Roza nella Hall of Fame

La nazionale sovietica di pallavolo con Roza Salikhova (Foto: Doliagyn / Ria Novosti)

La nazionale sovietica di pallavolo con Roza Salikhova (Foto: Doliagyn / Ria Novosti)

Disciplina, forza fisica, conoscenza del gioco. Scelta per la galleria dei fenomeni dello sport, la pallavolista sovietica Roza Salikhova è entrata nella storia nel periodo in cui l'Unione Sovietica era dominatrice assoluta della pallavolo femminile

Un braccio a forma di martello per l'oro olimpico. Anzi, gli ori olimpici. Nel periodo d'oro della carriera di Roza Salikhova, tra gli anni Sessanta e Settanta, l'Unione Sovietica era assoluta dominatrice della pallavolo femminile. E così fino agli anni Ottanta. Con successi olimpici e mondiali anche tra gli uomini.

Il volley, assieme all'hockey, era lo sport di squadra per eccellenza che metteva in mostra le qualità dei sovietici: disciplina, forza fisica, conoscenza del gioco, resistenza abbinati al talento naturale di una generazione sportiva di qualità superiore. I comuni denominatori che stanno portando avanti la Russia ai Mondiali in corso in Italia: in campo contro il Brasile domani sera a Verona per il primo atto della seconda fase del torneo.

Ma in tutta la competizione non c'è un fenomeno che valga la schiacciatrice sovietica che piegava le mani a muro alle avversarie, ora 70enne, insignita anche dell'Ordine d'onore in Russia, che qualche mese fa veniva scelta per la Hall of Fame, la galleria dei fenomeni dello sport, assieme ad altri sei nomi del volley mondiale: dal tecnico olandese Joop Alberda, al brasiliano Nalbert Bitencourt, alla statunitense Tara Cross-Battle, quattro Olimpiadi in fila da Barcellona 1992, al ceco Miloslav Ejem, alla brasiliana Sandra Pires, che ha praticamente portato il beach volley ai Giochi di Atlanta 1996.

Ma la Salikhova vanta qualcosa in bacheca che manca agli altri: la doppietta olimpica, tra Città del Messico 1968 e Monaco, i Giochi del terrore 1972. E in mezzo è salita con le compagne sul gradino più alto del podio ai Mondiali 1970, centrando l'argento quattro anni dopo. Per non farsi mancare nulla, vinti anche due Europei (1967 e 1971) oltre a sei campionati nazionali in Unione Sovietica, con due club diversi, al Trud Sverdlovsk di Yekaterinburg e alla Dinamo Mosca. In particolare, il sestetto sovietico, con la Salikhova prima donna, ai Giochi tedeschi era due spanne sopra le avversarie. Inna Ryskal, Vera Galushka Douiounova, Tatiana Ponyayeva Tretiakova, Nina Smoleeva, Ljudmila Buldakova, Tatiana Gonobobleva, Lyubov Turina, Galina Leontieva, Tatiana Sarycheva: nessuna di queste sarebbe finita in panchina in un'altra Nazionale.

Il successo era ovvio, quasi scontato. E la gloria nazionale finiva ai cestisti che battevano gli americani nella finale più discussa della storia, vinta per un punto a pochi decimi di secondo dalla fine. E non mancavano le avversarie di spessore per le sovietiche, specie Ungheria, Giappone e Cecoslovacchia. Le ungheresi perdevano in finale dopo un torneo in pratica senza perdere set. E quattro anni prima la lezione toccava alle nipponiche. Con i punti di Roza, soprannominata il “commando di Trud”. 

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