Un impero di lingue in estinzione

Secondo la costituzione del Daghestan, tutte le sue lingue dovrebbe essere trattate come ufficiali. Solo 14 di loro hanno una forma scritta e solo queste ottengono il riconoscimento ufficiale (Foto: Sergei Piatakov / RIA Novosti)

Secondo la costituzione del Daghestan, tutte le sue lingue dovrebbe essere trattate come ufficiali. Solo 14 di loro hanno una forma scritta e solo queste ottengono il riconoscimento ufficiale (Foto: Sergei Piatakov / RIA Novosti)

Sono circa 250 gli idiomi parlati in Russia, molti dei quali rischiano col tempo di scomparire

Molte lingue russe rappresentano l'impenetrabile mistero dell’anima russa. Il russo in sé è abbastanza misterioso, considerando il tempo in cui si è sviluppato. Dalla prima apparizione di opere in prosa che non erano copie di modelli occidentali (Nikolay Karamzin, nel tardo 18° secolo) alla comparsa dei primi scritti sperimentali del 1920 (con Velimir Chlebnikov) intercorre solo poco più di un secolo.

In questo secolo febbrilmente attivo sono apparse le opere di Tolstoj, Cechov e molti altri. Nemmeno l'America ha conosciuto un tale genere di sviluppo, sebbene disponesse dell’intera raccolta della letteratura inglese da cui partire.

Le prospettive per la lingua russa sono buone; essa appare in un gran numero di pubblicazioni, viene studiata in maniera diligente, viene insegnata all'estero ed è in continuo sviluppo.

Una situazione simile è quella relativa alle lingue dei più numerosi gruppi etnici della Russia: tatar, bashkira, chuvasha e yakuta, che appartengono al ceppo linguistico turco. Anche quest’ultima lingua, quellayakuta, è parlata da più di 1,5 milioni di abitanti sparsi in una delle più grandi regioni della Russia, la Yakutia (3mila chilometri quadrati), e la lingua non è in pericolo di estinzione.

I libri vengono pubblicati in lingua yakuta. Questo idioma, studiato da linguisti ed etnologi, viene insegnato nelle scuole e nelle università ed è utilizzato dai mass media e nell’ambito della cultura artistica. Tutto ciò è in drammatico contrasto con la situazione delle lingue dei piccoli popoli indigeni russi (un termine riconosciuto nei documenti delle Nazioni Unite).

In realtà queste lingue si stanno estinguendo in tutto il mondo, e non solo in Russia. Nella maggior parte dei casi la causa non è negligenza o sciovinismo burocratico, ma le difficili condizioni ambientali, di cui la Russia non fa eccezione.

La Russia è un Paese subpolare, in cui enormi tratti di terra sono coperti dalla taiga e dalla tundra a malapena attraversabili, come la foresta amazzonica, ma con l’aggiunta di un freddo feroce. Le antiche tribù hanno provveduto al proprio sostentamento in queste terre deserte e desolate: dai Saami del Nord agli Udegei del lontano Sud-Est, ingaggiando una lotta dolorosa, e non sempre fortunata per la vita, mentre comunicavano nelle loro lingue non scritte.

È impossibile trasferire su di loro i vantaggi della vita urbana: l'esperienza ha dimostrato che hanno livelli fatalmente bassi di tolleranza alle malattie e all’alcool, quando ciò si è verificato. Un ulteriore motivo per cui le lingue si estinguono è l'assimilazione pacifica delle persone che le parlano alle popolazioni della lingua di maggioranza.

Questo è stato il destino di alcuni dialetti della Carelia. “Carelia” è un nome collettivo utilizzato per le popolazioni ugro-finniche che sono rimaste nella parte europea della Russia e per i discendenti degli abitanti ortodossi di quella che oggi è la Finlandia, che erano fuggiti in Russia durante la persecuzione religiosa nel Medioevo.

Secondo il censimento zarista del 1897, gli ultimi careliani vivono a Valdai, ora una rinomata località di lago a metà strada tra Mosca e San Pietroburgo, registrati come russi, ma il loro dialetto era morto anche prima.

I careliani che vivono nelle località più remote della regione di Tver e in altre aree hanno mantenuto viva la loro lingua fino ad oggi, anche se vivono più vicino a Mosca che a Valdai.

È chiaro che fattori come la televisione, Internet e il servizio militare nazionale hanno accelerato la scomparsa della lingua.

Nessuno sa con certezza quante lingue vengano parlate in Russia. In occasione del censimento del 2010 gli stessi abitanti hanno riferito di parlare fino a 250 lingue.

Ci sono due motivi principali alla base di questa confusione. Il primo è di natura finanziaria: finché viene organizzata una spedizione in qualche zona remota dove si pensa vivano le ultime persone che parlano una lingua, queste ultime potrebbero essersi trasferite utilizzando un altro linguaggio, o essere eventualmente morte. Il secondo è di natura linguistica: a molti di questi idiomi è stato inizialmente assegnato lo status di lingua, ma sono stati in seguito riconosciuti come dialetti, o viceversa.

A titolo di esempio, il Kerek della Chukotka si può considerare il più piccolo gruppo etnico identificato nel censimento del 2010, composto solo da quattro persone. Le ultime registrazioni sul campo fatte della lingua Kerek sono state condotte negli anni Settanta, e nel censimento del 2002 c'erano otto persone che si sono identificate come Kerek. Nessuno dei Kerek sopravvissuti dopo il 2000 ha una piena conoscenza della propria lingua: sa qualche vocabolo, ma solo in modo passivo.

I Kerek sono stati quasi del tutto assimilati ai chutkci, un’altra piccola popolazione indigena con la quale vivono. Ma ci sono anche alcuni linguisti secondo cui il Kerek è un dialetto del Koryak, un'altra lingua di minoranza parlata da 9.000 persone, anche se solo 2.000 di queste lo utilizza come prima lingua.

Lo Stato tenta di provvedere ai piccoli popoli indigeni del Nord, della Siberia e dell’Estremo Oriente dando ai loro giovani la possibilità di posticipare il servizio nazionale obbligatorio, e dando ai loro cacciatori e pescatori delle agevolazioni fiscali.

Tuttavia, c'è una regione della Russia dove chi parla lingue non scritte viene trattato con disprezzo: il Daghestan, nel Caucaso del Nord. Nonostante il Daghestan si contraddistingua per essere uno scrigno di tesori linguistici, già nel Medioevo i filosofi arabi chiamavano il Caucaso "una montagna di lingue", anche se le terre sono unite e aperte. Qui vengono parlate più di 50 lingue riconoscibili. Secondo la Costituzione di questo luogo afflitto dalla disoccupazione, tutte le lingue parlate dovrebbero essere considerate ufficiali, anche se solo 14 hanno forme scritte, se contiamo anche il russo, e solo queste sono riconosciute ufficialmente.

Coloro che parlano le lingue non scritte (che potrebbero rappresentare l’intero villaggio, o almeno mezzo Paese) sono tradizionalmente considerati come membri di uno dei gruppi linguistici più numerosi (gli Avar sono i più numerosi), e quindi non beneficiano di alcuna agevolazione fiscale, culturale o di altri benefici sociali.

Le autorità locali non possono attuare un "linguicidio" (l'estinzione mirata di una lingua senza l'assassinio della sua gente) nel suo significato più rigoroso. Gli studiosi di linguistica provenienti dalla Repubblica del Daghestan e dal resto della Russia conducono le proprie ricerche nelle lingue locali, pubblicano i loro risultati sulle riviste accademiche a ridotta diffusione, e tentano di dare una forma scritta a queste lingue. Nonostante tutto, non è difficile assistere al manifestarsi di un inizio di freddo "linguicidio". Un esempio è quello della lingua Botlikh.

Ci sono stati innumerevoli petizione e numerosi incontri nel villaggio di Botlikh, volti a riconoscere l'autonomia culturale dei Botlikhs e la loro lingua appartenente al gruppo Andi delle lingue Avar-Andi-Tsez della famiglia Nakh-daghestana. Eppure continuano a essere classificati come persone che parlano l’Avar, proprio come lo erano sotto Stalin nel 1920. Il risultato è che solo duecento Botlikhs, su una popolazione di seimila, conoscono la propria lingua.

È interessante notare che a partire da gennaio 2013 la responsabilità di tali questioni è stata trasferita dalle autorità locali del Daghestan e posta sotto la competenza dell’autorità russa appartenente al governo centrale responsabile per le questioni inter-etniche.

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