La vita dopo la dipendenza

Foto: Itar Tass

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Storie di sofferenza e solitudine che terminano nel tunnel della droga. Rbth ha visitato un centro russo per la cura dei tossicodipendenti

Scrivere di persone che hanno compiuto un percorso di riabilitazione dalla tossicodipendenza è al tempo stesso facile e difficile. Facile, perché ciascuno di loro ha una storia che rappresenta un vero e proprio tesoro per un giornalista. E difficile perché sembra che le parole non bastino a esprimere ciò che hanno provato queste persone, e quanto sia faticoso per loro tornare alla vita normale. 

In Russia esiste un sistema di riabilitazione dei tossicodipendenti che permette di reinserire con successo nella società fino al 40 per cento dei pazienti. Il sistema è caratterizzato dalla suddivisione in due livelli: la disintossicazione in senso proprio e il reinserimento sociale, per mezzo dell'apprendimento di una professione. L'idea si è rivelata così efficace che è stata adottata già in cinque diversi paesi, tra cui Stati Uniti, Germania e Israele. 

Vardan è nato e cresciuto a Los Angeles, i suoi genitori sono di nazionalità armena, immigrati negli Stati Uniti. Il suo primo incontro con le droghe fu all'età di nove anni: fumava marijuana con dei compagni di scuola. Poi ha cominciato a bucarsi. Vardan sostiene che l'età dei tossicodipendenti negli Stati Uniti sia molto più bassa che in Russia. Scherzando, dichiara: "Cominciamo prima e smettiamo prima".  Lui ha deciso di smettere a ventidue anni. Dopo dodici anni da consumatore di stupefacenti, smettere non è stato facile. "Sono stato in due centri di riabilitazione, entrambi gestiti dai cristiani. Lavoravamo e leggevamo la Bibbia. Per sei mesi non ho assunto droghe, ma appena sono uscito ho ceduto di nuovo". Poi è capitato in un centro americano che adottava il programma russo del Centro per la Sana Gioventù (CZM). "Qui non ci formavano solo sulla spiritualità, ma anche riguardo ad altre sfere della vita, insomma ci insegnavano la normalità. Un tossicodipendente non ha idea di che cosa voglia dire sentirsi bene fisicamente o avere uno stato d'animo normale: è sempre soggetto a degli sbalzi, da malissimo a benissimo. Non pensi che forse ti senti male per il tempo atmosferico o perché hai litigato con qualcuno, ma cerchi subito la droga. Io non ero capace di risolvere i problemi, fuggivo da essi", racconta Vardan. Il ragazzo telefonò a casa e chiese che lo venissero a prendere. "Mia madre mi disse in tono severo che era ora di decidere se volevo curarmi oppure no", ricorda Vardan. "Allora capii che solo io stavo male per via della droga, mentre gli altri vivevano una vita normale, e che per cambiare il mio mondo dovevo cambiare me stesso". 

Il "Centro per la Sana Gioventù" (CZM) è un'associazione senza scopo di lucro che opera in qualità di fondo benefico. Esiste dal 2004 e si occupa della riabilitazione di pazienti dipendenti dalle droghe o dall'alcol. In dieci anni, oltre settemila persone hanno ricevuto aiuto; attualmente circa mille pazienti sono in fase di disintossicazione. Il CZM gestisce oltre sessanta centri di riabilitazione in quattordici città della Russia, oltre che in Ucraina, Bielorussia, Bulgaria, Israele e Germania. Il suo metodo è stato adottato anche in altri paesi i cui centri, benché abbiano nomi diversi, si avvalgono comunque dell'esperienza degli specialisti russi.   

I suoi cari, secondo Vardan, il cambiamento lo hanno notato: è diventato più responsabile e non fugge più davanti ai problemi. "Ho imparato a controllare i miei pensieri, se d'improvviso comincio a pensare alla droga sono in grado di fermarmi, di cambiare oggetto dei miei pensieri", spiega il giovane. Sono passati tre mesi dalla conclusione della riabilitazione, e Vardan è convinto che non prenderà mai più in mano una siringa.

Il giovane, che sta partecipando a Sochi a un'iniziativa contro gli stupefacenti insieme ad altri pazienti come lui, dice di comprendere il carattere internazionale del problema e la sua portata. "In tutto il mondo le persone si scontrano con il problema della tossicodipendenza, e io adesso voglio aiutarle a superare ciò che io stesso ho passato. Quando tornerò a casa studierò per diventare psicologo e lavorerò con i tossicodipendenti", conclude il ragazzo. Facendo un confronto tra i pazienti in Russia e negli Stati Uniti, Vardan ha osservato che gli americani sono più capricciosi. Per il resto, i problemi da risolvere nei due paesi sono gli stessi.    

Una delle attività più importanti dei centri di riabilitazione è l'organizzazione dei "campi antidroga". Si tratta di un grande evento in cui si riuniscono gli ex pazienti dei centri, per conoscersi, parlare, prendere coscienza dei rispettivi problemi e cercare di capire come risolverli. Questi raduni si tengono tre volte all'anno. "Vedendo delle persone che ce l'hanno fatta, che hanno superato il problema, anche a te viene voglia di impegnarti per crescere", racconta Aleksandr, un partecipante abituale di questi incontri.  "Vengono a trovarci star e politici, ci parlano della loro vita, e questa è un'ottima motivazione". 

Quest'anno al campo nei pressi di Sochi si sono radunate novecento persone che hanno attraversato tutte le fasi del percorso di guarigione. I partecipanti al campo parlano con gli psichiatri, condividono le proprie esperienze, prendono parte a rappresentazioni teatrali e spettacoli amatoriali, praticano sport. 

Darsele per un tè

Sergei Sakin è uno scrittore, la notorietà per lui è arrivata grazie allo show televisivo "Poslednij geroj" ("L'ultimo eroe"). Tutta la Russia ha guardato questo popolare reality show che aveva per protagonisti un gruppo di persone su un'isola deserta. Sergei è stato il penultimo eroe, ha perso la gara all'ultimo momento. Da allora è passato molto tempo. E Sergei è profondamente cambiato. Anch'io avevo seguito quel programma, e ho fatto fatica a riconoscerlo.

"Ho fatto uso di stupefacenti per circa vent'anni, eppure avevo una vita sociale, ho avuto dei figli, ho raggiunto qualche risultato. Non riconoscevo alcuna autorità. Andai a finire in un centro di disintossicazione dopo che mia moglie mi disse che avrebbe cambiato casa e che io non avrei mai più rivisto i miei figli; e che se fossi morto, lei non li avrebbe portati sulla mia tomba", racconta Sergei.

Sakin ha seguito il percorso di riabilitazione e ha lavorato come volontario in uno dei Centri per la Sana Gioventù. I risultati della riabilitazione non si sono visti subito: per Sergei è stato difficile aprirsi di fronte a degli sconosciuti. "Nella terapia, il principio fondamentale è la sincerità verso se stessi e verso le altre persone come te. Ma quando cominciai la riabilitazione nei primi tempi non incontrai persone del mio ambiente, e non ero disposto a comunicare. Intorno a me c'erano per lo più ex detenuti, che non mi ispiravano fiducia. Poi però conobbi un ufficiale della Fanteria di Marina reduce da una commozione cerebrale con cui riuscimmo a entrare in sintonia", racconta lo scrittore. "Cominciai a lavorare davvero su me stesso quando mi prolungarono il periodo di riabilitazione. Accadde un episodio in particolare che rappresentò per me un punto di svolta". Nel centro vigono molti divieti, e uno di questi è che non si può avere il proprio tè. "Io non solo avevo del tè mio, ma lo usavo come una droga, con un particolare metodo di infusione. Un lavoratore del centro trovò il mio tè, ne nacque una discussione e io lo colpii. Mi prolungarono il periodo di riabilitazione, dicendo che non ero ancora guarito. In quei giorni avrei dovuto fare un viaggio in India con mia moglie per festeggiare il Capodanno. Mi diedero il permesso di telefonarle, e le dovetti raccontare ciò che era successo. Al che, lei mi rispose: Hai picchiato una persona per via del tè? Un papà del genere non lo vogliamo. E riattaccò la cornetta. Fu in quel momento che capii che così non si poteva andare avanti".

La moglie di Sergei mantenne anche la promessa di cambiare casa; poi però, vedendo che il marito era cambiato, accettò di restare in buoni rapporti con lui. Sergei è assolutamente convinto che non tornerà mai più all'uso di stupefacenti, anche se ritiene che il suo sia un caso unico.   

Lo psichiatra del Centro per la Sana Gioventù Marat Aginian spiega che le basi del programma di disintossicazione sono mutuate e adattate dal sistema americano dei "12 passi". "Noi proponiamo una riabilitazione psicosociale. La riabilitazione medica è semplice: in ospedale si aiuta il paziente a superare la crisi di astinenza, a migliorare la qualità del sonno, e si sopprimono gli altri sintomi. La dipendenza del paziente, però, rimane", spiega l'esperto. "Solitamente i tossicodipendenti non vogliono disintossicarsi, e sono i loro parenti che si rivolgono a noi. Quando riusciamo a convincere l'interessato della necessità di seguire queste procedure, egli viene mandato in uno dei centri di riabilitazione; l'importante è che sia ben lontano da casa. Qui il paziente vive insieme ad altre persone come lui e affronta la terapia di gruppo". 

Sergei ricorda che per lui è stato molto difficile aprirsi e parlare. "La terapia di gruppo consiste nel raccontare la propria storia di volta in volta a delle persone praticamente estranee; a un certo punto, si produce l'effetto descritto nel romanzo di Anthony Burgess "Arancia meccanica": cominci a provare repulsione per il tuo passato e non vuoi più averci niente a che fare. Se invece una persona non compie un lavoro serio su se stessa, finisce per tornare alle droghe", spiega lo scrittore. "Queste persone devono rinunciare a un modello di vita e passare a un altro, ed è un processo molto difficile. È indispensabile che vi siano la volontà del paziente e un piano d'azione", afferma Marat. "La riabilitazione è appunto il piano d'azione. Essa prevede anche l'isolamento del paziente, perché una persona può cambiare se si trova in un ambiente privo di droghe. Ai pazienti non piace affatto stare qui, ma poi capiscono che accanto a loro vi sono altre persone simili, e comprendono che dopo staranno meglio".    

Lo psichiatra spiega che oltre a lavorare con i pazienti in riabilitazione bisogna fornire sostegno anche ai loro parenti. "Quando un membro della famiglia diventa tossicodipendente, cambiano anche gli altri famigliari, diventano condipendenti. Se ci si dimentica di loro, il disintossicato torna a casa e ricade nell'uso della droga. È una specie di circolo vizioso: la madre è un'isterica, e lo è diventata perché il figlio è diventato tossicodipendente. Lei stessa spingerà il figlio a riprendere la vecchia abitudine", osserva lo specialista.

Neanche l'osservanza di tutte le regole garantisce il pieno successo, anche se la percentuale delle guarigioni è molto alta: fino al 40 per cento dei pazienti tornano a condurre una vita normale.

Un biglietto per la libertà

La caratteristica principale di questi centri è il programma di reinserimento sociale. Il fatto è che una volta concluso il percorso di riabilitazione il paziente non è ancora pronto a inserirsi nella società. "Nella maggior parte dei casi i ragazzi cominciano ad assumere stupefacenti verso la fine del percorso scolastico e smettono di studiare; pertanto non sono in grado di lavorare se non come spacciatori di droga, e per vivere hanno bisogno di scegliersi una professione", spiega Marat. Ai corsi di reinserimento sociale si possono apprendere i lavori più disparati, dal mestiere del barista a una serie di professioni creative.

Aleksandr ha fatto uso di sostanze psicotrope per circa cinque anni; da due anni e mezzo non fa più uso di stupefacenti, non beve e non fuma. Quando andava ancora a scuola, da adolescente, soffriva terribilmente perché si sentiva diverso dagli altri: il ragazzo è disabile, gli manca una gamba.  "Volevo dimenticare tutto ciò che avevo intorno e non fare caso a ciò che accadeva.  L'ambiente stesso stimolava l'assunzione di droghe", racconta il giovane. "Ora capisco che non si possono giustificare le proprie azioni dandone la colpa alla società. Se comincio a bere o a bucarmi, la scelta è soltanto mia, e sono io il debole, non è l'ambiente che è cattivo.  Capisco che le persone sono tutte diverse; qualcuno può permettersi di fumare o di bere la birra nei fine settimana senza oltrepassare il limite del consentito.  Io non so rispettare questo limite". Dopo il reinserimento sociale Aleksandr ha scelto la professione di montatore video, e lavora nei progetti dedicati al tema della tossicodipendenza.  

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