforzano di cambiare almeno un pochino la loro vita e di fare il pieno di emozioni.
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Sergej ritiene che questo tipo di esperienze siano un toccasana per l’autostima: “Per un po’ di tempo ti sei sforzato (hai corso, mettiamo) e dopo fai in modo che dalle foto appaia come una mission impossible. Ma in realtà sono percorsi assolutamente fattibili. Ricorda un po’ quei vecchi racconti da bar, quando, infiorettandole, ti riportavano le storie delle risse nelle bettole. E questo è ancora meno pericoloso”.
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