Disegno di Natalia Mikhaylenko
Mikhail Baryshnikov è il ballerino russo più famoso in Occidente. Da tempo si considera americano, sebbene sia nato a Riga in epoca sovietica e abbia vissuto e danzato a Leningrado. Nel 1974, durante una tournée in Canada, si rifiutò di tornare in Unione Sovietica e fece perdere le proprie tracce: fu l’inizio di una vicenda che ebbe tutti i crismi del poliziesco, con tanto di fuga e di macchina in attesa in un posto prestabilito. Non scappò per ragioni politiche ma artistiche: Baryshnikov era un artista di grande successo a Leningrado e godeva di popolarità, ma voleva danzare in un altro corpo di ballo e non in quello dell’Urss. Più libero e contemporaneo, non sovietico. Gli mancava la libertà creativa.
A che cosa sarebbe andato incontro Baryshnikov se non fosse passato in Occidente? A rispondere a questa domanda è il suo caro amico Joseph Brodski, che dice: “Sarebbe diventato alcolizzato”. Molti personaggi di grande talento degli anni Settanta sono andati incontro a questo destino: poeti, musicisti, registi, sono diventati alcolizzati, hanno smesso di scrivere, di recitare, di mettere in scena, non avendo la forza di lottare contro la soffocante atmosfera della fine dell’Urss. D’altro canto, se fosse nato in America, non sappiamo che cosa sarebbe diventato: Baryshnikov pensa che non sarebbe neppure diventato un ballerino. Forse avrebbe fatto il giurista o l’uomo d’affari.
Scappando in Occidente poté non soltanto realizzarsi appieno e danzare nei ruoli più importanti, ma anche diventare una sorta di pop-star. La sua fama, infatti, va ben oltre il mondo della danza. Non molto tempo fa, per esempio, ha recitato nella celeberrima serie “Sex and the city”, e così facendo è diventato famoso anche per milioni di persone che non avevano mai assistito a un balletto. Un altro scrittore russo americano, Sergei Dovlatov, descrive bene questo fenomeno: “Non molto tempo fa sono entrato in una drogheria di New York vicino a Queens Boulevard. Appeso al muro c’era un enorme ritratto di Mikhail Baryshnikov, privo di firma. Così, all’improvviso ho capito che cosa vuol dire davvero fama: è quando il tuo ritratto può essere appeso in una drogheria. Non nella hall di un teatro dell’opera o nella redazione di una rivista di moda, ma proprio in una drogheria. Significa che ti conoscono tutti!”.
Del resto, le riviste di moda patinate non si astengono dal parlarne: pochi forse si interessano alle coreografie, ma molti scrivono volentieri articoli sulla vita privata e personale, sulla sua relazione con Jessica Lang e con Liza Minelli, le sue automobili, i suoi viaggi, i suoi affari. Come ogni superstar, Baryshnikov ha ammiratori nelle alte sfere. E come ogni celebrità che si rispetti affronta la cosa con indifferenza. Una volta, a un ricevimento, si è trovato seduto al tavolo della principessa di Galles, oggi scomparsa. Diana gli chiese: “Di sicuro lei non si ricorda di me”. “Mi scusi, altezza?”. “Prima di sposarmi, non mi perdevo nessuna delle sue rappresentazioni a Covent Garden. Un giorno con altri suoi ammiratori l’ho attesa all’uscita dello spettacolo, e lei mi ha rilasciato un autografo”. “E che cosa le scrissi?”. “Soltanto il mio nome. Sembrava essere molto di fretta…”.
Baryshnikov ha una sua compagnia di ballo, che rende bene. Ha anche una linea di abbigliamento e i profumi “Micha”. Per molti anni è stato comproprietario del leggendario ristorante “Russki Samovar” a New York, dove dagli anni Ottanta e ancora oggi hanno l’abitudine di ritrovarsi gli emigrati russi, dall’élite degli intellettuali (Brodski, Dovlatov) alla feccia di Brighton e ai gangster. Un giorno Baryshnikov era seduto al “Samovar” quando vide passare un gruppetto di persone che sembravano proprio malviventi. Il suo socio iniziò a preoccuparsi, ma Baryshnikov scoppiò in una risata e disse: “Lasciali andare e non ti intromettere, perché sarebbero anche capaci di spararti: tu te la dovresti vedere con le pene dell’inferno e io con una pena vera e propria”.
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