Igor Netto, il centrocampista dell'Urss con l'oro al collo

Il capitano del pluripremiato Spartak Mosca e della Nazionale che vinse i Giochi olimpici di Melbourne nel 1956

Il capitano. La guida morale di una delle squadre che ha scritto la storia del calcio sovietico e internazionale. E un esempio di fair play, in un’epoca dove i calciatori non potevano essere smascherati dalle moviole, con telecamere focalizzate novanta minuti sulle loro gesta in campo, tecnici e non.

Igor Netto era il leader dello Spartak Mosca che dominava negli anni Cinquanta e della Nazionale dell’Urss con l’oro al collo ai Giochi olimpici di Melbourne 1956. Nonché del successo alla prima edizione degli Europei, in Jugoslavia, quattro anni dopo.

Un undici fortissimo, leggendario, con Lev Yashin, il Mito, a difendere la porta. E Netto, come il Ragno Nero Yashin, era, da ragazzino, un potenziale campione di hockey su ghiaccio, prima di scegliere scarpini e calzoncini.

Il suo nome è legato ai cinque campionati vinti dallo Spartak, assieme a tre Coppe dell’Urss. Centrocampista centrale, portavoce di un calcio corale, possesso palla e niente lanci lunghi. Un tiki-taka in salsa orientale, sessanta anni prima del Barcellona di Pep Guardiola e Leo Messi.

Ma Netto è ricordato soprattutto come capo carismatico di una nazionale che per motivi politici non aveva giocato partite internazionali dal 1935 al 1954. E che trionferà in Australia due anni dopo, confermando l’assoluta forza del calcio dell’Est.

L’unico punto oscuro della sua carriera furono i Mondiali. Un infortunio lo teneva fuori gioco nel 1958, in Svezia, con l’Unione Sovietica che perdeva nei quarti di finale contro il Brasile di un adolescente Pelè, vincitore della competizione. Quattro anni, Mondiali 1962 in Cile, Netto diveniva leggenda. L’Urss aveva battuto la Jugoslavia e pareggiato contro la Colombia. Serviva solo un punto, contro l’Uruguay, per accedere agli ottavi di finale. Il sovietico Igor Chislenko siglava il gol del 2-1 a pochi minuti dal termine, ma Netto si accorgeva che il tiro era in realtà finito fuori ed era rientrato in porta grazie a un buco nella rete. Segnalazione all’arbitro, gol annullato, pubblico in piedi ad applaudire.

Con i sovietici che vincevano comunque la partita, 2-1, prima di essere eliminati nei quarti di finale, come quattro anni prima.

La parabola di Netto andava poi calando, non i risultati dell’Urss, finalista agli Europei 1964 e quarta ai Mondiali 1966. Il capitano si ritirava, diventava allenatore, di calcio e hockey su ghiaccio. Moriva a 69 anni, in silenzio, segnato dal morbo di Alzheimer.

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