Educazione siberiana, realtà o fantasia?

Lo scrittore russo Nikolai Lilin, autore di gran successo in Italia, poco conosciuto nel suo Paese (Foto: AFP / East News)

Lo scrittore russo Nikolai Lilin, autore di gran successo in Italia, poco conosciuto nel suo Paese (Foto: AFP / East News)

“Educazione siberiana” e “Caduta libera”, i bestseller dello scrittore russo Nicolai Lilin, attraggono sia fan che detrattori. E dopo l'uscita del film di Gabriele Salvatores con John Malkovich...

"Educazione siberiana", il film del premio Oscar Gabriele Salvatores, tratto dall'omonimo bestseller di Nicolai Lilin, presentato in anteprima al festival cinematografico della Berlinale, che si è tenuta a metà febbraio 2013, è uscito nelle sale tra fine febbraio e i primi di marzo 2013.

Nella definizione dell'attore americano John Malkovich, che interpreta un anziano criminale chiamato Nonno Kuzja, il film racconta “una storia interessante, che descrive un modo di vivere che la maggior parte del pubblico ignora”. Malkovich ha dichiarato alla Associated Press: “Le cose sono talmente globali e americanizzate. È interessante pensare che la cultura criminale descritta nel film si stia praticamente estinguendo…”.

Il racconto autobiografico dell’infanzia di Nicolai Lilin, trascorsa in una comunità criminale, ha suscitato delle controversie. Al di fuori dell’Italia, dove oggi lo scrittore russo vive e dove ha riscosso un enorme successo, Lilin non è molto noto. In Russia le sue opere sono viste con un certo scetticismo, e non sono mai state pubblicate.

Lo scrittore, nato nel 1980 in Unione Sovietica, è cresciuto in Transnistria, uno Stato la cui indipendenza non è riconosciuta a livello internazionale, situato al confine tra Moldavia e Ucraina. “Educazione siberiana” è liberamente basato sulle sue esperienze giovanili.

“Uno svago fantasioso”
Nella versione inglese, il libro viene descritto come una “biografia”, ma una nota dell’autore precisa che “alcuni episodi sono frutto di uno svago fantasioso, e non intendono rappresentare fatti realmente accaduti”.

Le biografie romanzate appartengono a quella ricca tradizione letteraria che J.M Coetzee chiama “autrebiography” e comprende opere quali “Memorie di un cacciatore di volpi” di Siegfried Sassoon o “Joseph Anton”, il recente, complesso libro nel quale Salman Rushdie racconta in terza persona gli anni della sua fatwa.

Se il lettore ne accetta le premesse, in termini stilistici e intellettuali, il paragone con Rushdie è forse azzardato, ma, tuttavia, il racconto di Lilin non è privo di interesse. Nei capitoli iniziali del libro l’imprevedibile brutalità del mondo della mala si mescola ad avventure di infanzia, in una sorta di incrocio tra Just William e lo spietato Alex di “Arancia meccanica”.

Alcune delle parti più avvincenti si svolgono nel “ristorante di zia Katya”, dove degli ex-detenuti si scambiano sigarette e giocano con delle carte dipinte a mano, come facevano in carcere. Katya serve minestre fatte in casa accompagnate da panna acida e pane nero, tra pentole fumanti e barattoli di conserva di mirtilli rossi. I ragazzi tracannano kompot e discutono di lotta.

I tatuaggi rappresentano la passione di una vita: la galleria che Lilin ha aperto a Milano ha ospitato di recente una mostra dedicata ai tatuaggi siberiani. Il capitolo intitolato “Quando la pelle parla” descrive con affetto il linguaggio segreto e cifrato dei tatuaggi criminali: galassie di immagini violente e religiose che si inseguono su tutto il corpo e descrivono in che modo il narratore è diventato un tatuatore. Sono scene che fanno da contrasto alle ossessive descrizioni di armi o degli orrori del carcere giovanile.

Quando compie sei anni, Nicolai recita una poesia di Pushkin e riceve in dono un coltello a serramanico tutto suo; il volume termina con la chiamata al servizio militare, raggiunta l'età dei diciotto anni; per il tema della leva, Lilin si è ispirato a un altro giovane soldato; lo ha trattato, poi, in maniera più approfondita, basandosi sui propri ricordi, nel libro successivo: un diario di guerra inesorabilmente violento.

}Pura fantasia?
Nel 2010, non appena“Educazione siberiana” uscì in lingua inglese, Irvine Welsh, autore di “Trainspotting” e personaggio che non ha paura di scatenare opinioni discordanti, ne scrisse la recensione per il Guardian.Welsh vede l’adolescente Lilin come un eroe sotto assedio, cresciuto in una società in cui “la designazione di criminale viene data a qualcuno che aderisce a un rigoroso codice morale e accetta solo l’autorità della comunità di appartenenza anziché quella dello Stato”.

Questa “cultura incredibile” si basa “su dei principi superiori a quelli comuni che animano l’Occidente”, e rifiuta il materialismo a favore di “una forma di socialismo libertario, basato sulla convinzione… che coloro che cercano il potere e il vantaggio materiale sono inerentemente deboli e malvagi”.

Il suo idealistico appoggio a un “omicida adolescente” ha suscitato qualche perplessità tra i lettori del quotidiano, tradizionalmente molto solerti nell’esprimere attraverso lettere le proprie opinioni.

A suscitare il maggior numero di critiche, tuttavia, non è stata l’approvazione con cui il libro guarda a una cultura violenta, senza legge, misogina ed estremamente omofoba, bensì lo scetticismo circa l’accuratezza dell’opera. “È pura fantasia”, si legge in un commento; “Non è solo improbabile, ma impossibile”, afferma un altro lettore, mentre un terzo riassume l’opinione prevalente, affermando: “Lilin è un impostore”.

E mentre un unico ammiratore esprime disaccordo, in Italia sono numerosi i lettori che hanno apprezzato la potente fusione di verità e invenzione operata da Lilin. Richard Poplak, nella sua recensione apparsa sul Canadian National Post, ha scritto: “Educazione siberiana esiste in quella terra di nessuno tra memoir e romanzo a chiave: una regione nella quale più biografi dovrebbero sforzarsi di abitare”.

In una misurata recensione di “Caduta libera”, il “sequel” nel quale Lilin racconta di un soldato ceceno, Oliver Bullough, a sua volta autore di un libro apprezzato sul Caucaso, ha voluto indagare su queste affermazioni contrastanti. Nel 2011 Bullough aveva scritto sull’Independent che Lilin aveva apertamente ammesso di non aver scritto una biografia, bensì “un romanzo basato su degli eventi reali” o, come si legge nella nota dell’autore, “una storia costruita con dei dettagli veri”.

Anche in questo caso la dichiarazione con la quale Lilin limita la propria responsabilità è articolata con cura: “Ho creato un narratore composito, nelle cui esperienze si fondono quelle di molti miei amici…”. Questo sequel, però, che raccoglie scene raccapriccianti senza una vera e propria direzione, non possiede il fascino e l’umanità di “Educazione siberiana”.

È meno autorevole di “La guerra di un soldato in Cecenia” di Arkady Babchenko, meno accattivante del lirico ma imperfetto “Sono ceceno!” di German Sadulaev, ed è scritto decisamente meno bene de “La sete” di Andrei Gelasimov.

}La verità sulla guerra?
La narrativa composita di Sadulaev, anch’essa in parte autobiografia e in parte finzione, è caratterizzata dal punto di vista ceceno dell’autore, mentre il memoir di Babchenko è apprezzato per la sua incrollabile onestà. Lilin però conosce bene il proprio mercato.

L’opera di Babchenko era troppo voluminosa, ha dichiarato Lilin a Bullough. “Chi ama solo le storie d’amore o i gialli non la leggerà, e quindi non verrà a conoscenza della verità sulla guerra”.

Con “Caduta libera”, Lilin ha voluto far conoscere a un pubblico indifferente gli orrori di un conflitto brutale. Il libro esprime con forza il trauma, la ripetitività e la disumanità della guerra. “Tutti i nostri nemici si chiamavano arabi -, confessa il narratore all’inizio del libro. - Che fossero ceceni, musulmani, afghani, talebani, terroristi o combattenti che si battevano per una convinzione politica qualsiasi”. Verso la fine, un anziano con una “fila di medaglie della Seconda Guerra Mondiale” viene ucciso. “Ecco in che modo la nazione lo ha ripagato dei suoi sacrifici”, osserva Lilin. Non è detto però che simili considerazioni filosofiche giustifichino il caotico assalto delle 350 pagine che le hanno precedute, così come non è chiaro se i libri di Lilin siano da considerarsi realtà, fantasia o un genere ibrido e mutante.

Infine, come fa notare Bullough, l’editore britannico Canongate è in parte responsabile della confusione sull’appartenenza delle opere di Lilin a uno o l’altro genere letterario. Lo scorso anno W. W. Norton & Company ha pubblicato negli Stati Uniti la traduzione di “Caduta libera” intitolandola “Storia di un cecchino”.  

E mentre Einaudi, che pubblica Lilin in Italia, definisce chiaramente le sue opere “romanzi”, Canongate le etichetta “biografie”, per poi specificare sulla fascetta pubblicitaria che: “Fu arruolato a forza nell’esercito russo”, cosa che l’autore non ha mai affermato di se stesso (Lilin ha detto a Bullough di aver servito nell’esercito come volontario).

Probabilmente l’uscita del film farà incrementare le vendite di entrambi i libri, che però dovrebbero essere presentati per quello che sono, senza ambiguità. Non c’è nulla di male nel fondere gli stili letterari, ma nella descrizione volutamente erronea di un libro sì.

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