Cechov, un genio retribuito

Disegno di Natalia Mikhaylenko

Disegno di Natalia Mikhaylenko

Il grande scrittore russo ha sempre avuto un disperato bisogno di soldi. Ma chissà: se non fosse stato per i suoi problemi economici, forse non avrebbe prodotto molti dei suoi più grandi capolavori

Il più importante e asfissiante contratto economico della sua vita Cechov lo firmò con l’editore Adolf Marx, che acquisì i diritti su tutte le sue opere, presenti e future. In pratica, l’editore comperò lo scrittore. Il valore economico di quel contratto fu di 75mila rubli, una piccola fortuna a quei tempi. Ma Marx pagò la cifra in piccole rate, in cambio dei manoscritti che gli arrivavano. I soldi che Cechov riuscì a guadagnare grazie a questo contratto gli permisero di comprare una piccola casa a Yalta, ma forse quello fu il meno. In realtà, il contratto firmato con Marx rivestì nella vita di Cechov un ruolo molto più fondamentale, perché lo trasformò in un famoso commediografo.

Il libro de “Il giardino dei ciliegi” naturalmente fu pubblicato da Marx, ma le royalty per la commedia omonima non appartennero mai all’editore, e non è un caso se più della metà delle opere teatrali di Cechov fu scritta dopo la firma del contratto con Marx. Tra queste vi sono per l’appunto “Il giardino dei ciliegi”, “Le tre sorelle” e almeno altre dieci composizioni teatrali. Essendo riuscito con successo a raggirare il suo editore, Cechov dovette però affrontare i capricci dei registi teatrali.

Il teatro come la vita
Vladimir Nemirovich-Danchenko
e Konstantin Stanislavskij

Una volta, assistendo alle prove generali de “Il gabbiano” al Teatro dell’Arte di Mosca, sentì rane gracidare, cani abbaiare e libellule ronzare dietro le quinte. Del tutto sconcertato, chiese “Che sta mai succedendo?”. E gli risposero: “Stiamo cercando di far sembrare il tutto più reale”. Imperturbabile, Cechov improvvisò una vera e propria conferenza sull’arte. “Immaginate questo celeberrimo quadro di Kramskoj” raccontò alla troupe. “In esso i volti umani sono rappresentati al meglio. Che accadrebbe se tagliassimo la tela in corrispondenza del naso di una delle facce e vi mettessimo un naso vero? Che ne pensate? Beh, il naso sarebbe reale…Ma il dipinto ovviamente sarebbe rovinato. Ecco: tenete dunque presente che il palcoscenico del teatro rappresenta la quintessenza della vita. Vi prego di non inserirvi mai più un elemento estraneo”.

Poco prima della sua morte Cechov mostrò il suo blocco di appunti a Garin-Mikhailovsky, un amico scrittore e gli disse: “Ho qui circa cinquecento pagine di materiale non utilizzato, quanto mi basta per scrivere altri cinque anni. Se riuscirò a trasformarlo tutto in libri e commedie, la mia famiglia avrà a sufficienza di che prosperare”. Cechov trascorse tutta la sua vita a cercare di mettere insieme soldi. Ne aveva sempre bisogno. In compenso, non doveva mai andare alla ricerca di idee, del nobile significato della vita, o di nuove trame, perché per fortuna di esse non era mai a corto. Era in grado di scrivere una trama avvincente a partire da qualsiasi situazione, proprio come un mago estrae un coniglio da un cilindro.

Non ebbe mai bisogno di ideologie, arrivando a scandalizzare il pubblico letterario dei suoi tempi, che era abituato a leggere sempre letteratura in qualche modo imperniata su un’ideologia. Così ricorda un contemporaneo un dialogo tra Cechov e i suoi studenti: “Non si può essere scrittori se non si hanno convinzioni!” si lamentò uno degli studenti. “Mi dispiace, io non ne ho” rispose Cechov. “Ma per chi sono allora le sue storie? A che servono? In esse non ci sono antitesi, né idee. È semplice intrattenimento, questo è tutto”. “Giusto, è semplice intrattenimento” concordò Cechov. Cechov non si considerò mai un grande scrittore. Definì la sua professione in questi termini: scrittore di “letteratura contemporanea”, qualcosa che si legge oggi, ma che domani sarà completamente dimenticato. Una volta Cechov chiese a Ivan Bunin, un altro amico scrittore: “Sai per quanto tempo leggeranno i miei libri?”. “Per quanto?”. “Sette anni”. “Perché proprio sette?”. “Beh, forse sette e mezzo”. “No, no. La poesia vive molto più a lungo”. E questo rese Cechov, di solito molto calmo, veramente molto arrabbiato. “Le uniche persone che considerano poeti, mio caro signore” disse quasi strillando, “sono quelle che usano espressioni come “l’argentea lontananza”, “accordo”, “All’armi, all’armi, sconfiggiamo l’oscurità!”.

 

Cechov fu sempre troppo professionale per interpretare il genio. Si limitò soltanto a sfornare un prodotto solido, ben fatto e ben rifinito. Tutto il resto rimase per lui quell’ “argentea lontananza” che disprezzava. Il risultato naturale di un prodotto ben fatto e ben rifinito è proprio il guadagno, e i confort che esso assicura. Così uno degli amici di Cechov ricorda un episodio tipico: “L’osteria era sporca e da due soldi. Apriva molto presto per i cocchieri che facevano il turno di notte. ‘Va proprio bene’ disse Cechov mentre vi entravamo. ‘Se scriveremo qualcosa di buono, avremo la possibilità di frequentare buoni ristoranti in vita nostra. Per adesso, questo locale fa proprio al caso nostro, è quello che ci meritiamo’”. Non sembra che Cechov abbia mai aspirato a molto di più che andare in buoni ristoranti. Ma Marx seppe giocare bene puntando su Cechov e acquistando tutti i diritti delle opere che avrebbe scritto.

Ancora oggi, a distanza di un secolo dalla sua morte, continuano a materializzarsi alcuni testi di Cechov non scritti da lui. Lo scrittore sarebbe deliziato di sentire l’attuale presidente dell’Ucraina, Viktor Janukovyč, definirlo “un grande poeta ucraino”. Avrebbe pensato che è una definizione esilarante, una eccellente battuta nel suo stesso stile. Ma ecco un altro aneddoto che piacerà al lettore: la dacia in Crimea di Cechov è stata trasformata in un museo. All’interno ci sono la sua scrivania e la sua penna. I visitatori sono accolti da un messaggio scritto con la macchina da scrivere: “Qui visse e lavorò Cechov. Ricordiamolo sempre!”. Il messaggio prosegue ancora a lungo e si conclude con queste parole: “Leggete Cechov e resterete in salute!”. Sembra quasi un messaggio scritto da Cechov di suo pugno: questo è proprio il suo genere di umorismo

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