Why Russians celebrate Victory Day with a parade annually
Varvara GrankovaUna delle immagini più emblematiche della festa – oltre ai fuochi d’artificio e ai fiori che si regalano ai veterani, è la parata di Mosca. Ogni anno sulla piazza Rossa migliaia di soldati sfilano a passo di marcia, vengono presentate le ultime novità della tecnologia bellica, come il carro armato “Armata” nel 2015; ad attenderli c’è il ministero della Difesa in persona (attualmente Sergej Shojgu). Per il 70esimo anniversario sono stati spesi 810 milioni di rubli (14,2 milioni di dollari), l’anno prima ne erano stati investiti 295 milioni (5,1 milioni di dollari).
Per dimensioni e portata le parate russe sono un fenomeno unico al mondo. In Europa occidentale e negli Stati Uniti la fine della Seconda guerra mondiale non viene celebrata con simili sfilate di soldati.
La Cina in effetti ha organizzato una imponente esibizione delle truppe nel settembre del 2015, in occasione del settantesimo anniversario, ma si è trattato di un caso isolato. In Russia invece è un appuntamento fisso di ogni anno. Perché?
Una tradizione che si ripete
Per quanto possa sembrare strano ai tempi dell’Unione Sovietica, che fu la vera vincitrice della Seconda guerra mondiale, le parate erano molto più modeste rispetto a quelle della Russia odierna. E molto più rare. La prima parata della vittoria avvenne nel giugno 1945, quando i soldati sovietici lanciarono verso il mausoleo i vessilli nazisti fatti a pezzi, ma nei successivi vent’anni non venne più organizzata.
Come osserva lo storico Denis Babichenko sia Iosif Stalin sia il suo successore Nikita Khrushchev temevano che gli alti gradi militari acquisissero troppo peso politico e perciò non accentuarono i loro meriti e quelli degli altri veterani. Fino al 1965 il Giorno della Vittoria non era nemmeno un giorno festivo.
Il primo leader grazie al quale il Giorno della Vittoria iniziò a essere largamente celebrato, a livello istituzionale e in ogni angolo del paese, fu Leonid Brezhnev (che fu segretario generale – l’incarico più importante in URSS – dal 1966 al 1982). Anche durante il suo governo però le parate erano organizzate soltanto nelle ricorrenze più significative. L’ultima parata sovietica ebbe luogo nel 1990, mentre nei primi anni dopo il crollo dell'URSS non si organizzavano manifestazioni di questo genere. Venne riportata in auge nel 1995 ma è dagli anni Duemila che il fenomeno ha raggiunto le dimensioni attuali.
Il senso sta nell’unità
Lo storico Dmitrij Andreev ha spiegato a Rbth che per la Russia di oggi il Giorno della Vittoria è importante perché è uno dei pochi “collanti” rimasti per tenere unito il Paese: “Il Giorno della Vittoria e il momento commemorativo che rappresenta spingono al consenso e alla coesione nazionale”, osserva Andreev.
La parata, i fuochi d’artificio, la processione del “battaglione immortale” sono tutti rituali che incarnano un’idea di unità che ruota intorno a una memoria condivisa. Le autorità cercano di sfruttare al massimo questi momenti per mantenere l’identità della nazione. Da qui l’imponenza della solennità di cui la parata militare è parte integrante.
I moscoviti di tanto in tanto si lamentano che dal vivo non è comodo guardare la parata. “Non riesci ad avvicinarti e non si vede niente”, osserva il blogger Ilja Varlamov. “Non è fatta per le persone, ma per le trasmissioni televisive. Perché per esempio non mettono delle tribune per la gente comune?”. Varlamov critica il governo che mette insieme il Giorno della Vittoria, una festa legata alla memoria e al dolore, con “una dimostrazione di potenza bellica”.
La stragrande maggioranza dei russi però (il 96% secondo un sondaggio del centro Levada) continua ad apprezzare la parata. “Quand’ero bambino la guardavo ogni anno con i miei genitori” ricorda Yulija Kovalev, una ragazza moscovita di ventiquattro anni. “È bello vedere i ragazzi che marciano all’unisono, la tecnologia dispiegata in tutta la sua potenza, sentire gli ‘evviva!’. Ti senti subito orgoglioso, hai la sensazione di essere protetto. È una bella tradizione e ha senso continuarla”.
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