Religiosi al fianco dei tossicodipendenti

Il periodo di riabilitazione media nella comunità è di un anno, un anno e mezzo. Nessuno è trattenuto contro la propria volontà (Foto: Itar-Tass)

Il periodo di riabilitazione media nella comunità è di un anno, un anno e mezzo. Nessuno è trattenuto contro la propria volontà (Foto: Itar-Tass)

Un villaggio abbandonato a otto ore di macchina a Nord-Est di Mosca ospita uno dei 60 centri di riabilitazione dalla droga, aperti dalla Chiesa russa ortodossa fin dagli anni Novanta

La comunità religiosa di San Giorgio in uno sperduto paesino dell’oblast di Ivanov è uno dei 60 centri ortodossi di recupero per tossicodipendenti della Federazione.

Ci vivono 12 persone, 4 sacerdoti e 8 tossicodipendenti in via di guarigione, provenienti da Mosca, San Pietroburgo, Novosibirsk, Tomsk. Si cerca di non prendere chi vive nei dintorni, per non dare un motivo in più di pensare a una fuga a casa.

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Il villaggio di Georgievskoe si riassume tutto in una cabina telefonica e qualche edificio su un’altura; le case abitate si possono contare sulle dita di una mano. Le altre hanno i tetti in rovina e gli steccati piegati. Il territorio della comunità è pulito: i cespugli di fragole sono ben tagliati, gli attrezzi da giardinaggio sono riposti con cura, la serra è coperta per l’inverno, i sentieri sono spazzati, nel recinto gironzola un cavallo, in cortile chiocciano galline ben pasciute e un cane pastore vigila dalla cuccia. Vicino stanno costruendo una stalla, appena ci sarà l’occasione i preti compreranno delle vacche.

Alcuni ragazzi in salute, con le guance colorite e dalle buone maniere, passeggiano per la parrocchia. Aleksandr si scioglie dalla commozione tenendo in mano una gallina che è riuscito ad addomesticare; Anton racconta le superbe albe sul Volga; Andrej osserva imbarazzato la felicità che si prova nel creare qualcosa; Kostantin, scostante e a volte esageratamente schietto, tiene sul comodino un libro di Erich Maria Remarque.

La storia di tossicodipendenza di questi “allievi” è più o meno la stessa: a 12-14 anni inizi a bere e a fumare, poi provi “la roba” e di colpo ci finisci dentro, ma per molto tempo non ti consideri un drogato.

Padre Mefodij Kondratev racconta che l’idea di recuperare i tossicodipendenti è nata dalla desolazione. Nel 1993 i sacerdoti hanno fatto un esperimento, accogliendo in comunità un tossicodipendente; lo hanno sistemato in una casa separata, gli hanno dato una cucina elettrica, cercando di non avere troppi contatti con lui, per non rischiare. Poi i tossici diventarono due, ma come prima i sacerdoti mantenevano le distanze.

Alla fine degli anni Novanta si capì che bisognava agire in un altro modo e nel corso degli ultimi anni si è concretizzato un modello di organizzazione del recupero sulla base del quale si opera ancora oggi. I residenti dicono che entrare nel centro di recupero sul Volga non è molto semplice: bisogna superare un colloquio e trovare il modo di rimanere “puliti” per almeno dieci giorni prima di arrivare nella comunità religiosa. Una volta entrato il residente firma un accordo con il quale promette di ubbidire al clero, di partecipare alle funzioni religiose e di mantenere l’obbedienza (svolgendo vari incarichi).

Il mattino presto c’è la messa per i preti e i loro ragazzi, quindi qualche esercizio di ginnastica e poi la colazione. Dopo colazione e pranzo ognuno procede con il compito assegnato: c’è chi taglia la legna, chi prepara il fieno, chi pulisce i dormitori. Prima di cena c’è un’altra messa. Il sabato e la domenica sono festivi, se non si contano le brevi funzioni e i pasti. Gli ospiti hanno un po’ di tempo libero.

La sera del sabato si tengono i “risultati della settimana”: ogni sacerdote della comunità religiosa nel corso in un’ora e mezza circa discute con i suoi allievi la settimana trascorsa, secondo uno schema preparato in precedenza. La domenica i preti preparano i ragazzi a una vita normale parlando delle questioni più quotidiane: come accogliere gli ospiti, come arredare una stanza. Dopo cena si vede un film, scelto dall’igumeno Siluan. A Georgievskoe si guardano Tarkovskij e Zvjagincev, i classici russi e quelli stranieri. Il lunedì sera gli ospiti discutono con i religiosi il film che hanno visto.

La riabilitazione si divide convenzionalmente in alcune fasi; nella prima il paziente “torna in sé” e in forma scritta riflette su tre temi assegnati: la storia della sua dipendenza, la negazione (come la giustificava) e l’impotenza e l’ingestibilità (descrivendo l’incapacità a fronteggiare da soli la dipendenza dalle droghe e l’impossibilità a gestire i propri pensieri, azioni e comportamenti in relazione alle sostanze).

La seconda fase è orientata alla dimensione spirituale. Per alcuni mesi si insegna ai residenti a lottare contro la dipendenza con l’aiuto dell’ascesi, viene loro spiegato il senso del digiuno, della preghiera, dell’obbedienza e dei sacramenti.

La terza fase è quella di adattamento, qui la chiamano la “casa a metà strada”. L’utente residente, senza perdere il contatto con i tutori, imposta la sua vita al di fuori della comunità: trova un lavoro, instaura rapporti sociali, impara a vivere nel mondo senza usare droghe.

Mediamente la riabilitazione nella parrocchia dura un anno, un anno e mezzo. Qui nessuno è trattenuto contro la sua volontà. Quando il paziente sente dentro di sé le forze per tornare a vivere nella società, chiede consiglio all’educatore e se ne va.

Benché i sacerdoti di San Giorgio ritengano che il modello di recupero per tossicodipendenti in funzione nella parrocchia abbia successo, non hanno fretta di trasformare i risultati in cifre. “Abbiamo smesso di compilare le statistiche”, afferma padre Mefodij Kondratev, ribadendo quanto sia ingrato questo lavoro: la dipendenza rimane per tutta la vita e non sai mai quando una persona può caderci. Gli ex tossici per questo motivo non dicono di sé che sono “guariti”, ma “in via di guarigione”.

D’altra parte però padre Siluan sostiene che più della metà degli ex residenti rimane “pulita”. Quelli che hanno una ricaduta di solito non vengono nuovamente accettati; sarebbe un cattivo esempio per gli altri residenti e un’indulgenza per chi ci è ricascato.

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