Credit: Niyaz Karim |
“Forza, e ora alziamoci in piedi”. Con il volto teso e fare solenne, Timur alza un braccio verso il soffitto e guarda i compagni con aria da leader. Loro lo seguono con lo sguardo. In silenzio. E aspettano che lui sia ben dritto per alzarsi in piedi, disposti in cerchio attorno alla tavola. Nella stanza è rimasto solo il ronzio dello stereo, dal quale risuona una vecchia canzone georgiana. Il momento è veramente solenne. Timur solleva il bicchiere e va per proferire parola. Ed è a questo punto, ahimè, che a me scappa da ridere.
Per loro quello del tost, il brindisi tra amici, è un vero e proprio rito. Per me è una scenetta divertentissima che si ripete tutte le volte con lo stesso copione: li ascolto esterrefatta. Imbambolata come davanti a un film che vedo e rivedo e me ne innamoro ogni volta di più. Le frasi non sono mai banali. Mai scontate né ripetitive. C’è chi brinda all’amore, all’amicizia e alla notte di Mosca. Timur, invece, questa sera ha deciso di brindare all’unione dei popoli. Sarà che si è inaspettatamente ritrovato insieme a un gruppo di italiani piovuto dal cielo, capitato nel suo locale ormai vuoto (un delizioso ristorante georgiano, nella zona est della città), e ha deciso di concludere con noi la sua serata, iniziata qualche brindisi fa. Per rendere omaggio a questa inaspettata compagnia di “mangia-maccheroni” (e, ovviamente, per convincerci a tornare nuovamente nel suo locale), Timur ha chiamato a raccolta anche i camerieri e il cuoco che stava sistemando in cucina. Ormai gli altri clienti se ne sono andati via tutti. E così lui inizia a offrirci da bere, a portare in tavola bottiglie di whisky e succo di mela per noi ragazze. “Alziamoci in piedi e brindiamo alla diversità dei popoli. A chi parte e a chi arriva. A chi cerca altrove il proprio futuro”.
Foto: Shutterstock
Mi lascio distrarre dai miei stessi pensieri e perdo una parte del suo lunghissimo brindisi. Inspiegabilmente lo ritrovo a parlare di sua nonna. Il braccio sempre bello teso, alzato al soffitto con il bicchiere di whisky in mano. La lingua, effettivamente, strascica tra i denti. Faccio fatica a seguire questo monologo, ma vedo gli altri che annuiscono. Capisco che sta raccontando una storiella. Una leggenda che deve essergli stata tramandata dalla nonna… qualcosa in merito alla fratellanza e all’amicizia tra i popoli.
“…ed è per questo che io voglio condividere con voi, cari amici, questo momento! Per noi e per i nostri figli…”. E qua mi perdo di nuovo. Fino alla frase fatidica: “Za znakomstvu! Alle nuove amicizie!”
Tracanna il suo bicchiere in un sorso e lo posa con forza sul tavolo, emettendo un sonoro verso di liberazione. Anche gli altri lo bevono “alla russa”. Il cuoco, invece, esita un po’ di più: temporeggia guardando l’orologio, fino al sorso successivo. Compiaciuti del solenne momento, i cinque compari tornano a istruirci sui loro luoghi d’origine, sulle loro tradizioni e la loro lingua. La conversazione rischia di degenerare quando si sfiora l’argomento “omosessualità”. Uno di loro, di vedute ben diverse rispetto alla mia amica Michela, va per alterarsi. Ma affoga i bollori della conversazione con un altro bel sorso di whisky.
Una serata inaspettata. Come sono sempre le serate di Mosca. Io continuo a sorseggiare il mio succo. Seguendo imbambolata l’ennesimo, infinito tost.
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