Irina Golytsina, fondatrice de La Maison Galitzine (Foto: Gerry Images / Fotobank)
La storia dell’“espansione” russa sul mercato europeo della moda parte dalla dissoluzione dell’Impero. A ritrovarsi nella schiera degli émigrés furono centinaia di rappresentanti dell’élite russa. La maggior parte degli esuli erano donne con un grado elevato di istruzione, dalle maniere impeccabili, perfettemente educate fin dall’infanzia al buon gusto e all’arte della creatività artigianale. Così scriveva di loro la rivista parigina La Russia illustrata. “In questa città ha fatto il suo timido ingresso un’esule russa: un tempo sua madre e sua nonna vestivano da Worth e Poiret, ma questa giovane donna è appena sfuggita all’inferno della rivoluzione e della guerra civile! È giunta nella capitale dell’eleganza femminile e ha bussato alle porte di una raffinata maison de haute couture. Le sue massicce porte si sono spalancate e lei ha conquistato tutti i cuori…”. Tuttavia, è proprio grazie a queste dame dell’alta società russa che la professione di mannequin ha acquisito il lustro e il prestigio che oggi la contraddistinguono. Di nobili natali ed eleganti, parlavano correntemente molte lingue straniere e sapevano illustrare a chiunque fogge, tagli e tessuti dei modelli creati.
Moda, lo stile dietro la cortina di ferro |
La rivoluzione russa esercitò un’enorme influenza sul mondo della moda. Le donne à la page europee indossavano volentieri capi “alla russa” con le caratteristiche “tiare”, le pellicce e i colli da “boiarine”. Collezioni in questo stile venivano presentate all’inizio degli anni Venti nelle maison di Paul Poiret e Coco Chanel e di moltri altri couturier. Le émigrés russe, educate fin dall’infanzia all’arte della creatività artigianale, erano assai richieste. Principesse e contesse si dedicavano attivamente alla realizzazione di accessori, articoli di bigiotteria, stoffe ricamate, abiti e oggetti d’interni ispirati allo stile slavo. Le aristocratiche russe erano specializzate soprattutto nel ricamo ed eseguivano lavori di fattura talmente raffinata da ricevere ordinazioni dalle più prestigiose case di moda. A conseguire i maggiori successi in questo campo fu la granduchessa Marija Pavlovna, fondatrice della Casa del ricamo “Kitmir”, che firmò un contratto esclusivo con Chanel per le decorazioni e i ricami dei capi delle collezioni della Maison. È commovente ricordare che la stessa granduchessa eseguiva da sola una mole titanica di lavoro, dormendo talvolta sul pavimento dell’atelier sulla sua pelliccia, e che assumeva le sue ex connazionali per aiutarle materialmente. Una rivista scrisse allora a tale riguardo: “Non si magnificherà mai abbastanza il coraggio con cui le dame dell’alta società russa, esiliate dalla propria patria, si dedicano al lavoro”.
Ralph Lauren “Livshits”, emigrato negli Stati Uniti negli anni Venti (Foto: Getty Images / Fotobank)
A dedicarsi all’artigianto non erano soltanto le ricamatrici. Ex ufficiali dell’Armata Bianca avevano aperto a Parigi una bottega dove si confezionavano scarpe femminili “artigianali” fatte a mano, che divennero ben presto di moda e furono quindi esposte nel 1925 al Grand Palais al padiglione internazione delle arti decorative. Fu così che la maggior parte delle maison del periodo (oltre una ventina) venne fondata da nobildonne russe. Marija Putjatina fondò la fabbrica di cappelli “Shapka”. La fabbrica fece talmente fortuna che ben presto si espanse e venne aperta una filiale anche a Londra. La contessa Orlova-Davydova aprì a sua volta sul boulevard Malesherbes la “Maison de Mode”, specializzata in “tricot e tessuti stampati di lana e seta” che venivano commissionati dalle case di moda più famose per le loro collezioni. E a fondare la Casa di moda Imedy, che vestiva le signore dell’alta società francese, inglese e olandese, e anche le nuove milionarie americane, fu Anna Vorontsova-Dashkova, nata principessa Chavchavadze. A Londra si trovava anche la Maison Paul Caret, aperta dalla principessa Lobanova-Rostovskaja.
Max Factor, azienda di cosmetici creata da Maximilian Faktorowicz, originario dell’Impero russo (Foto: Getty Images / Fotobank)
Vi sono in questa storia, senza voler enfatizzare, anche altri casi di successi individuali nel campo della moda. Per esempio, i genitori di uno dei nomi simbolo della moda americana, Ralph Lauren, erano emigrati negli Stati Uniti negli anni Venti. Fino all’età di 16 anni la leggendaria star del business della moda aveva usato il cognome del padre, Livshits. Per la fortuna di molti estimatori del suo gusto raffinato, questo esule russo si è rivelato anche un grande uomo d’affari. Dopo aver esordito in un ufficio senza finestre - ma nell’Empire State Building - come venditore di cravatte “in apparenza costose, ma dal prezzo economico”, ora Ralph Lauren guida un impero ed è ospite fisso alle Settimane della moda di New York.
Un altro esempio emblematico è quello di Max Factor (Maximilian Faktorowicz), il “padre della cosmesi moderna”, fondatore dell’omonimo gigante industriale. “Businessman ebreo”, anche lui era originario dell’Impero russo. Il primo negozio di cosmetici l’aveva aperto nientemeno che a Rjazan (una piccola cittadina della Russia centrale) e in seguitò lavorò a Odessa e Nikolaev. Oggi una delle stelle dell’Hollywood walk of fame porta il suo nome.
La storia di un altro successo straordinario si svolge invece in Italia, paese in cui fu educata nelle migliori tradizioni della nobiltà russa, è quella di Irina Borisovna Golytsina, una fanciulla nata in una famiglia titolata della prima ondata dell’emigrazione russa, quella degli esuli che avevano lasciato l’Unione Sovietica all’inizio degli anni Venti. La giovane Irina Golytsina si affermerà come la “principessa” dell’Olimpo italiano della moda. La Maison Galitzine, da lei fondata, può competere con altre case di moda di pari livello come quelle Gianni Versace, John Galliano e Yves Saint-Laurent. Irene Galitzine ha legato il suo nome a un capo, il “pigiama palazzo” (un insieme costituito da una tunica legata sulla schiena e portata su pantaloni stretti e lunghi fino alla caviglia). La storia del suo approccio al mondo della moda ricorda la fiaba di Cenerentola. A differenza di Cenerentola, però la giovane lady aveva ricevuto una raffinata educazione in casa ed era cresciuta in un milieu aristocratico e artistico. Dovendo partecipare a un ballo e non avendo a disposizione nessuna fata, Irene si cucì da sola un abito che fu molto apprezzato.
“Frequentavo dei corsi di pittura e di disegno e fantasticavo sulle pagine di Vogue” scrive nelle sue memorie Irene Galitzyne. Poi le venne offerto un lavoro nell’atelier delle sorelle Fontana, che non solo divenne di lì a poco famoso, ma poteva contare su clienti del calibro di Audrey Hepburn, Jacqueline Kennedy e Ava Gardner. Nel 1959 Irene Galitzyne aveva già firmato la sua prima collezione che le valse il titolo americano di “Stilista dell’anno”. Ma la vera fama giunse per lei nel 1963. Come ricorda nel suo memoir, la sala, dove avveniva il défilé era gremita fino all’inverosimile. I testimoni raccontano che gli spettatori sedevano persino sui braccioli delle poltrone. Così ebbe inizio la fama della diafana principessa che già in tarda età, dopo la dissoluzione dell’Urss, visitando la Russia scrisse di “aver ritrovato finalmente la propria casa”. Tuttavia, la maggior parte delle maison russe di Parigi furono costrette a chiudere a causa della concorrenza. I nobili russi erano colti e raffinati, ma del tutto privi di talento commerciale; sapevano creare oggetti meravigliosi, ma non erano in grado, putroppo, di battersi per un posto sotto il sole. Un vero peccato. Sarebbe stato uno spettacolo interessante assistere sul palco della Settimana dell’Alta moda di Parigi al défilé di 25 maison russe con quasi un secolo di storia alle spalle.
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