Credit: Niyaz Karim |
25 marzo 2013
Diversamente da alcuni miei coetanei, non credo di essere
una persona particolarmente affetta dai vizi. Non fumo, non bevo, lo shopping
non mi manda via di testa e non mi sciolgo davanti a un barattolo di Nutella.
Amo dormire. Questo è vero. Ma come biasimarmi. E ancora adesso mi mangio le
unghie, come quando avevo cinque anni.
Ma se c’è un vizio verso cui la Russia mi ha spinto, quasi inesorabilmente, è quello dei semechki: i semi di girasole che spuntano come fughi in qualsiasi posto, in metro e sulle scale di casa, da sotto la tavola e agli angoli delle strade. I russi li sgranocchiano ovunque: all'aperto chiacchierando in compagnia, o nei vagoni nell'elektrichka, per ammazzare il tempo.
I russi sono particolarmente ghiotti di semi di girasole, che amano mangiare accompagnati dalla birra (Foto: Lori/Legion Media) |
La colpa, devo ammetterlo, è tutta di una mia amica: è stata lei, in una sera di festa, a tirare fuori – come un coniglio dal cappello – la busta di semini dalla borsa. Se l’è passata tra le mani con grande orgoglio, come se avesse portato in dono il santo Graal. O una qualche preziosissima bottiglia di Dom Pérignon.
“Hai birra in frigo?”, mi ha chiesto. E senza aspettare una mia risposta, si è avviata in cucina. Perplessa davanti a quel sacchettino di plastica, che a scuoterlo ricorda tanto il suono delle maracas, mi sono chiesta che cosa potesse esserci di così appetitoso in quei semini neri, scomodi da mangiare e troppo piccoli da gustare.
“Vedrai che non potrai più farne a meno. Sono come una droga”, mi ha avvertito lei, tornando a sedersi con due bottiglie di Baltika recuperate non dal frigo, ma dal terrazzo, che a -15 si trasforma magicamente in una ghiacciaia naturale, comoda e ampia, nonostante la neve che cade.
E in effetti, dopo una serata trascorsa a sgranare semechki, buttati giù a suon di birra, ho dovuto mettere da parte la mia presuntuosa perplessità e dare ragione alla mia amica: il vero gusto non sta nel mangiarli, ma nell’aprirli, nel rosicchiarli e sputacchiarli, in un’operazione rituale che, tra una buccia e un sorso di birra, potrebbe andare avanti all’infinito. Sicuramente almeno sino alla fine della serata.
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